LA RIUSCITA ESIGE L’INCONTRO DIFFERENTE E VARIO
L’attività del vostro laboratorio è un emblema del titolo
di questo numero della rivista, La vita differente e varia, perché il
vostro lavoro non è mai standard e ciascun collaboratore deve ingegnarsi per
dare risposte specifiche, oltre che altamente qualificate, ai casi che i
clienti dei settori dell’automotive, dell’aeronautico, del biomedicale e
dell’automazione vi chiedono di analizzare. Quindi, un vostro collaboratore non
può limitarsi a svolgere una funzione… Da noi il funzionario non
“funziona”, anzi, ciascun collaboratore deve divenire frontiera di se stesso,
deve aumentare costantemente le proprie competenze, man mano che il mercato offre
nuovi materiali, nuove strumentazioni e nuovi metodi di analisi.
E la competenza richiesta a ciascuno è talmente
specialistica che non può esistere al nostro interno una figura in grado di
dare la direzione tecnica a tutti i reparti e di determinarne la gestione,
l’innovazione e l’aggiornamento.
Prendiamo, per esempio, uno dei reparti produttivi, quello
dei controlli non distruttivi: non c’è chi possa vantare una competenza
specifica su tutte le tecniche di controllo, perché ne esistono di diversi tipi
e lo specialista degli ultrasuoni, per esempio, non ha competenze nella
tomografia.
La stessa cosa vale per il laboratorio di analisi dei
materiali: gli specialisti della corrosione probabilmente sanno poco o nulla
delle prove di fatica, perché sono settori completamente differenti, anche se
sono uno di fianco all’altro. Allora, è veramente indispensabile che almeno
ciascun responsabile di settore sia sempre all’avanguardia della materia di cui
si occupa. Il responsabile delle prove di corrosione, per esempio, deve capire quali
sono i processi di corrosione sui nuovi materiali, che cosa può determinare la
corrosione di un acciaio o di un alluminio, come si comporta invece un
manufatto costruito in additive, magari con le stesse leghe.
Occorrono anni di preparazione per divenire specialisti di
una materia, e non si è mai “arrivati”. La nostra responsabile del personale ha
un bel da fare quando cerca un nuovo ingegnere da assumere, anche perché non ci
sono lauree o diplomi per divenire tecnici specializzati nelle analisi che eseguiamo
noi, per cui non è facile trovare un candidato senza sapere dove cercarlo.
Oltre a essere un laboratorio di eccellenza in Europa,
quindi, il vostro è un vero e proprio centro di ricerca, nel senso che ciascun
collaboratore deve divenire ricercatore, non deve porsi limiti e deve avere una
curiosità intellettuale e un interesse per la materia che gli consentono di
trovare la differenza e la varietà nei singoli casi… Deve confrontarsi
costantemente con il mercato e capire se nel suo settore c’è qualcuno più bravo
di lui.
Indubbiamente c’è, anche se magari segue un mercato
differente: lo stesso tipo di test acquisisce significato e importanza diversi
in funzione del campione che si sta analizzando, perché un determinato
materiale può essere utilizzato per costruire componenti molto diversi.
Tuttavia, quando ricerchi cause di difettosità o rottura di un componente, non
puoi considerare solo il materiale in sé, ma anche la specificità dell’oggetto
e la sua storia.
Vorremmo che ciascuno dei nostri collaboratori fosse il
migliore nel suo settore. Spesso il nostro limite siamo noi stessi; per
migliorare occorre superare se stessi, alzare continuamente l’asticella. E, a
proposito di asticella, mi viene in mente il paragone con il campione Serhij
Bubka, che stabilì 35 nuovi record mondiali di salto con l’asta (saltando fino
a 6,15 metri indoor nel 1993 e 6,14 metri outdoor nel 1994). Quasi sempre, i
nuovi record furono miglioramenti del proprio stesso record. Bubka era un
personaggio, oltre che un campione, e presto si diffuse la leggenda che in
realtà avesse volontariamente centellinato per anni le proprie possibilità per
essere in grado di stabilire un nuovo record a ogni evento successivo. Questo
gli consentiva, da una parte, di guadagnare più bonus da parte dello stato, che
premiava gli atleti a ogni nuovo risultato, e, dall’altra, di ottenere maggiore
visibilità sui media.
È un bell’esempio per chi lavora in un’azienda come la
nostra, un invito ad adottare questo approccio: migliorarsi e valorizzarsi
all’interno e all’esterno, perché se hai migliorato le tue prestazioni e lo
comunichi, oltre a te stesso, ne beneficiano i colleghi e l’immagine dell’azienda.
Possiamo dire che siete specialisti della differenza e
della varietà… Nel nostro laboratorio dobbiamo cercare la differenza tra
ciò che dovrebbe essere e ciò che è, indaghiamo perché un componente si rompe e
un altro, fratello gemello, rimane intatto. Dov’è la differenza? Che cos’è avvenuto?
Queste sono le indagini che eseguiamo nel corso delle failure analysis:
dove e come ha lavorato un componente, in che tipo di ambiente, com’è stato
montato, a quali sforzi è stato sottoposto fino a provocarne la rottura.
Raccontando, si scoprono belle differenze, si scopre la storia di un componente
e spesso anche di chi lo ha utilizzato.
