MICROBIOLOGIA E METABOLOMICA
Dal suo seminario “Gut screening” e “campo oscuro” in
patologia cronica è emerso il modo nuovo con cui la medicina sistemica
esamina la malattia: considerando, cioè, l’eziopatogenesi in relazione al
malato.
Questo criterio, che è alla base del modus operandi del
Laboratorio Valsambro, indica che per una diagnosi precisa è indispensabile
identificare non solo cosa ha scatenato la malattia, ma anche ciò che ne è
seguito e la risposta immunitaria della persona.
La medicina sistemica considera la malattia cronica come
frutto di incidenti di percorso con batteri e altro, quindi come risultato
delle relazioni complesse tra microbo e ospite. Risalire al patogeno, il
microrganismo che ha provocato l’infiammazione, è essenziale ma non basta. Per
una diagnosi personalizzata occorre identificare i microrganismi che si sono aggregati
man mano e il modo in cui l’ospite si è adattato al patogeno, ovvero la sua
risposta immunitaria.
Questo è ciò che io definisco “patobioma”, l’insieme degli
inneschi infettivi che causano la malattia.
L’esame del “patobioma” richiede vari livelli di
approfondimento, ed è indispensabile combinare test più tradizionali ad altri
decisamente innovativi. Non a caso lei qualifica la medicina sistemica come “integrata”,
in quanto affianca il lavoro manuale della ricerca microbiologica all’uso delle
sofisticate tecnologie della ricerca molecolare. Di quali test si tratta, in
particolare? Ogni distretto ha il suo microbiota: la pelle, la bocca, la
vagina, l’apparato urinario e così via; anche il sangue è terreno di coltura di
batteri, ma il distretto in cui essi sono maggiormente presenti è l’intestino,
alla cui mucosa sono attaccati il sistema linfatico e le placche di Peyer, da
cui dipende gran parte del sistema immunitario.
L’equilibrio del microbiota intestinale e l’integrità della
mucosa sono essenziali per la salute. I batteri residenti, che aderiscono alla
mucosa, ne assicurano l’integrità, mentre lo squilibrio tra loro, o disbiosi,
la compromette. Se la mucosa non fa più da barriera, divenendo permeabile,
avviene l’atopobiosi, cioè la traslocazione batterica che provoca
l’infiammazione. Quindi la progressione dei controlli, e del livello di
approfondimento, riguarda il microbiota, lo stato infiammatorio della mucosa e
la sua permeabilità.
Il nostro test del microbiota è il gut screening normal.
Non a caso lo propongo con gli esami colturali locali, in caso di vaginite,
cistite o faringite cronica, mentre è sufficiente per individuare i patogeni
nei casi di diarrea e di gonfiore intestinale.
Lo proponevo già vent’anni fa, quando il sequenziamento
genico del microbiota non esisteva. Poi hanno cominciato a farlo, abbandonando però
gli esami di microbiologia. Cosa risulta da questo? Intanto un test del DNA non
distingue tra batteri vivi o morti, quindi non individua quelli che possono
produrre metaboliti attivi.
Con il sequenziamento genico, poi, non è possibile vedere i
funghi, i protozoi e gli altri microrganismi del microbiota. Invece importa
individuarli perché se un fungo come la candida aumenta, diventa
patogeno, ed è difficile da debellare; anche riuscendoci, è endogeno, sta
nell’intestino e ricresce; oppure capita che, debellata la candida albicans,
emerga la candida krusei o di altro tipo. Non c’è un solo tipo di candida,
quindi, tolta quella che prevale al momento, si notano gli eventuali altri
squilibri.
Spesso la terapia dei funghi si protrae per questo. In tal
caso procedo con una colturale di controllo e, in pochi giorni, riesco a capire
come procedere con la terapia.
Infine, ci sono i batteri patogeni a bassa carica che
rendono croniche le malattie e vanno eliminati. In questi casi bisogna
procedere manualmente per avere risultati precisi, e occorrono tempo, pazienza
e studio. Ciò vuol dire servirsi della microbiologia, anche se in modo diverso.
Proseguendo con i test del nostro laboratorio, l’esame
diagnostico di secondo livello è il gut plus: oltre a includere il gut
screening normal e la rilevazione del sangue occulto, misura la
calprotectina, la lattoferrina e, in presenza di una forte infiammazione che
può degenerare, l’enzima M2PK.
Questo test serve a valutare lo stato infiammatorio
dell’intestino in caso di malattie croniche come quella reumatologica,
autoimmunitaria, neurologica o oncologica.
Con i test di terzo livello verifico, poi, l’attività
immunitaria della mucosa, misurando la produzione dell’istamina e di anticorpi
come le IGA secretorie e le IGG, ottenendo risposte specifiche sull’andamento della
malattia. Se il livello di immunizzazione è elevato, per la medicina
tradizionale è il segno che c’è maggiore protezione. Invece per chi pratica la
medicina sistemica e funzionale è l’indizio della risposta infiammatoria
provocata dal virus o dal batterio attivo.
Da qualche anno, per le infezioni croniche eseguo il test Infection
Memory.
È effettuato su un campione di sangue e risale a infezioni
pregresse date da un numero definito di virus.
Se la risposta è in quel range, non eseguo altri
test. Se invece riscontro valori alti di chlamydia o del virus di Epstein-Barr,
con il test Elispot provoco una risposta di riflesso dei linfociti sotto
lo stimolo del batterio o del virus. L’assenza di risposta indica che, in quel
momento, il batterio o il virus non è attivo.
