COME AVVIENE L’INTEGRAZIONE FRA LAVORO MANUALE E LAVORO INTELLETTUALE

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presidente di S.E.F.A.Holding Group Spa, Sala Bolognese (BO)

Sono amministratore di S.E.F.A. Holding Group, capogruppo di quattro società: S.E.F.A. Acciai, specializzata negli acciai da stampi e da utensili; T.I.G., Titanium International Group, leader (con 14 approvazioni aeronautiche) nel settore aerospace e negli altri di rancing, implantologia medicale e packaging e S.E.F.A. Lavorazioni Meccaniche, specializzata in stampi e portastampi. Siamo un gruppo con 30 milioni di fatturato annuo e circa settanta lavoratori. Recentemente, abbiamo costituito una nuova società legata alla tecnologia additiva, 3D Metal. Da oltre cinquant’anni lavoro nel settore siderurgico, e sempre investendo nei migliori acciai del mercato, per questo ci hanno scelto come fornitori di fiducia centinaia di clienti, non solo in Emilia Romagna, ma anche in Toscana, in Umbria, nelle Marche e perfino in Sicilia. Il lavoro è per noi una grande occasione per crescere e sviluppare la capacità di fare e, soprattutto, di avviare dispositivi per costruire qualcosa di utile e anche di bello. La più grande soddisfazione, nel nostro lavoro di fornitura e commercializzazione di acciai speciali, titanio e leghe, è consigliare il cliente sul suo progetto, concretizzare i suoi sogni e i suoi progetti e essere scelti come fornitori di fiducia.

Nel libro di Pietro Ichino, L’intelligenza del lavoro (Rizzoli), c’è un capitolo molto bello in cui l’autore dice che il lavoratore deve scegliere il suo datore di lavoro e in questo io mi sono riconosciuto. Quando ho incominciato a lavorare nel settore siderurgico, anch’io ho scelto il mio datore di lavoro e questa scelta è avvenuta a più riprese. Il mio primo datore di lavoro è stata una società di Bologna, distributrice e agente di prodotti siderurgici, la Mazzoni Acciai. Io ho scelto questa strada dopo una breve esperienza alla Riva-Calzoni, altra grande realtà industriale bolognese degli anni sessanta. Sono stato un lavoratore che ha scelto l’attività e l’azienda che sentiva più vicina ai propri interessi.

Oggi le imprese cercano lavoratori che però non trovano e, quando li trovano, constatano la poca professionalità e la mancanza di quella dinamicità intellettuale necessaria per imparare il mestiere, cioè la scarsa propensione ad assumere anch’essi la responsabilità dell’impresa, ossia a ragionare come l’imprenditore. La globalizzazione e i tempi di produzione just in time, che consentono non di fare magazzino ma di vendere tutto prontamente, secondo il modello imperante di Amazon, c’impongono di stare al passo delle urgenze dei clienti, che esigono tempi brevissimi di produzione e di consegna. Per il lavoratore che ha scelto di lavorare nell’impresa questo comporta che possa anche accettare tempi di lavoro più flessibili e di fare gli straordinari. Spesso, per esempio, dico: “Guardate che questo cliente ci sta chiedendo di avere quel che gli serve tra due giorni, perché anche lui ha due giorni per fornire il suo committente”.

Ho notato che oggi la classe operaia è sicuramente più matura rispetto a quella degli anni sessanta – a volte mi chiedo se esista ancora la “classe operaia” di cui abbiamo memoria –, perché oggi gli stessi operai svolgono un lavoro anche fortemente intellettuale. Gestire una macchina a controllo numerico o un magazzino non è più il lavoro di un semplice esecutore, ma di un lavoratore che deve essere intellettualmente preparato e questo richiede un certo grado d’informazione e di formazione. Quindi, oggi l’azienda può essere anche quella che effettua la formazione, attraverso strumenti di esercizio intellettuale. Per questo noi esponiamo la rivista “La città del secondo rinascimento” nella bacheca dell’azienda. Il lavoro, quindi, non è soltanto manuale, ma diviene anche intellettuale, perché quel lettore incomincerà a chiedersi come fare lo stesso lavoro ma in modo più efficace: avviene un’integrazione fra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Ecco perché io sono promotore di una forte formazione intellettuale. Chi lavora in un’impresa deve essere anche informato su quello che accade intorno a essa, perché vogliamo che i nostri non siano semplici venditori.

Una cosa molto difficile è come premiare i lavoratori meritevoli senza che questo sia inteso come un modo per penalizzare altri. Su questo argomento, noi riscontriamo pregiudizievole il livellamento delle gratificazioni economiche rispetto alla qualità delle mansioni che il lavoratore svolge. Questo livellamento è un problema che si avverte all’interno delle aziende. Noi abbiamo riconosciuto premi a fine anno, premi Una Tantum e buoni spesa oppure abbiamo offerto una polizza assicurativa a tutti i dipendenti. Tuttavia, ritengo che queste siano modalità non ancora efficaci, perché sono interventi che non valorizzano chi scommette più di altri nell’azienda in cui lavora. Premiare tutti i dipendenti in modo uguale, livellare il merito non serve o serve a poco.

