LAVORARE NON STANCA

Qualifiche dell'autore: 
già insegnante alle scuole Giosuè Carducci di Bologna e ospite di Villa Giulia, Pianoro (BO)

A settembre di quest’anno lei compirà centodue anni. Allo scoccare dei suoi cento anni, nel 2019, incominciava a diffondersi la pandemia da Covid 19. Ma per lei è stata l’ennesima prova di tenuta, come già era accaduto nel fiorire della sua giovinezza, quando ha dovuto fare i conti con gli effetti della seconda guerra mondiale. Fino a oggi, nel tempo in cui, a pandemia inoltrata, lei continua a accogliere l’ospite con il sorriso, con il suo rossetto fiammante, radiosa nei riflessi della sua collana di perle e entusiasta di raccontarci il suo viaggio lungo un secolo, fra le pianure del basso corso dell’Adige e del Po e le valli dell’Idice e del Savena. E allora, incominciamo insieme la traversata… Sono nata nel 1919, a Badia Polesine, in provincia di Rovigo. Appena ho concluso gli studi superiori, nel 1940, è scoppiata la guerra ed è iniziato il periodo delle restrizioni. Poi, sono seguite varie tragedie familiari. Io non mi sono sposata, grazie a Mussolini.
Avevo sedici anni quando, durante gli studi liceali, mi sono innamorata di Giancarlo. Lui studiava da geometra e a me sarebbe piaciuto diventare biologa.
Sembrava che la strada fosse già aperta per noi. Era il 1943 e Mussolini richiamò al servizio militare anche gli orfani di guerra, come era lui. Poi, con l’armistizio dell’8 settembre, l’Italia fu divisa in due e il mio ragazzo fu preso come prigioniero e inviato in Germania, a Friburgo.
Giancarlo tornò alla fine del 1945. Era molto deperito, durante la prigionia si era nutrito di bucce di patate che una ragazza ebrea polacca era incaricata di portare ai prigionieri. Al termine della guerra gli ebrei sopravvissuti andavano in Palestina o trovavano ospitalità presso famiglie del luogo.
Quella ragazza aveva perduto i genitori e due fratelli nei forni crematori e il mio ragazzo per gratitudine la portò a vivere in casa con la madre. Io non accettai quella situazione e, appena vinsi il concorso per insegnare a Bologna, mi trasferii subito.
Lei ha insegnato matematica per molti anni alle scuole Carducci di Bologna e sono tanti i suoi ex alunni che vengono oggi a farle visita a Villa Giulia… Nei mesi più cruenti della pandemia ho continuato a ricevere tante telefonate dai miei ragazzi. Le loro mamme mi scrivono ancora biglietti di saluti. Le dico solo un particolare del periodo in cui ho insegnato. Un anno è accaduto che, all’inizio del secondo ciclo, nel compilare la domanda d’iscrizione, i genitori di 70 alunni su 86 (ricordo ancora il numero) hanno indicato la preferenza per la classe in cui insegnavo io.
Com’è giunta, poi, a Villa Giulia? Sono stata sempre molto energica – gli amici mi chiamavano “il treno” – e ho sempre avuto una buona salute.
Soltanto all’età di novantatré anni ho incominciato ad avere qualche piccolo problema alle ginocchia. In casa avevo una badante, ma sono caduta due o tre volte. Allora con mia nipote abbiamo cercato una casa di riposo. Lei aveva sentito parlare bene di Villa Giulia, così quattro anni fa, all’età di novantotto anni, sono entrata nella Villa che porta il mio nome. Qui ho trovato un servizio eccezionale, in particolare per la direzione della proprietà, Ivonne Capelli, che ha il pregio di capire sempre come intervenire. Io qui mi trovo molto bene, anche se non è casa mia. Inoltre, qui il personale non è distante, ma partecipa alle attività della nostra quotidianità, non soltanto per le funzioni di competenza, e questa è una cosa importantissima.
Nei mesi scorsi lei è risultata positiva al Covid. Come ha vissuto quel periodo? Mi sono accorta di essere positiva grazie ai tamponi periodici che facciamo regolarmente qui. Ho subito chiesto una dama di compagnia e sono guarita grazie all’assistenza continua che offre la struttura. E non ho avuto paura di morire, innanzi tutto perché mi dispiacerebbe morire! Perché le dispiacerebbe? Io ringrazio il cielo di essere qui, perché sto bene. Voglio vivere, voglio vedere, voglio sentire, voglio godere di ciascun momento della vita. A volte avverto una specie di avvilimento, perché mi sentirei ancora la forza di fare tante cose. E, intanto, leggo e non finisco mai di leggere. Invece in gioventù studiavo, ma non leggevo.
Quale messaggio vuole dare ai giovani che ci leggono? Il lavoro è davvero molto importante.
Anche per fare gli operai è essenziale avere costanza e fare qualche sacrificio.
Non tutto è bello. Occorre prepararsi alle durezze della vita, al “come sa di sale lo pane altrui”, diceva Dante. Le gioie che proviamo hanno un prezzo.
Se dedichiamo la vita a costruire tramite il lavoro, il nostro impegno non sarà stato vano. Vi assicuro, lavorare non stanca e leggere non ci priva del sorriso.