NON POSSIAMO PIÙ VIVERE NELL’INCERTEZZA
Come produttori di detergenti per la pulizia
professionale fate parte del settore chimico, che rientrava nell’elenco delle attività
essenziali nel DPCM 22 marzo 2020, il quale ha decretato la chiusura di molti
altri settori nel nostro paese.
Che cosa può dirci di questo periodo in cui avete
lavorato in prima linea per rispondere all’emergenza provocata dal coronavirus?
L’inizio della pandemia per noi è stato come un’esplosione, perché mai avrei
pensato che, dopo il terremoto del maggio 2012, potesse esserci qualcosa di
ancora più difficile cui rispondere in tempi così brevi. Con qualche
differenza: il terremoto ha distrutto le nostre case, i nostri centri storici e
i nostri capannoni, ma, già dopo poche settimane, abbiamo incominciato a
ricostruire, mentre la pandemia l’abbiamo solo subita e, tuttora, non abbiamo
un antidoto per tenerla lontana, a parte i dispositivi di protezione individuale
da indossare e i protocolli di prevenzione da seguire.
Il terremoto ci ha uniti, la pandemia ci ha divisi,
facendoci respirare la paura del contatto umano. Dopo il terremoto eravamo
tutti uniti per raggiungere insieme l’obiettivo della ricostruzione, adesso
dobbiamo dividerci per mantenere la salute. Intanto, è cambiato il modo di
lavorare in ciascuna azienda e, ovunque, è cambiato il modo di fare pulizia e
d’igienizzare, è cambiata la mentalità delle persone che spesso vivono in un
clima di terrore dettato soprattutto dall’incertezza.
Pensiamo soltanto al nostro caso: prima della pandemia,
producevamo circa 180 linee di detergenti per i più svariati usi e superfici,
oggi, invece, le linee si sono ridotte a dieci. È stato un cambiamento radicale
nei volumi, nei consumi, nell’approvvigionamento della materia prima, nel modo
di produrre, nel modo di organizzare il lavoro e nel modo di rifornire le macchine.
Sono sbalzi che non ti fanno più dormire: è vero che il nostro codice Ateco ha
avuto il privilegio di continuare a lavorare, ma le difficoltà sono state
enormi, soprattutto perché sono venute a mancare materie prime come l’alcol,
che era introvabile in Italia e ne era stata bloccata l’importazione da altri
paesi europei.
È paradossale: noi ci siamo messi a disposizione dello
stato, dedicando molte nostre linee alla produzione di Hygi Gel – un
igienizzante che contiene il 60 per cento di alcol –, mentre la burocrazia
manteneva le limitazioni alla produzione italiana di questa materia prima
essenziale per la lotta al coronavirus. In tutta questa vicenda, i prezzi sono
andati alle stelle: se prima della pandemia si comprava un litro di alcol a un
euro, ancora oggi costa dai 2,50 ai 3,40 euro.
Allora, come siete riusciti a proseguire la produzione
del vostro Hygi Gel? Siamo andati in paesi lontani, come la Lituania, dove
utilizzano grandi quantità di alcol nella produzione di bevande. Ci hanno
garantito la consegna settimanale di bilici di prodotto, che però abbiamo
dovuto pagare in anticipo. E abbiamo dovuto gestire questa crescita
esponenziale del fatturato – che ha comportato anche l’assunzione di altre
dieci persone – senza alcun supporto delle banche.
Ma non mi lamento: il rischio d’impresa fa parte del nostro
mestiere.
Vorrei soltanto che il nostro governo la smettesse di farsi
pubblicità nelle trasmissioni televisive e sui social, vantandosi per “gli
aiuti” elargiti a cittadini e imprese. Noi, come la maggior parte degli
imprenditori, non abbiamo ricevuto alcun sostegno, anzi, abbiamo visto soltanto
il caos più totale in ogni decreto, che ha introdotto restrizioni sempre più svantaggiose
per le imprese, le quali hanno dovuto addirittura anticipare la cassa
integrazione per i lavoratori.
È vero che il nostro fatturato è aumentato e noi non abbiamo
avuto problemi economici, ma io sono preoccupato per la devastazione che c’è
intorno a noi, con un mercato che non ha ricevuto nessuno stimolo per
ripartire, ma soltanto la presa in giro di un “Decreto rilancio” talmente impregnato
di burocrazia che, nell’ultimo paragrafo di ogni articolo, contraddice ciò che
afferma nel primo e rende pressoché impossibile usufruire dei pochi aiuti
promessi, mentre non fa alcun riferimento alle grandi opere infrastrutturali o
a politiche industriali che possano ridare fiducia agli investimenti e far
ripartire il paese.
Penso ai nostri clienti nel settore alberghiero e in quello
della ristorazione e mi chiedo quando riusciranno a recuperare le perdite di
questi tre mesi di fermo. Di recente, il direttore di una delle più grandi
catene alberghiere nostre clienti mi riferiva che manterranno soltanto venti
dei loro quaranta alberghi, rimettendoci, ma soltanto perché hanno un ruolo istituzionale
e non possono sparire completamente dalla scena.
E i vostri collaboratori come hanno reagito alle
difficoltà di questo periodo? Hanno dato prova di grande solidarietà, molti
di loro si possono considerare emblema di responsabilità e capacità nell’affrontare
le tempeste più violente. La prima riunione che ho indetto all’inizio della
pandemia rimarrà impressa nella memoria dell’azienda: “Questa è una battaglia
che dobbiamo combattere insieme – ho esordito – e le mie decisioni dipendono dalla
vostra libera scelta di venire a lavorare, se ve la sentite”. Nessuno è rimasto
a casa, anzi, ciascuno si è impegnato in modo assoluto, e io sono grato a
ciascuno per i risultati che abbiamo ottenuto.