LA SALUTE DELL’IMPRESA
Quali sono le problematiche più frequenti che frenano le
aziende italiane? Schiacciate da fardelli insostenibili, le imprese
italiane si trovano ad affrontare una montagna di problemi che sembrano non
attenuarsi mai.
Se da un lato si osserva una netta riduzione dei margini
economici, provocata dalla stagnante situazione interna e dalla crescente e
incessante concorrenza globale, dall’altro lato le imprese soffrono di
un’eccessiva incertezza finanziaria, provocata dalle difficoltà di gestione
degli incassi e, di conseguenza, dei pagamenti. Le imprese hanno più che mai
necessità di un equilibrio economico, finanziario e patrimoniale per approdare
alla salute.
Quali sono le condizioni per raggiungere tali equilibri? Innanzitutto
ricopre un ruolo di primaria importanza la differenza tra il valore generato e
i costi di produzione.
Tale differenza rappresenta infatti la capacità di svolgere
in modo efficiente la propria attività. Il margine operativo lordo è inoltre
parimenti importante ed è costituito dal reddito operativo, dagli ammortamenti
e dagli accantonamenti: esso indica la misura dell’efficacia della gestione
economica e della potenzialità di generare flussi finanziari.
In questo senso sono fondamentali le scelte finanziarie
degli imprenditori.
L’entità dei debiti non solo deve essere correlata al
patrimonio, ma anche all’ammontare dei redditi, sintesi a loro volta della
capacità di rientro dai debiti medesimi. In questo scenario risulta
determinante la forza commerciale dell’impresa, poiché l’eventuale incapacità
di esigere i crediti dai debitori causerebbe un aumento del fabbisogno
finanziario il cui onere porterebbe all’erosione della marginalità complessiva
della gestione e provocherebbe un nuovo indebitamento finanziario. Un circolo vizioso
e pericoloso in cui, negli ultimi anni, sono cadute numerose aziende.
La consistenza del patrimonio netto è una condizione di
fondamentale importanza per un’impresa. In particolare, nei periodi in cui
subentrano tensioni competitive, dove si richiedono importanti investimenti di
sviluppo a lungo termine, la presenza di un capitale di rischio è l’elemento
che garantisce la salute dell’impresa.
In aggiunta alle esistenti e numerose difficoltà di gestione
di un’impresa recentemente sono state introdotte nuove norme per la prevenzione
e per la gestione delle crisi. Le imprese sono ora obbligate a nominare un
organo di controllo che ha il compito di verificare, su base trimestrale,
l’andamento della gestione e dei flussi di cassa. Dal 15 agosto 2020, inoltre,
entreranno in vigore alcune procedure di allerta al fine di accertare il
pagamento dei debiti (Debt service coverage). Queste procedure avranno
il compito di verificare: la sostenibilità degli oneri finanziari;
l’adeguatezza patrimoniale; il ritorno dell’attivo; la liquidità; l’indebitamento
previdenziale e tributario. L’obiettivo di tali norme è il monitoraggio della
sussistenza di presupposti per la continuità aziendale.
La salute di un’impresa, però, dipende spesso da fattori
esterni e non da conseguenze di scelte imprenditoriali.
Mentre sulla capacità di amministrazione si può agire
rafforzando i processi e le competenze interne, ben poco si può fare sulla
solidità dei clienti e dei fornitori, per non parlare dei quadri istituzionali
(nazionali e internazionali).
È proprio a causa di questa assoluta instabilità del quadro
istituzionale che le imprese vengono penalizzate, impedite nell’attuazione di
una programmazione di valore. Sarebbe di fondamentale importanza una continuità
del governo, politiche economiche e fiscali chiare e precise e una pubblica
amministrazione efficiente. In Italia in particolare la complessità delle norme
e un’eccessiva e opprimente burocrazia sono le cause principali degli ingenti
costi che le imprese devono sostenere. Tali costi, stimati dall’Osservatorio
nazionale della CNA, raggiungono i ventidue miliardi annui (circa 5.000 euro
l’anno a impresa). L’Italia detiene il record negativo nell’UE: il pagamento
delle tasse necessita di 85 ore in più rispetto alla media dei paesi dell’area
euro.
Tra i fattori interni che possono minacciare la salute di
un’impresa uno dei più importanti riguarda la sottocapitalizzazione.
Il mancato impegno di capitalizzazione, diffuso soprattutto tra
le PMI italiane, ha inizio nel dopoguerra.
All’epoca, numerose aziende decisero di ricorrere a
finanziamenti bancari. Di conseguenza, una quota significativa di quel costo
era pagato dall’erario perché deducibile dall’imposta e, nel caso l’azienda
incorresse in un’insolvenza, l’imprenditore non rischiava i propri capitali
bensì quelli della banca. Altro aspetto che limita la capitalizzazione è la
scarsa propensione a costituire società con altri investitori di capitali.
Molto spesso, l’imprenditore preferisce accedere a prestiti anziché finanziare
la propria idea con capitali di rischio di terzi investitori, a costo zero per
l’impresa ma che devono essere remunerati con dividendi ottenuti dagli utili o
con un maggior valore nel tempo.