L’ARTE E L’INVENZIONE ITALIANA CONTRO LA DITTATURA CINESE
Secondo i dati del “Rapporto Analisi dei Settori
Industriali ottobre 2020 – Highlights” di Prometeia in collaborazione con
Intesa Sanpaolo, la crisi innescata dal Covid-19 avrà effetti importanti anche sulla
redditività manifatturiera, modificando la geografia del comparto stesso nel
prossimo biennio. Per favorire la velocità di ripresa sarà decisiva la spinta
degli investimenti, essenziale per il rilancio del settore industriale del paese.
L’economia cinese, intanto, registra una crescita positiva del PIL del 4,9 per
cento rispetto allo scorso anno… In Cina, su 1 miliardo e 400 milioni di
abitanti, i nuovi ricchi sono 300 milioni, per cui è impensabile frenare lo
sviluppo di quel paese. Anche l’Europa ha tratto grandi vantaggi da questo.
Consideriamo, per esempio, le produzioni di automobili che sono state
trasferite: Volkswagen ha più di venti stabilimenti in Cina, dove ha spostato
ben due terzi della produzione, e lo stesso vale per Mercedes e Audi. Mentre in
Europa il rispetto delle normative ambientali incide sul costo del prodotto,
produrre in Cina risulta più vantaggioso perché – fino a pochi anni fa –
l’industria non era tenuta al rispetto di questi parametri: i ridotti costi della
produzione si traducono in una vera e propria concorrenza sleale.
È in atto un trasferimento di ricchezza dall’occidente
all’industria cinese, favorito dal mancato rispetto delle regole della
produzione da parte del governo di Pechino. Ma tutto questo avviene con la
complicità dell’occidente, perché sta trasferendo in Asia Orientale lavorazioni
ad alto tasso d’inquinamento: apparentemente noi non inquiniamo, perché importiamo
il prodotto. Sono stato in Cina in diverse occasioni e mi è bastato per capire che
in quel paese la morale è legata unicamente al profitto, ma poiché lo stato
sostiene chi gli è fedele, chi vuole diventare ricco deve seguire i diktat
della politica. E chi è diventato ricco è accettato come ricco – non è demonizzato,
come avviene in Italia – e diventa così un modello da seguire. Il paese è governato
da una dittatura, dove manca il dibattito e l’informazione non esiste; i cinesi
non sanno cosa siano i sindacati, ma in compenso hanno abbondanza di manodopera.
Oggi la Cina è un paese sfrenatamente industrializzato, che ha inaugurato una
nuova era per il mercato delle materie prime (di cui si è accaparrato la
maggior parte delle miniere nel mondo). Il 19 novembre scorso, infatti, sono
partiti gli scambi del primo contratto future sul rame, quotato su una borsa
cinese, quindi in yuan, rivolto a investitori internazionali.
Soltanto quest’anno il paese ha importato oltre il 40 per
cento del rame, di cui rappresenta oltre la metà della domanda mondiale e che
adesso condizionerà ancora di più.
Inoltre, nel continente africano aumenta sempre di più
l’egemonia cinese, sia politica sia culturale. Il direttore generale dell’OMS è
stato designato de facto dal governo di Pechino, che stanzia i fondi per la sede
di Addis Abeba – cosa peraltro denunciata da Donald Trump – e costruisce intere
città in Africa, soprattutto in Etiopia, pianificando la vita delle popolazioni
residenti. In altre parole, la città non nasce intorno all’uomo, ma è
progettata e costruita per ghettizzare l’uomo, inteso come un prodotto di
arredamento. Noi potremmo emulare questa capacità organizzativa, dal momento
che siamo stati capaci di costruire l’Autostrada del Sole in 7 anni;
l’autostrada Asti- Cuneo in 22 e che oggi finisce in un campo; mentre è ancora in
sospeso la bretella Sassuolo-Campogalliano, strategica per ridurre tempi, costi
e inquinamento di una zona che è leader nel mondo nel comparto della ceramica, e
lo stesso vale per la tangenziale di Bologna.
La chance dell’industria italiana è forse ancora di più
oggi la sua grande capacità di arte e ingegno? Il nostro tessuto
industriale viene da un antico cammino. Lo sviluppo a cui siamo giunti oggi è
frutto dell’integrazione di arti e mestieri trasmessi dai nostri avi. Per
quattro secoli, dal XV al XVIII secolo, Bologna è stata crocevia della seta,
con sei o sette porti che collegavano la città a Ravenna, fino alla Packaging
Valley di oggi. Era un’arte fare i motorini negli anni sessanta. L’industria è nata
da questa pratica. Quando oggi vediamo dall’alto, per esempio da un drone, i
bei terreni coltivati e le colline con le vigne ben delineate nella Pianura
Padana, dobbiamo pensare che questa bellezza viene dall’arte e dall’industria
dell’uomo, il quale, attraverso un mezzo meccanico oggi potenziato dall’elettronica,
ha inventato macchine che disegnano il bello dell’Italia. Di questo paesaggio ne
godiamo tutti, perché è il frutto di arte e di industria.