LE COOPERATIVE, UNA VALIDA RISPOSTA ALLA CRISI

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presidente di Confcooperative Bologna, direttore generale di Emil Banca Credito Cooperativo

In luglio scorso lei è stato eletto nuovo presidente di Confcooperative Bologna e dal 1990 è il direttore generale di Emil Banca Credito Cooperativo. Ma il suo percorso nella cooperazione è incominciato oltre cinquant’anni fa, quando, appena diciassettenne, decise di cooperare con il papà, nella sede unica della Cassa Rurale di Monzuno. Oggi, in tempi di Covid-19, sono tante le cooperative che stanno dando prova di tenuta, a conferma di un modo di fare impresa che risulta vincente proprio durante le crisi. Qual è la sua testimonianza? Potremmo dire che ho incominciato a cooperare fin da quando frequentavo i corsi di quarta e quinta ragioneria. In quegli anni mi è capitato di aiutare papà, quando era necessario conteggiare, a mano, gli interessi sui libretti della Cassa Rurale Artigiana di Monzuno. Avevo diciassette anni e quell’esperienza è stata per me straordinaria, anche perché ho avuto occasione di toccare con mano quanto stretti fossero i rapporti tra i Soci e la Cooperativa, allora gli unici clienti della banca.
Il papà era segretario (non esisteva ancora la figura del direttore) della Cassa Rurale, che era aperta per qualche ora al giorno perché appunto serviva soltanto i soci del paese. Era una piccola banca, quindi, gestita da un solo dipendente, mio padre, il quale al mattino svolgeva il lavoro di maestro elementare e nel pomeriggio si recava a Monzuno per tenere aperto lo sportello della Cassa.
Qualche anno più tardi sono stato assunto dalla Banca del Monte di Bologna e Ravenna e, nel 1974, all’età di 23 anni, ero il più giovane direttore della storia di questa banca che operava da oltre 500 anni. Tuttavia mi era rimasta nel cuore la Cassa Rurale.
Nel frattempo la piccola banca era cresciuta e mio padre aveva lasciato il posto ad altro personale. L’occasione di parlare di nuovo della Cassa mi capitò, grazie allo sviluppo della stessa, quando gli amministratori cercarono un vice direttore e fecero a me la proposta. Io accettai, pur essendo già direttore di una filiale della Banca del Monte di Bologna e Ravenna. Ricordo bene che i miei colleghi scommettevano che in poco tempo quella piccola banca avrebbe chiuso, essendo ubicata in un paese di montagna con un’economia depressa.
Ma io ero innamorato di quel modo cooperativo di fare banca, perché la società offriva supporto principalmente a chi non aveva accesso al credito in altre banche, soprattutto quando non aveva patrimoni alle spalle. Nella Cassa Rurale ho assistito a operazioni di finanziamento incredibili, legate davvero soltanto alla buona volontà e all’onestà dei soci. Allora ci si conosceva fra cooperatori e i finanziamenti erano concessi anche con una stretta di mano: quel modo di lavorare mi è rimasto nell’anima.
Da molti anni sono diventato il direttore generale della banca e mi piace pensare che la mia azienda è passata da 7 dipendenti (me compreso) ai 700 attuali, moltiplicando per cento il numero delle famiglie che traggono il loro reddito da questo istituto. Ancora oggi il nostro sviluppo è molto forte e superiore a quello del resto del sistema bancario.
Questo credo sia dovuto al fatto che siamo riusciti a mantenere la natura di vera banca locale: non abbiamo mai smesso di ascoltare le persone, cercando certo di risolvere i loro problemi finanziari ma non solo. Ovviamente valutiamo il merito creditizio di chi ci chiede soldi (altrimenti non saremmo un’impresa), ma con un atteggiamento molto collaborativo verso i clienti.
Qual è la peculiarità della Banca Cooperativa oggi? La natura della Cassa Rurale credo che oggi emerga più che mai: ai nostri clienti non facciamo condizioni civetta soltanto per acquisirli e poi cambiarle dopo 6 mesi. Ci rivolgiamo a loro – continuo a ripeterlo ai miei collaboratori – con la prospettiva di mantenerli per almeno tre generazioni e perché questo accada dobbiamo essere corretti, trasparenti e disponibili.
E la cosa bella è che stiamo assistendo al passaggio delle quote sociali da padre in figlio. Ricordo che siamo la prima banca in assoluto (non solo cooperativa) che ha ottenuto il rating sociale, la seconda dopo di noi è Banca Etica. Il rating sociale è frutto della certificazione che emette una società internazionale, misurando la capacità della banca di raggiungere gli obiettivi sociali. E gli scopi sociali indicati nel nostro statuto non sono soltanto di ordine economico, ma anche di natura sociale. Nell’articolo 2, infatti, è scritto che dobbiamo lavorare per far crescere da un punto di vista economico, sociale, culturale e ambientale le comunità con cui lavoriamo; e questo al fine di creare coesione sociale. Sono termini straordinariamente importanti, perché sono stati scritti nei nostri statuti in anni in cui non si parlava come oggi di coesione sociale e di crescita sostenibile.