L’Elispot serve per misurare il grado di attività dei
microbi e poter trattare la patologia per spegnerla.
È stato elaborato per la malattia di Lyme o borreliosi. La borrelia
è un batterio che, a un certo punto, perde le pareti e rimane latente, non
va mai via, anzi può riacutizzarsi dopo parecchi anni e addirittura
trasmettersi dalla madre al figlio.
La borreliosi è procurata da insetti ematofagi come le
zecche. Quando sospetto si tratti di questo nel caso di malattie neurologiche,
reumatologiche e degenerative, chiedo al paziente se è stato punto da una zecca.
In molti casi risponde di sì, ma capita anche che non se lo ricordi, perché la
zecca ha un anestetico nel rostro, e chi è punto, non sentendo dolore, può non
accorgersene. Con la puntura il contenuto dello stomaco va nel torrente
sanguigno, portando con sé le coinfezioni comprensive di virus come l’Epstein-Barr
o il citomegalovirus e di batteri come la chlamydia o il mycoplasma.
Quindi, torniamo al “patobioma”, all’insieme degli inneschi infettivi.
Sapere quali test eseguire per una malattia vuol dire fare
medicina di precisione. Se, ad esempio, il paziente ha un linfoma, il gut
screening e un tampone nei vari distretti sono utili, però serve anche l’Elispot,
perché il virus di Epstein-Barr può accendere quella malattia.
Di quali altre malattie è responsabile il virus di Epstein-Barr?
È un tipo di herpesvirus che fa da innesco infettivo a varie malattie oncologiche
e alla sclerosi multipla, ma è un’indicazione. Bisogna considerare il
“patobioma”, perché se c’è un virus, c’è il batterio che l’ha portato, a sua
volta portato da altro e così via. La regola è: trattare sempre l’individuo più
grande che trasporta il più piccolo. Bisogna andare alla base, perché mirando
solo al virus, non si distrugge il carro armato che l’ha portato in giro.
Quindi, occorrono esami di laboratorio specifici.
Considerando il numero enorme di batteri e di virus, è
chiaro che non abbiamo tutte le risposte. Noi indaghiamo quelli per cui c’è una
letteratura fiorente riguardo la relazione microrganismo-malattia, e lavoriamo mettendo
a frutto la microbiologia e la medicina molecolare. Se la diagnostica di
secondo e terzo livello fa la differenza, il molecolare ne fa molto di più, e
noi siamo attrezzati anche per questo.
Quale apporto dà il molecolare nell’approccio alle
malattie e per la loro risoluzione? La medicina sistemica ha cambiato paradigma
passando dalla genetica all’epigenetica. In altri termini, ha spostato
l’indagine dal genotipo al fenotipo. Come dico sempre, il genotipo è la
possibilità, il fenotipo è la realtà. Per esempio, un tatuaggio sul braccio,
finché rimane coperto dalla manica della giacca, non è visibile: questa è la
possibilità genetica.
Quando tiriamo su la manica, diventa visibile: questa è la
realtà, l’espressione del gene, ovvero il fenotipo.
Possiamo anche considerare il genotipo come una grande
libreria: ciascuno ne dispone ma non è detto che nella sua vita leggerà tutti i
libri. Potrebbe leggerne solo alcuni.
Il momento in cui ne legge uno equivale all’espressione del
gene, il cui effetto visibile è il fenotipo, la risultante dei cambiamenti del
DNA in quel momento, con il gomitolo di proteine che stanno attorno al DNA e
sono più del DNA.
Con lo switch (tr. “interruttore”), il processo di
accendimento e spegnimento dei geni, possono accendersi le malattie. Possiamo anche
spegnerle, ma non è semplice, perché l’interruttore non è nel muro e non basta
spingerlo per spegnere.
Le parole che terminano in -omica si riferiscono al
molecolare: genomica, lipidomica, proteomica, metabolomica. Se la genomica è lo
spartito e la proteomica lo strumento per leggerlo, ciò che ascoltiamo è la metabolomica.
Ciò che di molecolare si avvicina di più al fattore fenotipico è il metabolita,
di cui si occupa la metabolomica. Quando il gene si esprime, produce i
metaboliti. Allora, esaminando i metaboliti di scarto nel sangue e nelle urine,
possiamo andare a ritroso e capire cosa è accaduto, come se scoperchiassimo i
bidoni dell’immondizia per capire dai rifiuti chi vive nella casa.
Ogni persona ha un aspetto metabolomico di base che pian
piano si modifica. Con la metabolomica possiamo individuare i metaboliti della
disbiosi. I batteri dell’intestino sono soprattutto gram-negativi e producono
lipopolisaccaridi, tossine che portano al rischio cardiovascolare.
Molti studi attestano che la metabolomica permette di
predire l’incidente cardiovascolare silente, la celiachia e l’Alzheimer.
Ci sono metaboliti che bloccano addirittura l’assimilazione
delle vitamine. Nei casi di problemi neurologici, cognitivi o autistici,
l’ipotesi medica è che ci sia una carenza di vitamine, per esempio, del gruppo B,
però dai test ordinari risulta tutto normale. Invece l’esame dei metaboliti
mostra che ce n’è uno che blocca l’assimilazione. La vitamina B c’è, solo non
viene metabolizzata.
Il medico non la prescrive, perché sembra non servire,
invece va data, ma insieme al cofattore che tira via il blocco.
Riuscire a essere specifici, quindi precisi nel trattare la
malattia, ottenendo un risultato duraturo nel tempo, fa una grande differenza.