LA QUALIFICAZIONE PROFESSIONALE LIBERA DALLA SUBORDINAZIONE
Il libro L’intelligenza del lavoro (Rizzoli) di Pietro Ichino affronta allo stesso tempo, e con la stessa franchezza, tanto il dibattito politico quanto quello lavoristico. L’autore in un passaggio del suo libro si schiera contro la fine del lavoro, riprendendo una vecchia discussione, ormai trentennale. Ichino arriva a una teoria opposta rispetto a quella avanzata da illustri economisti, proponendo una lettura protesa a scovare i cosiddetti giacimenti occupazionali presenti nel mercato: “non è vero che il lavoro finisce, non è vero che le teorie sull’industrializzazione portano a una nuova forma di superamento del lavoro, occorre invece compiere un’inversione di questa sorta d’imbuto”. Alla transizione ecologica l’autore dedica molta attenzione, avanzando proposte e delineando schemi interpretativi.
Senza addentrarmi in un dibattito che rischia di diventare inopportuno, pare appropriato evidenziare che l’industrializzazione del nostro paese ha conosciuto un’eccellenza proprio nella nostra regione. Siamo la Motor Valley e ne siamo orgogliosi. Gli industriali che oggi sono qui testimoniano queste eccellenze e allo stesso tempo anche la vocazione di una terra che non si limita alla produzione ma offre grandi occasioni di lavoro. Tuttavia, parlando di modelli produttivi della nostra industria meccanica dobbiamo anche ammettere che il mondo 2.0 è cambiato per tutti!
Un’auto elettrica contiene solo il 15% di componenti rispetto a quello che eravamo abituati ad avere nelle auto tradizionali. L’elettronica ha modificato la meccanica e i modelli produttivi e di assemblaggio. Possiamo dirci senza false ipocrisie che i cinesi, se decidono di fare un investimento da più di 1 miliardo di euro nel nostro territorio, lo fanno per poter vendere prodotti Made in Italy e dell’Emilia-Romagna.
I nostri giacimenti di opportunità per l’impresa possono diventare occasione di lavoro per tanti. Uno degli investimenti di cui andiamo più orgogliosi in questa regione è Leonardo, il secondo computer al mondo per capacità di calcolo. Bologna con questo prezioso strumento potrà essere protagonista sulla scena internazionale nella ricerca scientifica e medica, fatto questo che ci proietta in dimensioni diverse e insperate. Sempre nel nostro territorio bolognese abbiamo attratto il Centro Climatico Europeo che, unitamente al nostro Leonardo, non si limiterà alle sole previsioni del tempo su scala planetaria, ma sarà un utilissimo strumento per prevenire e studiare i cambiamenti climatici e ambientali che stanno modificando il nostro eco-sistema.
Com’è noto a questa platea i grandi investitori esteri che abbiamo attratto in questo territorio hanno già modificato il nostro sistema territoriale e la nostra capacità di fare impresa. La nostra pelle imprenditoriale si trasforma velocemente così come si trasforma il ruolo dei lavoratori sempre più specializzati. I grandi giacimenti occupazionali di cui parla Ichino sono in realtà la più grande sfida all’innovazione e alla formazione per il Paese, ma qui in Emilia-Romagna sono già un fatto.
Non v’è dubbio che la mancanza di una visione industriale complessiva negli ultimi trent’anni sia stato un grande limite italiano. Lo shopping di imprese che abbiamo subìto segnala diverse problematiche che per ragioni di tempo non è utile elencare. Tuttavia, pare necessario evidenziare che nel suo libro Ichino precisa di non volere occuparsi di commi, di leggi e di articoli – e io sono d’accordo con lui –, ma va comunque sottolineato che in questi anni abbiamo commesso errori tragici proprio abusando con gli articoli e i commi, e non solo nella programmazione industriale del paese. È questo il motivo per cui vorrei sottolineare che non possiamo pensare di valorizzare quei giacimenti occupazionali se non rivediamo completamente il sistema delle regole entro il quale ci muoviamo.
Qui il problema non è il pronto soccorso dei diritti che i sindacati e gli imprenditori cercano di combinare con la contrattazione di secondo livello, su cui Ichino lancia sfide importanti. La contrattazione di secondo livello esiste dal momento in cui il secondo livello delle relazioni industriali viene aiutato a crescere.
Di recente, Prometeia ha diffuso i dati di crescita dell’Emilia-Romagna, che risulta la regione d’Europa più forte e vitale – anche rispetto ai lander tedeschi – soprattutto grazie alla nostra grandissima capacità di export. Il problema è che nei prossimi dieci anni cambieremo completamente lo stile e la qualità dei nostri lavoratori e di quello che saremo in grado di produrre. In Emilia-Romagna questa sfida è stata affrontata con scelte innovative, ma il Patto per il lavoro e per il clima che noi lanciamo in questa regione – il primo in Italia – cerca di tenere conto di queste peculiarità emiliano-romagnole.