Come stanno rispondendo le cooperative alla crisi innescata dalla pandemia? L’impatto economico è uguale per tutti, la pandemia non sceglie chi colpire.
Ma la reazione è molto diversa a seconda del tipo di impresa. È più facile che un imprenditore decida di non investire più in azienda, perché per esempio può avere già conseguito gli obiettivi economico-finanziari e si ritiri, piuttosto che sia una cooperativa a prendere questa decisione, perché sono gli stessi dipendenti a lavorare in quella impresa, quindi la decisione sarà presa in modo più attento ai diversi interessi in gioco.
Inoltre, in alcuni casi sono i dipendenti ad acquistare le azioni della società – si chiamano workers buyout –, quando l’imprenditore decide di ritirarsi dal mercato, perché considera non più economico continuare a operare o perché nella famiglia non è stato superato il problema del passaggio generazionale. Operazioni come queste si stanno effettuando abbastanza spesso attualmente e le associazioni di cooperative, che sono riunite in Alleanza delle Cooperative Italiane, quindi Confcooperative, Lega e AGCI, hanno chiesto a livello governativo di dedicare maggiori fondi per l’acquisto di aziende in crisi da parte dei dipendenti. Queste imprese, infatti, hanno bisogno di capitali che possono immettere anche i dipendenti, rinunciando a parte dei loro compensi o indebitandosi con le banche, come sta avvenendo in questo momento; oppure è il pubblico che investe direttamente nell’impresa.
È molto importante che ciò avvenga, perché contribuisce a tenere viva un’impresa, in modo che possa continuare a produrre reddito, dando quindi occupazione ai dipendenti e creando anche i presupposti per una contribuzione pubblica.
In questo momento quali sono i settori in cui le cooperative rispondono meglio alla crisi? Sono diversi; nel settore agroalimentare, per esempio, c’è il caso del Parmigiano Reggiano, che oggi registra un incremento delle vendite perché meno gente è al lavoro e più mangia in casa. Il Parmigiano Reggiano, in quanto prodotto di alta qualità, viene consumato in casa e meno al ristorante. Non a caso il prezzo del Parmigiano è aumentato a seguito della crescente richiesta.
Altri prodotti del settore, invece, a seconda del canale di vendita, possono essere o meno in difficoltà. Le aziende vinicole, per esempio, in cui i produttori tendevano a prediligere la vendita ai ristoranti, oggi sono in crisi perché i ristoranti sono chiusi. I consorzi di vini che vendono direttamente al consumatore, invece, stanno aumentando le vendite.
Per quanto riguarda la Banca, registriamo una fortissima crescita dei risparmi. Questo per due motivi: le famiglie tendono a non spendere e quindi risparmiano di più, ma principalmente perché le aziende tendono a non investire, parcheggiando in conto corrente risorse spesso anche elevate.
Poi, devo fare una considerazione rispetto agli aiuti statali. A mio parere finora sono stati troppo frammentari e non mirati: questo ha determinato un forte incremento del debito dello stato, senza peraltro riuscire a salvaguardare un bene primario come le imprese che creano lavoro.
In questo periodo, ma non solo, stiamo assistendo ad operazioni speciali di passaggio di aziende dagli imprenditori ai dipendenti, i cosiddetti workers buyout. Anche in questo caso è auspicabile che lo Stato aiuti con decisione tali operazioni, in modo che si possano mantenere in vita le aziende che danno lavoro e quindi mettono in circolo una comune ricchezza.
In qualità di presidente di Confcooperative Bologna qual è oggi il suo messaggio? Ripeto che è necessario finalizzare le risorse che abbiamo in Italia a chi crea lavoro e non è più tempo di assistenzialismo.
E in questo occorre dire che la cooperazione è assolutamente in prima linea; è facile capire perché queste imprese stanno dimostrando più resilienza delle altre: qui si tratta di difendere i posti di lavoro, e quindi la redditività delle famiglie dei Soci della cooperativa, e non di decidere se investire o meno risorse private.
Oggi più che mai nell’impresa, anche grazie alle cooperative, sta venendo meno la suddivisione tra lavoratore e imprenditore, a vantaggio di un’integrazione che resta imprescindibile per rilanciare il paese… Questa situazione ha messo ancora di più in evidenza l’importanza del lavoro, sia del dipendente, che capisce che la sua azienda sta in piedi soltanto se lui produce, sia dell’imprenditore, che capisce quanto sia importante il collaboratore. Oggi il vero valore delle società sono i collaboratori e chi non capisce questo andrà fuori mercato.