LA SALUTE E LA QUALITÀ NON SONO STANDARD
La cifrematica definisce la salute come l’istanza di
qualità. In che modo interviene la salute in questa accezione nelle due aziende
di meccanica in cui lei opera come imprenditore, l’Officina Meccanica Bartoli,
fondata da suo nonno nel 1961, e la Bertoni Dino, storica azienda modenese che
lei ha rilevato nel 2015? L’impresa è l’insieme di tanti dispositivi e
intervengono tantissimi fattori che contribuiscono alla riuscita delle cose che
si fanno in un’azienda: la gestione accurata di ciascun elemento, anche di
quello che sembra più trascurabile, contribuisce molto alla salute dell’impresa.
Per questo occorre che l’imprenditore ascolti i segnali che provengono da
ciascun collaboratore, cliente o fornitore, e sia pronto a introdurre le
modifiche e le variazioni che ritiene indispensabili, anche in corso d’opera. È
un approccio che porta al confronto costante, a mettersi in gioco, a proporsi e
a promuoversi, per ampliare il proprio bacino di utenza, senza timore di dover
cambiare gioco e adeguare il proprio programma alle nuove esigenze che emergono
nell’incontro con nuovi clienti. Oggi più che mai, la salute dell’impresa dipende
dalla sua capacità di seguire l’occorrenza, dalla sua flessibilità.
Cambiare gioco vuol dire anche essere pronti a rivoluzionare
le proprie certezze e avere un’enorme capacità di ascolto, per capire, per
esempio, se puntare su una nuova fetta di mercato oppure investire per
ottimizzare i processi produttivi già esistenti e, magari, rinviare all’anno
successivo l’ampliamento del mercato. Non esiste la scelta ideale, le cose si
fanno secondo l’occorrenza e in base alle opportunità che intervengono lungo il
percorso e il cammino. Soprattutto una piccola impresa artigiana come la nostra
– e come la miriade di piccole realtà della meccanica di precisione che
costituiscono il patrimonio tecnologico della Motor Valley – deve riuscire ad
adattarsi a periodi di bassa produzione come a periodi di alta produzione,
mantenendo sempre la stessa tensione verso la qualità assoluta. Non è facile,
anche perché i collaboratori devono avvertire che l’entusiasmo non cala al
diminuire degli ordini e, viceversa, non devono sentirsi “stressati” nel
momento in cui aumentano.
In che modo l’imprenditore riesce a evitare che le
oscillazioni del mercato influiscano sulla produzione e sul coinvolgimento della
squadra? L’imprenditore deve tenere conto del fatto che la salute
dell’impresa dipende dalla soddisfazione di ciascun componente della squadra.
Purtroppo, però, nonostante stia scomparendo il modello d’imprenditore come
sovrano indiscutibile della propria azienda, c’è ancora qualche caso in cui i
risultati sono considerati priorità da raggiungere a qualsiasi costo e senza
ascoltare i suggerimenti costruttivi che arrivano da chi è coinvolto nella
stessa partita, come se l’unico portatore d’interesse fosse il “titolare”. C’è
differenza se un imprenditore scommette nella salute dell’impresa a lungo
termine o se punta al mero profitto, come fanno i fondi d’investimento. Facendo
il paragone con l’equitazione, se ho un cavallo e voglio farlo partecipare alle
corse, non mi curo della sua longevità, perché l’importante è che corra più
forte possibile: devo vincere il campionato e, se questo cavallo muore perché
l’ho sfiancato troppo, posso prenderne un altro. A me, invece, dispiacerebbe perdere
il cavallo, preferirei che rimanesse in forma, andando al suo passo. Io
preferisco raggiungere le lunghe distanze mantenendo coesa la squadra,
preferisco parlare per affrontare insieme le difficoltà quotidiane o straordinarie,
che non mancano mai in qualsiasi azienda, anziché arrabbiarmi e prendermela con
qualcuno dei miei collaboratori. Sono molto esigente con me stesso e spero che
ciascuno lo sia con sé, ma non pretendo che tutti arrivino allo stesso
risultato: è la combinazione costante delle forze in campo a decidere del
risultato, non l’exploit del singolo in un momento particolarmente propizio.
