65 ANNI AL SERVIZIO DELLE IMPRESE E DEI LORO LAVORATORI

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consulente del lavoro (Studio Zini Folli Giaffreda), presidente di Assindatcolf e vicepresidente di EFFE

Costituito nel 1956 da sua zia, Lella Zini, lo studio di consulenza del lavoro Zini Folli Giaffreda festeggia i suoi 65 anni al servizio di aziende dislocate in tutto il centro-nord, con prevalenza nelle provincie di Modena, Reggio Emilia e Parma, che occupano da uno a oltre 16.000 lavoratori, principalmente nelle aree contrattuali del terziario, della metalmeccanica, del lavoro domestico e degli studi professionali. Quando ha incominciato sua zia, non erano molte le donne che svolgevano attività professionali… È vero, non erano molte, ma, se consideriamo com’è nata la nostra professione, le donne erano in maggioranza, perché spesso si trattava di impiegate che lavoravano come tenutarie dei libri paga all’interno di studi di commercialisti, che poi si mettevano in proprio.
E com’è nata la professione di consulente del lavoro? Le leggi razziali, promulgate in Italia nel periodo fascista, escludevano gli ebrei dalle attività produttive, dall’insegnamento e dal pubblico impiego, e ponevano forti limitazioni allo svolgimento di tutte le cosiddette professioni intellettuali. Per evitare che gli ebrei s’insinuassero all’interno di studi professionali associati o in altre attività, fu istituito l’obbligo agli studi associati di menzionare nella dicitura tutti i componenti. A fianco di questa norma principale, sempre per gli stessi motivi, per tenere i libri paga e matricola (nei casi in cui non erano gestiti in azienda) si doveva ottenere un’autorizzazione dell’ispettorato corporativo del lavoro che era soggetta a revoca. Fu così che si sviluppò l’attività di “tenutari libri paga”, in seguito “consulenti del lavoro”, svolta per lo più da impiegate, come mia zia, sorella di mio padre, che nel ‘56 (l’anno in cui sono nato) si dimise dallo studio in cui lavorava per aprire uno studio al primo piano di un bel palazzo in pieno centro a Modena, in via Farini 20. Era un piccolo studio di una stanza e mezza, dove mi recavo ogni tanto da bambino e mi divertivo a giocare con la macchina da scrivere.
Dovendo riportare tutti i dati a mano nei libri paga e poi nelle buste paga, all’epoca i numeri erano veramente esigui: mia zia e due impiegate gestivano circa 200 dipendenti. Oggi, con i processi informatizzati, questo è il numero minimo che gestisce una persona da sola.
Purtroppo, in giugno del ‘75 mia zia morì, poco prima che io conseguissi la maturità scientifica, e così dovetti deviare la mia scelta universitaria: non più architettura a Firenze, ma giurisprudenza a Modena, perché dovevo prendere in mano lo studio. Quindi, mi trovai a fare il consulente del lavoro per caso.
A giudicare dai risultati, non si direbbe che lei abbia fatto il consulente del lavoro per caso, soprattutto se pensiamo che lei è entrato a far parte del Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro fin dal 1990 e poi ha assunto anche gli incarichi di vicepresidente di EFFE (European federation for family employment) e presidente di Assindatcolf (Associazione sindacale nazionale dei datori di lavoro domestico). E questa intensa attività associativa ha contribuito alla crescita dello Studio in termini culturali: voi, infatti, oltre a fornire servizi alle imprese con la massima competenza giuridica e amministrativa e a seguire le vicende della categoria nei suoi rapporti istituzionali a livello locale e ministeriale, siete interlocutori dei vostri clienti in un ambito molto complesso come quello dell’organizzazione del personale… Nella gestione delle cosiddette “risorse umane”, se non c’è un approccio culturale, si rischia spesso lo scontro fra le parti. E la cosa è complicata dal fatto che non ci sono molti avvocati giuslavoristi, in quanto è una specializzazione che non dà grandi soddisfazioni economiche.
Allora, a volte, ci capita di divenire “consulenti” in senso più ampio e, considerando che le nostre imprese sono in gran parte familiari, i clienti finiscono per chiederci consigli su tutto, anche su problemi di coppia, benché più raramente, per fortuna. È comunque un attestato di stima e di fiducia. I problemi che s’incontrano nelle aziende sono differenti e vari, ma noi non li affrontiamo mai in modo codificato e cerchiamo invece di ascoltare le esigenze sia dell’azienda sia del lavoratore, in ciascun caso.
Le relazioni sindacali potrebbero dare un apporto maggiore di quanto non avviene nella realtà, ma le aziende spesso e volentieri cercano di evitarle, perché hanno esperienza di inutili e costose lungaggini burocratiche che rallentano o bloccano il cammino verso la conclusione di una diatriba. E, adesso, con la destrutturazione del lavoro dovuta allo smart working, il sindacato perderà ancora di più il contatto con i lavoratori, quindi diverrà sempre più problematica la rappresentanza dei lavoratori, che sarà basata soltanto sulla causa singola, quando invece la natura del sindacato sarebbe quella di gestire problemi collettivi, non di singoli, salvo che non siano eclatanti.
