SERVE UN COLPO DI SPUGNA A TUTTI I LACCIOLI CHE BLOCCANO GLI INVESTIMENTI

Qualifiche dell'autore: 
presidente di So.Sel S.p.A., Modena

Hera, Iren, Aimag, Acea e tante altre municipalizzate in varie città – da Modena a Roma e a Torino – affidano a So.Sel molti loro servizi. Quali sono e quante persone impiegate nel loro svolgimento? Noi ci occupiamo principalmente di lettura, manutenzione, sostituzione, installazione e chiusura dei contatori.
Forniamo anche servizi di telelettura e gestione delle attività di contact center, front office, back office, fatturazione e servizi operativi erogati attraverso una struttura dedicata al cliente. Tra personale interno ed esterno, abbiamo quasi 400 dipendenti, di cui ottanta lavorano in smart working a partire dalle direttive del governo per il contenimento del coronavirus.
Come si è trasformata la vostra organizzazione per svolgere un servizio che non poteva essere sospeso? Pur diminuendo l’attività, non abbiamo mai smesso di operare, adottando i necessari dispositivi di sicurezza, anche se abbiamo fatto molta fatica nell’approvvigionamento sia di mascherine sia di guanti, soprattutto dopo che il governo ha stabilito il prezzo massimo delle mascherine. La morsa della burocrazia che attanaglia le aziende italiane, piccole, medie o grandi che siano, non si è allentata, come invece ci saremmo aspettati in una situazione di emergenza. Per consentire alle imprese di lavorare in modo spedito, seppure in piena sicurezza, in un momento in cui la velocità è importante, bisognava superare tanti passaggi burocratici e liberare l’operatività aziendale da tanti freni, cosa che purtroppo non è ancora stata fatta.
E adesso che l’emergenza sanitaria sembra ormai a una svolta, che cosa occorre per rilanciare l’economia, anziché limitarne lo sviluppo? È un problema molto delicato che dobbiamo affrontare subito: occorre una nuova politica industriale sostenibile, partendo da un piano straordinario per la ricostruzione. In un momento come questo, occorrono scelte coraggiose e una visione molto ampia da parte sia degli industriali sia dei governanti, per dare alle persone la voglia di vivere, di lavorare, di riprendersi e di ricominciare a progredire. A costo di grandi sacrifici, siamo riusciti a contenere il contagio, ma ora è giunto il momento del fare, per non vanificare questi sforzi. Anche la ripresa della vita sociale non può che passare dalle imprese e dal lavoro.
Credo che la semplificazione aiuterebbe a rilanciare gli investimenti pubblici e ad accelerare la ripresa, per questo dovremmo ambire a dare al lavoro una dimensione nuova, meno vincolata e più attinente alle difficoltà cui stiamo andando incontro. Il tessuto produttivo del nostro paese ha bisogno di finanziamenti e di flessibilità per affrontare i problemi con un approccio nuovo, non di tutte le pastoie burocratiche che, oggi ancora di più, sono un freno alla spinta verso l’innovazione.
Allora, dobbiamo chiedere al governo di dare un colpo di spugna a tutti i lacci e laccioli che ci bloccano, a volte anche per anni. L’economia corre un rischio altissimo e, se non riusciamo liberarci dalla burocrazia, mettiamo in pericolo le nostre imprese, soprattutto quelle piccole e medie, che sono la forza del nostro paese: è arrivato il momento di dare un aiuto concreto alla loro crescita con finanziamenti a fondo perduto, perché non dobbiamo dimenticare che molte aziende faranno fatica a riprendersi.
Da un’indagine condotta da Promos Italia emerge che un’azienda su quattro ha perso l’80 per cento del fatturato. Sono dati inquietanti e ci chiediamo perché non si faccia un patto tra stato e imprese: le imprese s’impegnano a rimanere in Italia e a pagare i collaboratori e i fornitori, mentre lo stato per un po’ allenta la morsa della burocrazia e abbassa la pressione fiscale...
Sarebbe auspicabile, anche perché non possiamo andare avanti nello stesso modo; il nostro futuro sarà diverso da quello che immaginavamo fino a due o tre mesi fa e ciascuno deve compiere uno sforzo per ragionare in modo differente. Ma, come dicevo, la prima cosa che devono fare i nostri governanti è quella di togliere tutti i lacci che bloccano le imprese e rendono la loro vita invivibile. Faccio solo due esempi: lo stato ci permette di dilazionare i contributi, però un’azienda che non ha pagato i contributi non ha diritto al Durc, quindi non può partecipare a gare d’appalto. Lo stesso paradosso si verifica quando un’azienda utilizza finanziamenti pubblici, ma per questo motivo non può distribuire dividendi, rimanendo di fatto ingessata. Spero che i nostri burocrati se ne rendano conto e ci facciano superare questi piccoli grandi problemi.
Oltre alle aziende che rischiano di chiudere, c’è l’imprenditoria giovanile che avrà ancora più difficoltà ad affacciarsi sul mercato.
Che consiglio darebbe a un giovane che vuole fare impresa in Italia oggi? Gli consiglierei di avere fiducia nei propri talenti, perché non sono gli aiuti a portare i risultati, ma la spinta a trovare strade nuove. Come sempre, a fronte di tante imprese che purtroppo non ce la fanno, ce ne sono altre che nascono, per questo occorrono tante giovani forze che diano nuova linfa alla nostra imprenditoria, anche partendo dalle realtà più piccole, dalle centinaia di migliaia di partite Iva e da quei “cervelli” che devono trovare in Italia le condizioni per lavorare e per riuscire, anziché essere costretti a cercare il proprio futuro all’estero.