Anche le più grandi invenzioni della scienza, che spesso ci vengono presentate come
frutto della ricerca di un genio, sono nate dall’incontro, reale o virtuale, fra
scienziati che avevano lavorato in un ambito e poi le loro ricerche sono state
utilizzate in un altro o da qualcun altro. Mi vengono in mente James Clerck
Maxwell e Michael Faraday: basandosi sui precedenti studi di Faraday, Maxwell
fu il primo a mostrare che il campo elettrico e quello magnetico sono
unificabili e che l’energia del campo elettromagnetico, definito nelle sue
equazioni, si propaga nello spazio vuoto sotto forma di onde, sviluppando così
una parte complementare della teoria della luce, che fino a quel momento aveva visto
predominare un’interpretazione esclusivamente corpuscolare. All’unificazione del
campo elettromagnetico operata da Maxwell seguirà negli anni ottanta del XX
secolo l’unificazione della forza elettromagnetica con l’interazione nucleare
debole e, nelle rappresentazioni teoriche degli ultimi decenni, l’unificazione
con esse dell’interazione nucleare forte.
Invenzioni straordinarie, che hanno rivoluzionato la vita
dell’intera umanità e che fanno parte di un processo e di un flusso
inarrestabili, cui hanno dato il loro contributo migliaia di persone impegnate
nella ricerca, anche se pochi nomi sono ricordati come autori di spicco.
L’impresa è così: un flusso inarrestabile alimentato da attori, più o meno noti,
ciascuno con la sua particolarità, il suo modo, la sua cultura, la sua arte, la
sua scienza. E in questo flusso c’è la via della salute.
Lei sta dicendo che l’impresa è in salute quando non è
standard e le persone che ci lavorano non sono omologabili? Sicuramente,
l’omologazione uccide la differenza e la varietà, invece è essenziale alla
salute produrre in modo non standard.
Nell’impresa, c’è una concomitanza di elementi che
contribuiscono a definirla in salute. L’impresa vive e produce, mantiene e si
mantiene, propone e si propone. Ma non è un organismo votato alla mera
sopravvivenza, pertanto non basta che i suoi esami del sangue siano perfetti per
dire che è in salute. Sta all’imprenditore cogliere le opportunità che giovano
alla salute dell’impresa.
L’imprenditore deve riuscire a comunicare i suoi sogni e a
trasmettere le ipotesi di direzione e le varie tappe del viaggio dell’impresa a
tutti coloro che sono coinvolti nella partita. Se qualcosa non funziona a
livello della comunicazione, questo si ripercuote sull’organizzazione
aziendale, che non è mai fissa e non può essere data per scontata, si modifica,
come dicevo, in base all’occorrenza. Senza la parola e la comunicazione, i
problemi si amplificano e così gli sprechi, rischiando di remare gli uni contro
gli altri, anziché andare solidali dritti verso la meta. È ciò che accade nella
politica: se l’Italia fosse gestita come un’impresa che mira alla salute come istanza
di qualità, si risolverebbero tanti problemi. Invece, non c’è una gestione
accurata del bene comune, per questo molte cose non funzionano.
In realtà, ciascuna impresa è una piccola o grande comunità
e potrebbe essere presa a esempio dalla politica.
Comunque, anche se il mercato è cambiato radicalmente negli
ultimi dieci anni e costringe l’imprenditore a continui cambiamenti di rotta,
fare impresa dà ancora tante soddisfazioni.
Un imprenditore di Bologna una volta mi disse che nessuno
dovrebbe lavorare all’interno della propria azienda per avere una visione più
oggettiva e distaccata. In parte è vero, ma chi non vive la quotidianità
dell’impresa – con le sue battaglie ciascun giorno, le sue difficoltà e i suoi
miracoli, che intervengono nei momenti più impensati – può anche avere tanto
successo, però si priva della gioia di tirare la palla in campo e deve
accontentarsi di stare in panchina, se non sugli spalti. Certo, in un’impresa
di grandi dimensioni, la partecipazione all’operatività dell’impresa è
impossibile per l’imprenditore, ma, ai fini della sua salute è, se non
necessaria, senz’altro appagante: quando hai curato e coltivato una pianta per
tanto tempo, non c’è maggiore soddisfazione che vederla fiorire.