Sui giacimenti occupazionali stiamo costruendo un pezzo di storia avvalendoci dell’Emilia-Romagna più attiva, quella che produce, ma allo stesso tempo abbiamo la consapevolezza che la modifica dei sistemi di formazione comporta anche una rivoluzione copernicana nel mercato del lavoro del nostro territorio. Noi abbiamo il dovere di tenere insieme crescita e lotta alle disuguaglianze. Abbiamo il dovere di creare opportunità!
Nel diritto del lavoro moderno la discussione si è sempre incentrata intorno ad una domanda semplice: “Quando ci si libererà dalla subordinazione del lavoro?”, da quel rapporto schiavo-padrone su cui tanti filosofi, in vario modo, si sono confrontati. Ma la verità è che dalla subordinazione mi libero con la qualificazione professionale. Io scelgo per chi lavorare se ho qualcosa di utile da offrire, per cui gli imprenditori mi vengono a chiedere di lavorare per loro. Questa è la storia di tanti ragazzi che si sono diplomati all’Istituto Aldini Valeriani e poi hanno diffuso nel mondo le macchine da loro prodotte e oggi guadagnano spesso più degli ingegneri che hanno fatto loro lezione quando andavano a scuola. Questo è un approccio con cui il tema dei giacimenti occupazionali potrebbe trovare dei punti di sintesi. Tuttavia, se l’Italia non è l’Emilia-Romagna le colpe vanno ricercate nella incapacità di ammodernamento del sistema Paese che ci portiamo dietro da trent’anni.
Nel 1993, l’Europa è in uno snodo politico e riformatore cruciale. Jacques Delors con il suo Libro bianco propone una discussione proprio su quei temi che poi anche Pietro Ichino ha ripreso più volte. Nasce una vera e propria strategia europea sull’occupazione, che riprende una discussione anche più ampia il cui tema centrale è riassumibile in un concetto semplice: “Siamo la società della conoscenza, che si evolve, facciamo studiare nelle nostre Università e nelle nostre scuole questi temi innovativi per migliorare la vita e il lavoro di tutti”.
Nello stesso anno, il 1993, l’Italia è di fronte a un collasso: Ciampi è venuto in soccorso al Paese per fronteggiare la crisi di sistema che attraversa la fine della cosiddetta prima Repubblica, introducendo nel nostro sistema di regole industriali il Protocollo Giugni sulla politica dei redditi. La nuova concertazione sociale introduce temi rispetto ai quali non c’è stata un’evoluzione della discussione né nel merito né nella capacità di guardare al futuro. Questa grande limitazione, questo atteggiamento miope con cui si sono confrontati centrodestra e centrosinistra in questi anni ci ha consegnato un sistema di democrazia industriale più debole, non più forte.
Quando grandi aziende hanno scelto di abbandonare il nostro paese per andare all’estero, la sconfitta non è stata soltanto di chi se n’è andato, ma anche della politica, di chi non ha reso possibili le condizioni per produrre e di chi ha cercato un’Europa sempre più debole e una rigidità sociale che è diventata insopportabile.
Per questo io penso che sia seducente il sogno di un mercato del lavoro in cui sono i lavoratori che possono scegliersi il proprio imprenditore – la provocazione di Ichino coglie nel segno –, ma, come ammette l’autore a pagina 167 del libro, il passaggio cruciale della discussione sta in ciò che viene fatto in Emilia-Romagna, in Lombardia e nelle zone in cui la ripresa economica è più incisiva rispetto a ciò che fanno le sole agenzie per il lavoro.
In conclusione, è vero che non possiamo formare soltanto pizzaioli e manovali – anche se, ultimamente, c’è bisogno di un gran numero di muratori –, ma abbiamo la necessità di promuovere istituti professionalizzanti sempre più inseriti nel mondo reale del mercato del lavoro, in modo da offrire possibilità di scelta di lavori plurimi e non più solo obbligati.
La sfida è dunque dell’impresa e delle istituzioni: l’impresa deve avere il coraggio di evolversi investendo in sviluppo, ricerca e transizione tecnologica ed ecologica e le istituzioni di fornire occasioni di studio e aggiornamento. I giacimenti che ho in mente io richiedono per i lavoratori uno sforzo costante per essere sempre più skill. È un tema importantissimo: se non vi investiamo oggi, presto non avremo più gente che potrà scegliersi il lavoro, ma dovremo occuparci soltanto di quelli che non sanno più cosa fare.