IL VALORE ASSOLUTO NASCE DALL’INCONTRO

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imprenditore, Officina Bertoni Dino Srl e Officina Meccanica Bartoli, Modena

L’indagine congiunturale sul primo semestre 2020, pubblicata dalla Camera di Commercio di Modena il 31 luglio scorso, riporta i dati relativi all’andamento dell’industria e del commercio nella provincia di Modena, in cui gli effetti del lockdown sono stati piuttosto sfavorevoli, considerando che è un’economia basata in prevalenza sulla manifattura… Il crollo maggiore nella manifattura è stato registrato nel settore metalmeccanico, con i mezzi di trasporto che hanno perso oltre il 60 per cento del fatturato, mentre la produzione di macchine e apparecchi meccanici si è attestata al -14,6 per cento e le lavorazioni meccaniche di base hanno subito un calo del 6 per cento.
Accanto alle aziende che rischiano la chiusura, tuttavia, nella nostra provincia se ne trovano altre che sono addirittura riuscite a cavalcare la crisi mantenendo un trend di crescita, anche in virtù della loro forte vocazione all’export.
Non dev’essere stato facile seguire i clienti, soprattutto all’estero, con le limitazioni agli spostamenti fra un paese e l’altro… È vero, e le difficoltà negli scambi commerciali ci sono tuttora, anche perché alcuni paesi sono in piena pandemia. Però, durante questi mesi di isolamento imposto, sono cresciuti molto gli investimenti nelle tecnologie digitali, che hanno consentito alle imprese d’inventare nuovi modelli organizzativi, di marketing e di rete tra fornitori e clienti. Inoltre, è aumentata l’analisi delle esigenze dei clienti per offrire un servizio sempre più personalizzato. È curioso: proprio nel momento in cui gli incontri erano limitati al minimo indispensabile, sono aumentate le occasioni di collegamento telematico per essere al fianco di ciascun cliente, in un modo e con una frequenza mai sperimentati prima. Sono rallentati, invece, gli spostamenti ritenuti superflui, con effetti deleteri per il settore alberghiero e per quello della ristorazione. E la preferenza per lo smart working non accenna a diminuire, anzi, a metà agosto, la società di asset management Schroders ha deciso che “i dipendenti potranno lavorare da casa tutta la settimana in modo permanente”, suscitando la preoccupazione del sindaco di Londra, Sadiq Khan, che ha lanciato un appello affinché la gente torni al lavoro, sottolineando che “se tutti decidono di lavorare da casa, il centro di Londra avrà grandissimi problemi. Tante piccole imprese si sostengono con il viavai di lavoratori: i bar, le tintorie, i calzolai e così via” (“Corriere della Sera”, L’Economia, 16 agosto 2020). Chiaramente, questo vale per ciascuna città.
C’è chi esalta vantaggi del telelavoro come la riduzione dell’inquinamento e dello stress legato a spostamenti non necessari e promuove la fuga in campagna, dove le case costano quasi la metà e si può condurre una vita più a misura d’uomo, con tempi diversi e in posti che prima non erano così appetibili o lo erano soltanto come luoghi di villeggiatura o seconde case. Sembra che stia aumentando il numero di coloro che non vogliono più vivere in città. Per quanto mi riguarda, amo il centro di Modena, non ho bisogno di un luogo ameno in cui ricollegarmi alla natura, non sono come William Blake, che cercava la tranquillità della brughiera per trovare ispirazione.
Soltanto attraverso l’incontro, lo scambio e il confronto riesco a dare il massimo. Le tecnologie digitali sono importanti per mantenere un collegamento costante e fare in modo che nessuno sia isolato, ma non potranno mai sostituire l’incontro.
Come si può paragonare una chat via web a una conversazione dal vivo? Sarebbe come chiedere a un artista di dipingere utilizzando soltanto colori primari e privando così l’opera delle sfumature. Il digitale può trasmettere informazioni, non emozioni o impressioni, che hanno bisogno dei cinque sensi, non soltanto dell’udito e della percezione visiva, tra l’altro falsata dalla bidimensionalità dello schermo. Per questo un museo virtuale, anche se riproducesse tutte le opere del mondo, non sarebbe in grado di regalare le sensazioni che un dipinto può dare dal vivo, attraverso l’odore della tela, la percezione della pennellata impressa dall’artista e la luce che le dà rilievo, a seconda della prospettiva e della statura di chi guarda. Sullo schermo, invece, per quanto la riproduzione sia perfetta, l’opera si vede secondo una luce che non si può scegliere e un’inquadratura che è sempre uguale.
