LA BUROCRAZIA FAVORISCE IL LOCKDOWN DEL PAESE
Da oltre cinquant’anni la vostra azienda, attiva nel
commercio di ferro, ferro battuto e rottami metallici, non è stata mai chiusa
se non durante i periodi festivi, al punto che il suo fondatore, Franco Maccagnani,
è deceduto poco dopo avere abbassato la serranda, nella tarda sera.
Chissà cosa avrebbe detto della chiusura forzata durante
i mesi dell’emergenza da Covid-19… Papà avrebbe continuato a lavorare e a
servire i suoi clienti. La sua vita era la sua azienda, perciò ciascun istante
che le dedicava era per lui il modo di respirare. Non avrebbe temuto per la sua
salute, nonostante l’età avanzata, perché la sua impresa era la sua salute.
Questo approccio è qualcosa che i burocrati non potranno mai spiegarsi. Come
non possono capire che più del Covid-19 hanno inciso sulla salute di
imprenditori e aziende italiane la burocrazia e l’indecisione propria a chi non
ha mai rischiato nulla se non l’aumento di stipendio. Il problema è che quello stipendio
è percepito grazie alle migliaia di imprese e partite iva che resistono alla
guerra interna al paese verso chi investe e continua ancora e con caparbietà a
tenere aperte le migliaia di imprese della penisola.
Quando abbiamo dovuto chiudere l’azienda ho provato una
sensazione strana, perché un conto è chiudere per le ferie estive, quando è
l’occasione per programmare il lavoro dell’autunno, e un altro è essere obbligati
a chiudere mentre i clienti chiedevano i nostri servizi, ma avevano un codice
Ateco non incluso in quelli ammessi dai DPCM. A questo si aggiungevano le
richieste dei collaboratori di restare a casa, a cui peraltro ho acconsentito
subito. Durante questa fase abbiamo registrato la riduzione delle forniture di
materiali ferrosi, che abbiamo consegnato anche ad aziende fuori provincia o di
altre regioni, i cui fornitori avevano chiuso l’attività all’improvviso. Anche in
questi casi, tuttavia, soprattutto nelle aziende molto strutturate, la
burocrazia interna fra i vari uffici addetti agli ordini ha contribuito a complicare
la comunicazione con noi, nonostante ci avessero contattato con urgenza.
La burocrazia segue la logica dello scarico delle
responsabilità, intese come penalità. Questo è un altro modo per evitare il
tempo del fare… L’effetto di questa mentalità è che nei nostri uffici
occorrono sempre più “addetti alla burocrazia”, mentre si trovano sempre meno
tecnici preparati per il servizio nei magazzini.
Il nostro fare incontra intoppi continui e per ogni piccolo
passo sono necessarie ulteriori autorizzazioni.
Inoltre, fino a qualche decennio fa se qualcuno sbagliava
poi ammetteva lo sbaglio. Adesso, invece, siccome la colpa è sempre di chi fa,
la prassi nelle aziende è che ciascuna fase proceda soltanto previa
autorizzazione controfirmata, dall’invio del preventivo fino al trasporto e
alla consegna degli ordini.
Quanto è accaduto nel primo semestre 2020 è molto diverso
dalle crisi che abbiamo vissuto finora.
Dopo ogni guerra è incominciata anche la fase della
ricostruzione, ma adesso non c’è più nulla da ricostruire, perché il Covid-19
non ha prodotto macerie. Sarebbe più esatto dire che è stata una guerra con un nemico
invisibile, che ha lasciato una scia di tante morti e ne mieterà altre per la
mancanza di liquidità e per eccesso di burocrazia. Quando, per esempio, lo
stato obbliga il ristoratore a mantenere lo stesso numero di dipendenti
pre-Covid, ammettendo però soltanto un quarto dei posti a sedere nel
ristorante, il titolare come potrà pagare gli stipendi e restituire alle banche
il prestito per l’emergenza? Abbiamo di fronte due nemici invisibili, il
Covid-19 e la burocrazia italiana, ma chi non è colpito direttamente non può
capire cosa sta accadendo.
Il problema è anche questo.
Il Covid-19 ha messo in rilievo quanto sia
imprescindibile l’industria per l’Italia, dove sarà sempre più necessario non delegare
la produzione di beni ai paesi che hanno costi di manodopera (e diritti individuali)
più ridotti rispetto a quella italiana. Forse lo avevamo dimenticato e la
prossima volta saremo più lungimiranti… Sicuramente l’industria è la base
di tutto, è la ricchezza del paese. Se lasciamo produrre le industrie italiane non
dipenderemo dalle mire espansionistiche di altri paesi e in Europa sarà più
semplice far sentire le nostre ragioni. Le aziende dovrebbero essere agevolate
a mantenere la proprietà italiana. Invece sono bastonate dalla burocrazia,
tramite la politica delle multe, perché è più facile prendere da chi fa,
piuttosto che da chi si accontenta dell’assistenzialismo.
A proposito di penalità, basta considerare che la burocrazia
per un’azienda con centocinquanta dipendenti è la stessa per l’artigiano che ne
ha tre. Diluire le spese di amministrazione su tre dipendenti ha un costo, su
cinquanta o quindici ne ha un altro.
È la burocrazia che favorisce il lockdown del paese. Un
nostro cliente, per esempio, ha ricevuto dall’ufficio preposto l’ultimatum per
incominciare l’opera di pulitura degli argini dei fiumi, durante i mesi di
emergenza. Ma, nello stesso giorno di sollecito a incominciare i lavori, si è
visto arrivare dalla Prefettura la comunicazione che impediva di svolgere
l’attività. Questi corto circuiti possono avere risvolti ulteriori, per
esempio, nel caso in cui fosse capitato un infortunio durante l’attività di
bonifica.
Un paese senza industria è un paese che è ostaggio della
burocrazia e che non permette ai giovani di imparare a coltivare i loro
talenti. Per questa ragione aumenta ogni anno il numero di laureati che
emigrano verso altri paesi industrializzati, mentre arrivano in Italia giovani
in cerca di prospettive di vita, provenienti da paesi senza industria. Per gli
stessi motivi è urgente insegnare a chi decide di investire qui la propria giovinezza
come produrre e raccogliere i frutti di un paese che resta ancora industriale.