La questione va oltre il semplice compenso economico, è un’esigenza strutturale: il lavoratore non può limitarsi a ragionare in base alle sue otto ore di lavoro, deve sapere che quando la sua azienda è chiusa, nel mondo altri lavoratori, nella fattispecie cinesi o americani, stanno lavorando, dunque la mattina seguente può trovarsi una richiesta di fornitura arrivata dalla Cina o dagli Stati Uniti che deve essere evasa in tempi stretti. Questo, per esempio, capita spessissimo nella nostra T.I.G., che opera nel mercato internazionale. Occorre sempre di più che gli operai ragionino tenendo conto che sono cittadini del mondo, ecco perché è sempre più necessario intervenire sulla formazione. Bisogna lottare per il proprio lavoro perché non è un diritto, ma un dovere di tutti mantenerlo: è da questo approccio che poi nascono altri posti di lavoro come moltiplicatori virtuosi. Oggi, invece, c’è come un effetto che scoraggia a investire nell’attività d’impresa. Ma, quando chiude un’impresa, chiude anche una parte della nostra personalità. Un’impresa che ha chiuso non si ricrea domattina. Proprio perché non è scontata, l’impresa va sostenuta anche dal sistema finanziario, dalle istituzioni e, soprattutto, dalla società civile. Invece, oggi soffre dell’indifferenza che ha attorno: il fare dell’impresa è dato per scontato. Ma non è così.

Alle istituzioni chiedo di sostenere la viabilità e i trasporti, che a Bologna sono molto deficitari. Occorre che esse s’impegnino a dar vita a zone industriali dedicate, ad allentare i pesi burocratici, a promuovere una cultura favorevole alle imprese: occorrerebbe una formazione meno qualunquista. Non spetta all’impresa intervenire nei servizi sociali a favore della collettività, ma è compito delle istituzioni tramite un welfare attento ed ecosostenibile. Compito dell’impresa è sviluppare il proprio progetto e la qualità dei propri prodotti, consolidare la propria squadra, avere come obiettivo quello di crescere e di espandersi. Compito dell’impresa è che da impresa nasca impresa: ciascun lavoratore che ha scelto l’impresa in cui lavorare può diventare egli stesso imprenditore. Se diamo molte opportunità di fare impresa, come accadeva negli anni settanta in Italia, dai capofficina nasceranno altre imprese e nuova linfa vitale per l’avvenire del Paese. L’impresa costruisce ricchezza perché costringe a sviluppare nuove aree della città, in cui diventano necessarie viabilità e infrastrutture efficienti, in modo che tutti i cittadini possano beneficiarne. L’impresa offre servizi nuovi e incentiva anche i servizi dei professionisti, consolida il tessuto sociale e la sicurezza del lavoro. Ma fare impresa è anche offrire dispositivi intellettuali a sé e ai propri collaboratori, anche perché, senza l’apporto dell’impresa, come potremmo finanziare opere culturali e programmi sportivi, sanità e tempo libero? Guardiamo, per esempio, cos’ha potuto fare una grande impresa di Bologna, che ha costruito un reparto oncologico del Policlinico Sant’Orsola e gli Hospice Seràgnoli di cui oggi beneficia la collettività.

Il nostro settore, il siderurgico, è essenziale alla città. Senza acciaio non c’è edilizia, non c’è meccanica, non c’è auto, non c’è trasporto, non c’è mobilità, non c’è neanche ecologia, perché l’ecologia si fa con le fonti energetiche alternative, in cui l’acciaio e i prodotti metallurgici sono alla base: nei pannelli c’è l’alluminio e nelle pale eoliche c’è un motore. Quindi, la solidità produttiva di questo settore è la garanzia di sviluppo dell’intera civiltà. Oggi ci sono esempi di industrie siderurgiche nel mondo, come Uddeholm, che redigono un capitolato di sostenibilità ambientale e che hanno costruito la sede dell’acciaieria immersa in aree fra laghi e foreste, grazie a un approccio dell’impresa rispettoso dell’ambiente. Non si può dare un avvenire alle prossime generazioni basandosi solo su slogan, come “riprendiamoci il gusto del futuro” o “non è un Paese per giovani”, perché questi potrebbero essere la premessa di “una decrescita pochissimo felice”, come scrive Ichino a pagina 154 del suo libro. Auspico invece che tutte le forze positive di questo bellissimo Paese, comprese quelle sindacali, siano rivolte a costruire con l’impresa e con l’imprenditore un rapporto di fiducia.