IL POLITICAMENTE CORRETTO, UN’IDEOLOGIA PERVASIVA
Il libro La gabbia delle idee (a cura di Carlo
Zucchi, Capire edizioni, 2019) è un’elaborazione veramente originale ed
equilibrata, in cui gli autori propongono un medesimo filo conduttore: il
politicamente corretto non è soltanto una questione che riguarda il modo in cui
si parla, ma è un’ideologia, un’ideologia pervasiva che invade il diritto,
l’economia, l’istruzione, e non solo. I saggi qui pubblicati lo esaminano da
prospettive differenti, non senza ironia. È molto divertente quello di Roberto
Bolzan, che prende di mira un autore che tutti noi amiamo, un grande ideatore
di aforismi, George Bernard Shaw, che non è stato solo un grande drammaturgo e
romanziere, ma anche uno dei membri più importanti della Fabian Society, la
società del fabianesimo.
Il fabianesimo, secondo l’autore, è stato il primo tentativo
sistematico di urbanizzare il socialismo marxista e di trasformarlo in maniera
garbata nell’ideologia delle classi dominanti, poi nell’ideologia dell’intera
Inghilterra da espandere altrove. Tra i tanti membri della Fabian Society
c’erano lo scrittore ed editore Leonard Woolf e la moglie Virginia Woolf, e c’era
Graham Wallace, che è stato il fondatore della London School of Economics.
Un altro articolo molto interessante è Lo spauracchio del
populismo di Federico Cartelli. Il populismo, nelle facoltà di scienze
politiche, è il tema del momento, ma è molto difficile da identificare, anche
perché populismo è l’altra maniera di chiamare la democrazia quando non
sottostà al punto di vista delle élites. Cioè, quando le élites non sono
soddisfatte di un risultato democratico, allora questo viene definito populismo.
Alle élites non fa comodo la Brexit, allora la Brexit è
stata un momento di populismo. Negli USA le élites erano naturalmente tutte
dalla parte di Hillary Clinton a priori e, così, il fatto che inaspettatamente abbia
vinto una persona boorish and uncout, rozza e grossolana, come viene
definito Donald Trump, è un momento di populismo. Eppure, la democrazia
americana esiste da quasi duecentocinquant’anni e quindi il risultato delle
elezioni è stato un legittimo risultato, sul quale sarebbe bene, invece,
interrogarsi e capire come sia stato possibile.
Importante anche l’articolo di Stefano Magni sul fatto che
Israele viene percepito come politicamente scorretto da un antisemitismo
diffuso che viene spacciato per antisionismo.
È un tema di cui le persone perbene non parlano, eppure,
leggevo di recente che in Europa 8 ebrei su 10, una percentuale enorme, hanno denunciato
di avere subito attacchi antisemiti. Ho letto con interesse anche l’apporto di
Corrado Ocone, La laicità che non è laicismo La laicità dello stato è
un’acquisizione su cui ciascun liberale non può che essere d’accordo: essere
liberali significa necessariamente pensare allo stato secolare e allo stato
laico. Però, secolare e laico è uno stato che lascia libertà di coscienza ai
propri concittadini, che separa stato e chiesa, ma che non impone la laicità
come nuova religione di stato, che è quello che la Francia ha fatto con la
nuova legge del 2005. Ormai, in Francia, la laicità, che così diventa laicismo,
è la nuova religione di stato, un nuovo dogma.
La laicità è un tema sul quale dobbiamo interrogarci, perché
dopo il 1989, con il crollo del muro di Berlino, molti si sono illusi che
iniziasse l’era del liberalismo e della laicità.
Io penso che l’11 settembre 2001, con l’abbattimento delle
Torri gemelle da parte dei terroristi islamici – definito dall’allora primo ministro
israeliano Benjamin Netanyahu, “una sveglia dall’inferno per le democrazie
occidentali” –, ci abbia fatto capire che l’idea che si stesse andando verso il
liberalismo, il libero mercato, la laicità non era una cosa scontata.
Questa insorgenza del fondamentalismo religioso,
estremamente problematica, ricade sempre tra le cose politicamente scorrette,
di cui non si può parlare. Era facile prendere in giro Francis Fukuyama, che
nel luglio 1989, esattamente trent’anni fa, pubblicò il libro dal titolo La
fine della storia e l’ultimo uomo, accusandolo di essere un ottimista
americano che aveva annusato Hegel e la sua idea di fine della storia. In
realtà, Fukuyama diceva che le liberal-democrazie sono i regimi migliori che
gli esseri umani abbiano inventato, ancorché non esenti da contraddizioni. “La fine
della storia” è una frase di Hegel, “l’ultimo uomo” è una frase di Nietzsche.
Ma l’ultimo uomo era l’uomo democratico per Nietzsche, un uomo che, sosteneva
Fukuyama, aveva un problema: come può tollerare chi è assolutamente
intollerante? E Fukuyama vedeva i nuovi intolleranti nei teocratici musulmani.
Per cui, La fine della storia è un libro che fa meditare, non un libro
da liquidare così in fretta.
A proposito del politicamente corretto, nella prefazione
Carlo Zucchi sostiene che “Le ideologie non vengono mai criticate quando sono
all’apice del successo. Pertanto, quando un’ideologia comincia a subire qualche
attacco, vuol dire che inizia a mostrare la corda”.
Sono d’accordo e penso anch’io che il politicamente corretto
abbia raggiunto il suo colmo nel periodo di Obama. Alla Columbia University, sulla
porta di un bagno c’è un omino stilizzato con i pantaloni, su un’altra una
figura con una gonna, però c’è anche un cartello con scritto in grande: “Usate
il bagno del genere sessuale in cui vi riconoscete maggiormente”.
Questa proposizione politicamente corretta (ci sono donne che
si sentono uomini e viceversa) ha però comportato cause legali, come è accaduto
in Pennsylvania, perché una donna, atleta della squadra di basket, ha
dichiarato di sentirsi in imbarazzo a fare la doccia con un uomo. Questi sono
temi estremamente attuali, sui quali la gente preferisce non parlare perché
sono politicamente scorretti, ma, se siamo veramente liberali, vogliamo credere
nel dibattito, dovremmo parlarne.
E questo libro mi sembra un ottimo punto di partenza.