Quali sono i settori in cui operano i vostri clienti e quali servizi offrite loro nello specifico? In prevalenza, seguiamo aziende dei settori del commercio (fra cui vari supermercati) e della metalmeccanica, studi professionali e colf; le aziende più grandi si occupano di servizi per le imprese, nelle tipologie del lavoro subordinato, para-subordinato e autonomo; interveniamo in materia previdenziale e assistenziale – dall’Inps all’Inail, Enasarco, Inpgi – e nelle forme complementari di previdenza e assistenza. Assistiamo le aziende nella contrattazione di secondo livello e, come consulenti di parte datoriale, nella contrattazione di primo livello. La ricerca, lo studio e l’innovazione nel diritto e nell’economia del lavoro, inoltre, ci consentono di assistere gli imprenditori nella gestione di crisi d’impresa, procedure concorsuali e cessazione dell’attività. Nelle operazioni straordinarie, affianchiamo l’impresa per le verifiche di aziende o di rami d’azienda, in ipotesi di acquisizioni e cessioni.
Per circa dieci anni siamo stati associati con uno studio di Reggio Emilia. Poi, nel 2008, è morto uno dei soci e siamo tornati a dedicarci interamente allo studio di Modena, insieme a mio cognato, Stefano Folli.
Di recente, abbiamo costituito una STP, in cui è subentrata una collega che già da un po’ di anni lavora con noi, Luisa Giaffreda.
Da quando lei ha preso le redini dello Studio, nel 1975, sono intervenute tante trasformazioni e varie crisi economiche… Quando ho iniziato la professione, le aziende clienti erano di dimensione piuttosto piccola, al massimo 20 dipendenti, anche perché si tendeva a internalizzare piuttosto che a esternalizzare i servizi, come si è incominciato a fare con l’avvento dell’informatica. Dalla seconda metà degli anni Ottanta, siamo arrivati a seguire clienti con 50 dipendenti al massimo. Poi, è intervenuta la crisi del ‘92, una crisi d’industrializzazione, in cui persero il lavoro i colletti bianchi, quindi ci fu un ridimensionamento delle strutture impiegatizie e una maggiore concentrazione sul personale di produzione, che durò cinque o sei anni.
Una grande svolta per noi è intervenuta grazie al socio di Reggio, che ci presentò un commercialista che aveva bisogno di una due diligence per l’acquisizione di un ramo d’azienda da parte di un grande gruppo reggiano, che occupa 15.000 dipendenti, con cui poi abbiamo collaborato per diversi anni, fino al 2008, quando le acquisizioni si fermarono a causa della crisi globale.
Tuttavia, grazie a quell’esperienza nel settore delle cooperative, abbiamo iniziato un’attività importante di consulenza per crisi di impresa, cassa integrazione, accordi sindacali e contratti di solidarietà, che ci ha permesso di variare la tipologia dei clienti: anche se manteniamo i clienti storici e le aziende medie e piccole, abbiamo intensificato l’attività di consulenza vera e propria, eseguendo altre due diligence, e siamo venuti in contatto con un altro grande gruppo cooperativo con cui abbiamo collaborato fino a tre anni fa, quando, dalla fusione fra tre grandi cooperative della distribuzione, è nato un colosso da oltre 22.000 lavoratori e 4,8 miliardi di fatturato, che ha affidato la leadership della gestione delle risorse umane alla componente modenese, mentre noi facevamo parte della struttura reggiana.
Dopodiché, dall’anno scorso, l’economia è ripiombata nella crisi che stiamo tuttora vivendo, quella pandemica, completamente differente da quella economica, che ci ha portato a incentivare le attività di gestione degli ammortizzatori sociali.
Intanto, lo Studio si era evoluto: non facevamo più soltanto consulenza del lavoro, ma anche formazione degli apprendisti e gestione delle posizioni previdenziali, oltre a tutte le attività legate ad Assindatcolf, di cui sono stato prima delegato provinciale, poi vicepresidente, poi componente del comitato esecutivo e, da settembre dello scorso anno, presidente. Dal 2015 ci siamo affiliati a EFFE (European federation for family employment), l’associazione europea di cui sono vicepresidente, da cui nascono iniziative che hanno un’incidenza politica notevole e richiedono il mio impegno anche al di fuori dello Studio. Chiaramente, questo è possibile grazie alla solidarietà dei miei colleghi, che invece si dedicano esclusivamente alla gestione dei clienti. È anche vero che da tre anni sono in pensione e non avrei più nessun obbligo. Tuttavia, il bello della libera professione è proprio questo: avere la libertà di lavorare molto più a lungo, sia durante la giornata sia nel corso della carriera.