LA MEMORIA PRAGMATICA, LE SUE ARTI E LE SUE INVENZIONI
La memoria non consente l’unità. Così accade che della memoria giungano fino a noi dalla
Grecia antica miti diversi intorno a Mnemosine, la dea della memoria. Figlia di
Urano (il cielo) e di Gea (la terra), dopo aver giaciuto nove notti con Zeus,
la dea partorisce le Muse, divinità delle arti, che danzano e cantano in musica
e in versi racconti intorno alla nascita del mondo, degli uomini, degli dèi e
delle imprese del padre, Zeus. Secondo altri autori, come Pausania, Mnemosine è
invece il nome di una delle due fontane site all’ingresso degli Inferi. Bevendo
l’acqua da una fonte è concesso ricordare, mentre, bevendo l’acqua dell’altra
fonte, Lete, è possibile dimenticare.
La memoria procede dall’apertura originaria, cielo e terra
come ossimoro.
Il mito insiste: la memoria esige il cielo come apertura.
Altrimenti che ne sarebbe delle Muse e dell’arte? Anche l’arte, infatti, come
l’invenzione procede dalla questione aperta.
L’articolazione e l’invenzione della memoria intervengono
nel processo linguistico narrativo pragmatico. Il viaggio della parola, nella
sua struttura pragmatica, avviene nella combinazione della tecnica come arte e
della macchina come invenzione (secondo l’etimo greco). Altrimenti sarebbe la memoria
come riproduzione del fatto penale nel processo. Occorre distinguere la memoria
dal ricordo che riproduce il fatto secondo un’idea di pena. Questo ricordo è
penoso e la vita rivolta ai ricordi come fatti vissuti è sempre in pena, ne è
un esempio quanto sta accadendo con il Covid-19, nella gara fra i media a
ricordare l’altra vita del Novecento.
Non sul ricordo poggia la memoria ma sulla dimenticanza,
come nota Machiavelli: “Sdimentico ogni affanno”, quando ciascuna sera “entro
nelle antique corti degli antiqui huomini”, con la lettura. La memoria si fa di
sogno e dimenticanza, con cui le cose entrano nel racconto, nel fare,
procedendo per integrazione. È con l’emergenza del rinascimento che la memoria
come esperienza di ciò che si fa non è più ricordo. Anche nell’umanesimo era considerata
come ricordo, e umanisti come Raimondo Lullo si ingegnavano per inventare
macchine e tecniche per ricordare. Oggi i transumanisti come Raymond Kurzweil
cercano con le tecnologie prossime venture la macchina perfetta, che consenta
di gestire la memoria di tutte le macchine e di tutti gli umani del pianeta.
Ma la lezione del mito, secondo cui Mnemosine è la madre
delle Muse, dunque delle arti e delle invenzioni, indica che la memoria
pragmatica è la struttura delle arti e delle invenzioni, delle tecniche e delle
macchine, non viceversa, come ritiene ogni umanesimo.
La memoria non è gestibile perché non è un deposito di dati.
La memoria è esperienza pragmatica in atto, atto proprio del fare, del
raccontare, del costruire. E, mentre il ricordo punta sempre all’unità ideale,
a chiudere la questione per confermare un’identità ideale – come per esempio
l’idea di origine, il ghénos ideale –, la memoria si specifica come
esperienza pragmatica dell’avvenire in atto, non del già avvenuto, secondo la
nozione comune di esperienza fondata sul passato. Credere nell’accumulazione
dell’esperienza è limitarsi, perché esclude quanto di nuovo accade e il destino,
così, anziché destino di valore diviene destino ineluttabile.
Lo notiamo quando, ascoltando l’interlocutore che crediamo
di conoscere, riportiamo quanto dice ai ricordi, a schemi prefissati. In questo
caso, l’avvenire si conforma al ricordo, la memoria in atto è cancellata e l’Altro
è escluso. Non c’è ascolto e non c’è novità, perché interviene l’idea di conoscenza,
ovvero l’idea di male, perché per la gnosi l’idea di bene si fonda sulla
conoscenza del male.
Ma, senza la memoria dell’avvenire, senza l’ascolto (che non
procede dalla conoscenza) e il racconto, anche il rischio assoluto come rischio
di riuscita è tolto. Accade spesso, nell’impresa, di ascoltare il racconto del
progetto e del programma dell’imprenditore. Il bello dell’impresa è già nel racconto
dell’esperienza in atto, nel racconto pragmatico, come possiamo leggere negli
interventi degli imprenditori della “Città del secondo rinascimento”. Non è la case
history che qualifica l’impresa, ma la direzione in cui va la scommessa di riuscita
di ciascuno. Questa scommessa si gioca nell’industria, che implica la
combinazione indispensabile fra la macchina e la tecnica, fra l’invenzione della
memoria e l’arte della memoria: l’ingegno interviene nel modo del gerundio, facendo.
L’ingegno non è il congegno per misurare o per risparmiare la memoria.
Il fare senza l’industria è soggetto all’idea di creatività,
ovvero all’ideale del creare dal nulla, a partire dalla cancellazione della memoria,
cui seguono tutti i blocchi e i contraccolpi di chi crede che occorra avere o
essere per fare. La memoria senza il fare, invece, è guidata dall’ideale, non
dall’idea che opera alla riuscita.
Lo statuto di imprenditore sfata queste credenze. Non a caso
la memoria come invenzione è la formazione dell’imprenditore e la memoria come arte
è l’insegnamento dell’imprenditore.
L’invenzione e la tecnica, la formazione e l’insegnamento,
senza la memoria diventano la cosiddetta innovazione e il tecnicismo, ideologie
della macchina e della tecnica secondo l’idea di fine del tempo, senza il modo del
ritmo proprio al fare.
La mnemomacchina e la mnemotecnica, prodotti dell’umanesimo,
escludono l’esperienza pragmatica.
Questa esperienza è stata introdotta dalle botteghe
rinascimentali con Leonardo da Vinci e Machiavelli e ripresa dai nostri
artigiani e imprenditori. È esperienza non purista, senza epurazione dell’errore
di calcolo costitutivo dell’industria. L’ingegneria della memoria non corregge
l’errore in nome di un sapere ideale perché è ingegneria del fare, delle cose
che si fanno secondo occorrenza, proprio perché il fare segue il racconto
industriale.
La forza dell’industria, anche durante le crisi, è la sua
tensione verso la cifra, la qualità e un’altra salute.
Per questo è essenziale l’analisi della struttura direttiva
nel dispositivo di brainworking, dispositivo di arte e d’invenzione,
dispositivo della memoria pragmatica in atto, dispositivo industriale.