L’ATTIVITÀ RIABILITATIVA COME IMPRESA DI VITA
Lei si è specializzato in neurologia nel 1992 all’Università La Sapienza di Roma, dove ha lavorato in un gruppo di neuroradiologia. Poi, interessato alla pratica clinica, ha superato un concorso come assistente fisiatra e ha lavorato prima a Feltre, dal 1995 al 2001, e poi a Conselice, fino al 2021, quando si è trasferito alla casa di cura “Città di Rovigo”, dove dirige l’unità riabilitativa. Quali sono le patologie dei pazienti ricoverati nel suo reparto?
Il nostro reparto ha settanta letti, una trentina dei quali è occupata da pazienti con problemi neurologici fra cui esiti di ictus, di traumi cranici, di malattie infettive come encefaliti o anche di patologie neoplastiche in seguito a asportazioni di masse tumorali. Abbiamo pazienti con livelli di complessità differenti e, di recente, sono arrivati anche pazienti con gravi lesioni cerebrali, quindi molto impegnativi dal punto di vista assistenziale. Ci sono anche pazienti con esiti di patologie quali ictus meno gravi, tuttavia, non meno impegnativi sul piano assistenziale e riabilitativo. Abbiamo inoltre un contingente di letti dedicati a persone che hanno esiti d’interventi ortopedici, prevalentemente per protesi d’anca e fratture di femore. Poi, un certo numero di letti è riservato a pazienti con postumi da Covid-19 come problemi respiratori o deambulatori, con danni neurologici gravi. Infine, abbiamo una decina di letti per pazienti con impegno riabilitativo minore, per esempio, a seguito di un lungo allettamento, di uno scompenso cardiaco o di patologie internistiche o chirurgiche come interventi all’addome, ma sempre con necessità di assistenza sanitaria, che quindi non possono essere rimandati a casa.
I danni neurologici post Covid-19 sono frequenti?
Certo, soprattutto in coloro che hanno dovuto affrontare intubazione o ventilazione assistita o con terapie prolungate di curaro impiegato per favorire la ventilazione assistita, ma che può provocare l’insorgenza di neuropatie e miopatie sia diffuse sia focali. Nell’ambito del 49° Congresso Nazionale SIMFER (Milano, 28-31 ottobre), abbiamo presentato una casistica con una scala di differenti complessità assistenziali, in cui abbiamo constatato che il livello di assistenza richiesto dai pazienti post Covid-19 è equivalente, se non superiore, a quello dei postumi da ictus. Lo stesso vale per la lunga durata dei periodi di degenza: alcuni pazienti sono rimasti nel nostro reparto fino a tre o quattro mesi, talvolta, non riuscendo a stare seduti per un mese o presentando un deterioramento cognitivo minimo.
Qual è l’età più frequente di pazienti con danni post Covid-19?
Negli ultimi mesi l’età si sta un po’ abbassando. Innanzitutto nei mesi estivi abbiamo rilevato una diminuzione delle richieste di trasferimento, in linea con i numeri della pandemia e con la riduzione degli esiti gravi, invalidanti, ma adesso le richieste sono in aumento. Nei giorni scorsi ne abbiamo ricevuta una di un uomo nato nel 1974 che ha un residuo di disturbo respiratorio, per cui è ancora sotto ossigeno e necessita di riabilitazione respiratoria, ma accusa anche un disturbo motorio causato da una polineuropatia. Stiamo notando una fluttuazione dei casi, a seconda delle cosiddette ondate pandemiche. Dall’inizio del 2021 fino a maggio, abbiamo avuto pazienti molto gravi e con età più elevata, intorno ai sessanta, settant’anni. Adesso incominciano ad arrivare pazienti cinquantenni o anche di età inferiore.
Che cosa può dirci del training riabilitativo?
Il training riabilitativo è affidato prevalentemente all’esperienza dei fisioterapisti. Esistono poi dispositivi di vario genere – che non possono sostituire il loro lavoro, ma implementarlo – come le tecnologie robotiche, quelle che utilizzano la realtà virtuale o quelle che si avvalgono di feedback sonori e visivi e sfruttano l’effetto “gioco”. C’è indubbiamente uno sviluppo molto avanzato delle tecnologie, molte delle quali ancora a livello di sperimentazione, anche applicativa. Ma l’intervento del fisioterapista e il rapporto umano con gli altri componenti del team riabilitativo (gli operatori dell’assistenza, i neuropsicologi, i logopedisti e gli stessi medici) rimane comunque centrale. Fanno parte del team anche infermieri e OSS, perché le attività che svolgono hanno una valenza riabilitativa: pensiamo al lavoro di recupero della nutrizione naturale, di controllo degli sfinteri, di gestione dei trasferimenti letto-carrozzina o alle manovre che i pazienti devono apprendere nel percorso riabilitativo.
In conclusione, vorrei aggiungere che appena ho visto la sede di questa Casa di cura di Rovigo me ne sono “innamorato”: è la migliore che abbia mai conosciuto, anche per l’aspetto ambientale e logistico, è piena di luce, con vetrate meravigliose, con una situazione ottimale dell’organizzazione dei reparti, con palestre di riabilitazione sullo stesso piano, molto grandi e capienti. La stessa ambientazione alberghiera si presta molto alle lungodegenze. L’umanizzazione delle cure trova qui veramente una realizzazione piena, sia nell’ambiente sia nel personale. Questo porta anche a un aumento della motivazione e dell’entusiasmo nel lavoro. L’umanizzazione delle cure è quanto mai necessaria nella nostra professione.