È la stessa differenza riscontrabile nell’ascolto della musica dal vivo o da un dispositivo. Oggi sul mercato esistono molti dispositivi digitali che riproducono alla perfezione suoni che un tempo erano esclusivamente analogici. Quando suono i miei strumenti, in particolare la chitarra, posso scaricare dispositivi digitali che mi permettono di farla suonare come se fosse collegata a un amplificatore degli anni Sessanta. A quel punto, se sovrapponiamo una registrazione digitale a una analogica, otteniamo curve vicinissime fra loro, tanto che l’orecchio umano non riesce a distinguere la differenza. Invece la differenza c’è e rimane netta nella sensazione sonora: il mio timpano vibra secondo la pressione sonora che le casse esercitano sul mio corpo.
Questo è il suono, non la curva che riusciamo a digitalizzare. Il digitale imita tutto, ma non può riprodurre la pressione, perché non c’è il materiale che la esercita.
Anche quando un dipinto famoso deve essere riprodotto in 3D, sono convocati gli esperti per campionare i colori e la pressione del pennello esercitata dall’artista e per stabilire molti altri parametri, che rendano la stampa quasi identica all’originale.
Eppure, non sarà mai come l’opera dipinta dall’artista, soprattutto perché non riuscirà a riprodurre i difetti sfuggiti alla sua mano. Ciò che fa l’arte è il miracolo, ovvero l’assoluta impossibilità della perfezione.
Nell’incontro con un’opera d’arte, come in ciascun incontro, la comunicazione sta nel miracolo, cioè in quello 0,2 per cento che rende la comunicazione non pienamente riuscita. Nel paradosso di Zenone, Achille non potrà mai raggiungere la tartaruga, perché l’umanità è contraddistinta dall’imperfezione nell’incontro, imperfezione che spinge a compiere sempre ancora un altro passo. Infatti, se la comunicazione fosse perfetta, noi comunicheremmo una volta e poi non avremo più niente da dire.
È l’incomprensione che ci porta a confrontarci. Il mito di Zenone vive in questo: nella necessità di ripercorrere sempre, costantemente, la stessa cosa, lo stesso errore, lo stesso incontro, la stessa spirale di realtà, per cercare e per trovare ciascuna volta qualcosa di differente: il miracolo della differenza permette al volano di compiere un altro giro.
L’artista del Rinascimento, come l’imprenditore, non classificava le opere a seconda che fossero da realizzare su commissione o sulla base di un’idea propria, anzi, i grandi capolavori sono sorti dall’incontro con mecenati e committenti.
In altre parole, la cifra esige i dispositivi della produzione, esige il noi, non può essere frutto del lavoro di una sola persona… Purtroppo, l’idea romantica di arte ha portato al pregiudizio verso la committenza, come se il profitto sporcasse in qualche modo l’arte, che doveva essere mantenuta pura e distante dall’economia. Così come all’industria è stata attribuita la crassa ignoranza priva di ogni interesse intellettuale. Ma, senza il committente e senza l’incontro, l’arte diventa intimistica. Noi oggi ammiriamo le meravigliose opere che si trovano nelle nostre chiese, realizzate su commissione di papi e vescovi che volevano comunicare con i fedeli attraverso immagini, perché erano analfabeti: non ci sarebbero state, se gli artisti avessero disdegnato le esigenze dei committenti e avessero preferito rimanere esclusivamente nel proprio studio in attesa dell’ispirazione. La stessa bottega era già una piccola azienda, dove i clienti incontravano l’artista e intrattenevano conversazioni anche di tipo tecnico. Proprio come accade nelle piccole aziende della nostra provincia, in cui il cliente è un ospite sempre accolto con la massima disposizione all’ascolto.
Dall’incontro con il cliente nascono nuove idee, nuovi progetti, nasce il valore aggiunto del prodotto: il valore assoluto.