Quando accade qualcosa che non ci aspettavamo,
constatiamo la differenza, la varietà e la trasformazione… A volte,
sperimentiamo la differenza in termini negativi, come scostamento tra ciò che
otteniamo e ciò che avevamo progettato. Ma non può essere altrimenti, se
operiamo in sistemi complessi. E qui mi preme fare una precisazione: un sistema
complesso è differente da un sistema complicato. Il sistema complicato è come
un puzzle di centomila pezzi: servirà molto tempo per metterli insieme, ma con
pazienza ci riesci e il risultato è precisamente quello che ti aspettavi. Nei
sistemi complessi invece, ciascuna azione che compi comporta una variazione nel
sistema stesso. Quindi, se progetti dieci azioni consecutive, non ti
sorprendere se il risultato conclusivo non è esattamente quello che avevi
pensato. Questo è vero soprattutto quando hai a che fare con le persone. Prima
parlavamo dell’assunzione di personale: ebbene, quando assumiamo un bravo
ingegnere, pensiamo che ci risolva alcuni problemi e lo inseriamo all’interno di
una squadra. Questo comporta che all’interno della squadra ci sia un riassestamento:
i vari componenti s’incontrano e speriamo che si apprezzino e si aiutino a
vicenda. E se, invece, non si apprezzano e incominciano a litigare? Otteniamo
delle grandi differenze rispetto a ciò che avevamo progettato. Quando
addirittura le azioni da intraprendere sono tante – assumere un ingegnere,
installare una nuova macchina, collegarla a un’altra, incaricare il
responsabile IT del collegamento per lavorarci da remoto, e così via –, non ci
sorprendiamo se il quadro non è del tutto armonico. Saper accogliere e
accettare le differenze o intervenire per orientare le azioni verso il
risultato atteso richiede grandi capacità ed è una bella scommessa.
Poi, però, c’è la differenza che ti sorprende in modo
positivo, la differenza come valore aggiunto, qualcosa di nuovo, d’inaspettato,
per esempio, la differenza che fa un’idea. È strano come, il più delle volte,
un’idea arrivi all’improvviso e non capisci da dove provenga. Se mi chiedo
perché ho pensato una cosa, certamente trovo qualche aggancio, ma non è una successione
logica; scherzando, dico che due neuroni si sono incontrati, si sono dati la
mano, si sono presentati, hanno messo in comunicazione alcune cose ed è nata
l’idea. Allora, l’idea non è la più bella delle differenze? Prima non c’era e
adesso c’è.
Quindi, quando metti insieme persone che hanno idee diverse,
è tutto un fiorire di differenze, di opportunità.
Poi qualcuna la porterai avanti, altre rimarranno soltanto
bellissime idee, perché non ci sono le condizioni affinché divengano operative,
però nessuno ci toglie il piacere d’incontrare persone che fanno la differenza
con le loro idee nuove. Ma per avere nuove idee occorre una grande apertura,
altrimenti le idee rimangono sempre le stesse e con le idee fisse non si va da nessuna
parte. Anche la lettura giova alle idee che, nella vita dell’impresa, non
bastano mai.
Negli incontri con i clienti, per esempio, può capitare di
trovarsi in situazioni impreviste, in cui occorre ingegnarsi per uscire
dall’imbarazzo di avere di fronte qualcuno che non la pensa come te. Allora,
devi capire da cosa nasce questa differenza, anche per provare a variare i
termini, il tono di voce, devi capire se rispondere in modo estremamente
gentile a un atto che invece non lo era, quindi produci un effetto di sorpresa
nell’interlocutore.
Per esempio, una persona alza la voce in tono di rimprovero:
“Lei non dovrebbe fare questo, ha capito?”, e tu gli rispondi serafico: “Sì, ho
capito, ma adesso venga che prendiamo un caffè”.
In questo modo, le cose procedono dall’apertura,
dall’ironia. Se non c’è ironia, tutto risulta pesante, ognuno prende le cose in
modo personale e poi assume la mortificazione, l’amarezza… Purtroppo, la
situazione che stiamo vivendo in questa pandemia è proprio il contrario
dell’apertura, perché ci costringe a parlare attraverso i media, dove la
comunicazione è ridotta all’osso, manca l’essenziale dell’incontro di persona,
quel processo che ti consente di capire tante cose senza bisogno di chiederle e
di assumere un approccio differente a seconda di ciò che cogli. Questo
benedetto telelavoro sta producendo danni enormi anche dal punto di vista
dell’apertura e, se ci abituiamo al fatto che questo è il modo di comunicare,
ci chiudiamo sempre più in noi stessi e non abbiamo più neanche la semplice necessità
di vestirci in modo decoroso e adeguato rispetto all’ambiente a cui ci
rivolgiamo. Quale ambiente? Siamo davanti a una telecamera che ci riprende a
mezzobusto, se sotto siamo in mutande non se ne accorge nessuno. Magari per un
po’ il business si farà anche in mutande, ma, a lungo andare, questo comporta
un impoverimento, perché noi abbiamo bisogno anche dell’immagine e la comunicazione
non avviene soltanto con le parole, avviene con i gesti, con gli sguardi, con i
colori reali, con il timbro della voce dal vivo, con una piccola piega che si
forma sul labbro, con un quadro alla parete, con un profumo nell’aria e con
tutto ciò che rende la vita differente e varia.