È SEMPRE UNA NUOVA AVVENTURA
Nell’intervista pubblicata sullo scorso numero del nostro
giornale, lei concludeva che la Gigi Medici contribuisce a rendere i clienti
“non solo inconfondibili, ma anche indimenticabili”. In che modo vi avvalete
del vostro capitale intellettuale, acquisito in quarant’anni di esperienza, per
costruire un oggetto, un evento o un gadget che soddisfi le richieste delle
maggiori case automobilistiche del mondo? Quando presentiamo una proposta per
rispondere alle esigenze di un cliente è sempre una nuova avventura, una
scommessa in cui l’esperienza acquisita nei vari settori che abbiamo esplorato
negli anni si combina con l’ingegno che distingue il genio emiliano.
Per una casa automobilistica che costruisce super car
fidelizzare un cliente vuol dire fargli percepire costantemente il valore del
suo acquisto, attraverso oggetti e gadget che ne richiamino l’immagine e le
qualità inconfondibili. Due anni fa, per esempio, una nota casa automobilistica
ci commissionò una targhetta molto particolare, che mise alla prova tutto il
nostro know-how tecnico e la nostra capacità d’inventare nuove soluzioni.
La targhetta, delle dimensioni di 5x3 centimetri, oltre ai
numeri e alle scritte doveva riportare il logo della casa a rilievo, con una
definizione altissima, nonostante fosse di pochi millimetri: se ingrandito con
una lente, dovevano essere visibili tutti i dettagli del disegno, qualcosa di
una complessità estrema. La targhetta doveva inoltre essere di acciaio, lucido
in alcune parti e opaco in altre, ciascuna delle quali richiedeva un
trattamento differente incompatibile con l’altro. Come si può facilmente
immaginare, non era affatto scontato separare le aree in una superficie così
piccola, in modo da limitare il trattamento a ciascuna area distinta senza
intaccare le altre.
Siamo riusciti a portare a termine l’impresa avvalendoci non
solo della nostra esperienza nel design, ma anche di quella maturata
nell’orologeria e nell’artigianato per la produzione di coppe e targhe. Soprattutto,
però, sono certo sia stato fondamentale il nostro approccio al lavoro come
cultura e come arte, un approccio in cui non si contano le ore e i giorni
impiegati per portare a compimento un’opera.
Da un’intervista che ho letto qualche anno fa, scoprii che
Elon Musk, idolo della mia generazione, lavora tantissime ore al giorno, perché
si sente investito da una missione quasi divina e tutto ciò che guadagna lo reinveste
in progetti etici, o pensati per migliorare il futuro dell’umanità.
Ecco, io non penso che la vera risposta sia quella di
lavorare come un pazzo, ma piuttosto quella di non accorgerti che stai
lavorando.
È anche una questione di salute come istanza di qualità
della vita… Mio fratello Marcello e io, quando siamo impegnati in un
progetto particolarmente importante, rimaniamo in azienda anche 24 ore di
seguito. I miei progetti sono diventati la scansione del mio lavoro, il ritmo
non è più dato dalla suddivisione dei giorni fra feriali e festivi. Quando ti
accorgi di questo, vuol dire che nel tuo lavoro stai riuscendo. Il ritmo
biologico di un uomo non si regola in base all’ora in cui smarcare il
cartellino, perché così facendo senz’altro una parte di sé muore, si svuota o
va incontro al collasso. Faccio un esempio: durante il mio primo viaggio in
Cina, a posteriori, mi sono reso conto che avevo sintonizzato la mia vita ai
miei ritmi biologici, come quando, da bambino, m’impegnavo nei giochi fino a
non capire più chi fossi e sognavo di essere un astronauta, un cavaliere o
qualcuno che trasformava la realtà.
Penso davvero che la domanda giusta sia: “Se tutti i lavori
del mondo fossero pagati 10 euro all’ora, faresti il lavoro che stai facendo?”.
Seguita poi da: “Che cosa vuoi dalla tua vita?”. La risposta non può essere “i
soldi”, perché i soldi sono solo uno strumento.
Se dici che ti servono soldi vuol dire che ti servono altri
strumenti per fare qualcosa di cui hai bisogno. C’è chi guadagna tanti soldi,
ma non sa cosa farci. A un artigiano basta un semplice pezzo di metallo per
costruire mille cose. Per me è stato decisivo togliere l’ideologia del lavoro
dalla mia vita: è chiaro che non ho sempre voglia di lavorare, ma non accade
tutti i giorni.
Per di più, mi sono reso conto che, se un giorno non ho
voglia di andare a lavorare, è perché un progetto non sta andando come vorrei.
Io non penso a quando andare in ferie, ma a ciò che c’è da fare. Questo, a
volte, diventa un problema, perché non sono sincronizzato con le persone che mi
circondano, ma non farei mai cambio. Ieri abbiamo raggiunto un grande
risultato, dopo un anno e mezzo di lavoro, in un progetto che ci è costato
davvero tanto e richiederà tantissimo sforzo per rientrare dall’investimento.
Quindi, oggi sono in vacanza, anche se sono qui in ufficio.
Non sono le azioni che compi a dirti cosa stai facendo, è il
tuo approccio: è il modo in cui vivi ciò che fai che ti fa percepire
cosa stai facendo. Si dice che l’intuito sia la memoria che lavora in background
mentre tu fai qualcosa, si dice inoltre che l’intuito sia tanto più affidabile
quanto più hai esperienza di quell’argomento. Non è un caso se chi ha
esperienza in un campo, dinanzi a un imprevisto, trova velocemente la
soluzione. È la sua memoria che lavora mentre lui non si accorge che sta
lavorando.