UN PRINCIPIO DI REALTÀ PER IL MERCATO DEL LAVORO

Immagine: 
Qualifiche dell'autore: 
senatrice, avvocato e professore associato di Istituzioni di Diritto Pubblico Comparato nell’Università di Bologna

Stiamo vivendo una situazione straordinaria sotto molti punti di vista. Con l’arrivo del Covid è stato quasi come se si fossero spente le luci intorno a noi e, quando si sono riaccese, niente è stato più come prima. Ma da questa straordinarietà abbiamo tratto occasioni di crescita, per esempio dal punto di vista politico, formando un governo di unità nazionale. Dico questo perché una buona parte delle condizioni poste da Pietro Ichino nel suo libro, L’intelligenza del lavoro (Rizzoli), corrispondono alle ricette di questo governo di unità nazionale, che rappresenta una mediazione politica non indifferente. Non è facile spiegare cosa significhi incontrarci, tutti i lunedì mattina, non solo tra noi del centrodestra di governo ma anche con il Partito Democratico, Leu, Cinquestelle, Italia Viva e trovare una soluzione che corrisponda a ciò che di volta in volta è necessario per il Paese. In questo momento in Parlamento stiamo attuando tante mediazioni politiche per ottenere il miglior risultato, affrontando le sfide per il nostro futuro. Sono arrivati molti fondi dall’Europa, ma devono anche essere spesi bene facendo riforme importanti, e una di queste è proprio quella del mercato del lavoro.

Io sono una grandissima fan di Ichino, con il quale ho avuto l’opportunità di lavorare nella scorsa legislatura in Senato, e apprezzo il modo in cui nel suo volume ha sintetizzato un’esperienza insieme accademica e di vita vissuta. Condivido in maniera profonda e convinta quel che ha scritto, e lui lo sa, perché abbiamo avuto modo di confrontarci più volte su questi contenuti. Ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento è qualcosa che Ichino possiede in grandi quantità, cioè dosi massicce di realtà. Lui parla di situazioni che possono essere legate a una visione evolutiva del mercato del lavoro, ma che rispondono a un principio di realtà. Lui rifiuta quella categoria di sindacati connotata da un approccio assicurativo nei confronti dei propri rappresentati e che molto spesso si ostina a tutelare diritti e lavori che non esistono più. È una cosa interessante che il lavoro cambi. L’importante è avere la capacità di organizzare la trasformazione, assistendo il passaggio dai lavori “tradizionali” al lavoro del presente e del futuro.

Ed è esattamente quello che Pietro Ichino attualizza con questo libro. Viviamo un grande paradosso, in una serie di fake news che Ichino smonta, smaschera, per esempio quando nota che il lavoro non manca. Vediamo ultimamente richieste di lavoro attive e passive che non s’incontrano perché non funzionano i canali di comunicazione. Mi piace moltissimo l’idea dell’hub di lavoro che lui ha ampiamente esplorato, mi piace l’idea di questo modello evolutivo e, soprattutto, dell’inversione di un paradigma che è stato troppe volte sclerotizzato: esiste l’imprenditore che cerca un lavoratore, ma c’è anche il lavoratore che seleziona la propria tipologia d’imprenditore, soprattutto se lo Stato lo aiuta mettendolo in condizione di riqualificarsi. Questo vale per tutte le età, anche per i giovani che non devono smettere mai di formarsi, perché i cicli di studio – altra cosa palese – non fanno matching, non corrispondono ai lavori che si trovano sul mercato.

Qual è la nostra soluzione? Non pensare di risolvere tutto con interventi legislativi. Noi veniamo travolti dal desiderio di identificare qualche nuova sponda, molto spesso dimenticando quel che di valido è stato fatto in precedenza. La sensibilità che questo libro esprime crea le condizioni per un diritto del lavoro finalmente in grado di fotografare la realtà.