MICROSCOPIA IN CAMPO OSCURO: LE COSE DA SAPERE SUL SANGUE
Fin dal 1979, quando fonda il laboratorio Valsambro, lei
è una pioniera della ricerca biologica. Spinta dalla curiosità per le
intuizioni e le tecnologie all’avanguardia, ha avuto grandi maestri, ha collaborato
con laboratori internazionali e ha partecipato a convegni di livello planetario.
Oggi il suo laboratorio è in grado di fornire un servizio altamente qualificato
ai medici e alle persone che si rivolgono a lei per una diagnosi, con test
rispondenti alle relazioni complesse che sono alla base della salute e
soprattutto della malattia. Non a caso, fa parte dell’Associazione italiana di
medicina sistemica...
L’approccio scientifico alla malattia esige di considerarne
l’eziopatogenesi nel malato, combinando piano oggettivo e soggettivo con una
fotografia della malattia e del paziente. La malattia coinvolge diversi settori
– fisico, psichico ed energetico – e questo ha un risvolto nella materia che
bisogna essere in grado di verificare. Io lo faccio con il test del microbiota
(il gut screening, che proponiamo in varie formule), la microscopia in
campo oscuro (il mio grande amore, perché ho cominciato da lì), la microscopia
in contrasto di fase, il test di immunomodulatori, il nuovissimo test di
stimolazione linfocitaria e l’ultima nata, la metabolomica.
Recentemente ha tenuto a Bologna il seminario “Gut
screening” e “campo oscuro” in patologia cronica. Cosa consente di fare la
microscopia in campo oscuro? Consente di vedere come sono fatti i globuli
rossi, i globuli bianchi, le piastrine e cosa passa nel sangue. È l’unico test
eseguito su sangue vivo e richiede un microscopio particolare.
In tutti gli altri test, eseguiti con un microscopio normale,
il sangue è fissato: per essere visibile il campione è fissato con alcol o
altro, ma in questo modo se ne provoca la morte.
Inoltre, ciò che non prende il colore non si vede più.
Chi faceva microscopia in questo modo pensava di vedere la
realtà.
Invece è bastato cambiare il microscopio accidentalmente,
che la luce arrivasse in modo tangenziale, anziché perpendicolare, per scoprire
un mondo che nessuno aveva mai visto: esseri viventi che vagano, si moltiplicano,
producono segnali, tossine, citochine, interleuchine e che aggrediscono o si
aggregano in biofilm. La luce tangenziale dà l’effetto del raggio luminoso che,
entrando in una stanza, rende visibile la polvere. Allo stesso modo, un mondo
completamente diverso apparve ai primi ricercatori, visibile senza artifici.
Così essi capirono che la medicina aveva commesso tre errori: il primo,
considerare la cellula come la più piccola unità funzionale biologica; il
secondo, credere al monomorfismo di Louis Pasteur (un batterio, una malattia) che
si affermò sul pleomorfismo di Antoine Bechamp (un batterio, molte malattie),
accolto solo di recente in medicina. Oggi sappiamo che il batterio prende forme
diverse in base al terreno in cui vive; a un certo punto, poi, può perdere
anche la forma ed è un disastro, perché diventa irriconoscibile.
Il terzo errore è la sterilità del sangue, che è stato un
dogma. Günther Enderlein aveva intuito che il sangue non è sterile e ha una
propria flora. Lui, però, aveva solo la visione del sangue. Oggi, nell’era
molecolare e della cosiddetta metabolomica, siamo in grado di vedere che
passano nel sangue cose buone e meno buone provenienti da altri distretti.
Con la genetica, la metagenomica, e con lo studio del
microbiota intestinale, vaginale, della pelle e della bocca, sappiamo che ci
sono miliardi di batteri e, soprattutto, passano da un distretto all’altro.
Con miliardi di batteri siamo in salute perché c’è un
ordine: ogni batterio al suo posto fa ciò che deve fare. Ci ammaliamo perché,
dove traslocano, i batteri producono metaboliti che non vanno bene. Ad esempio,
il batterio che produce acido butirrico nell’intestino e lavora sui colonociti
fa il suo mestiere; da un’altra parte blocca un ciclo.
La traslocazione – questa cosa sfumata, cronica, subdola,
che provoca la malattia autoimmunitaria – avviene perché non ci sono più barriere
tra i distretti. Noi siamo terreno di coltura per i batteri. Con il terreno
giusto cresce il batterio giusto, altrimenti prolifera il patogeno.
In questo caso, il primo step è trovarlo. Il secondo è
abbassare l’infiammazione che rende permeabili le mucose. Il terzo è riparare
le mucose. Questa è la strategia.
Nel sangue passano protozoi, batteri, funghi, tossine e
persino uova, come quello di trichuris trichiura, che proviene
dall’intestino.
Tra i protozoi ci sono il trichomonas e l’ameba. Le
tossine sono aggregati di cristalli, di proteine o di altre molecole; i
cristalli sono incolori e se risultano colorati hanno in sé pigmenti che
indicano la provenienza: per esempio, se un cristallo è verde, viene dalla bile.
Tra i funghi ci sono la candida, l’aspergillus,
il penicillium. Con l’esame tradizionale non si riesce a vedere la
proliferazione di aspergillus né a individuare il tipo di candida,
se non la candida albicans, mentre noi riusciamo a vederne altri.
Tra i batteri ci sono lo streptococco, le spirochete,
difficili da fotografare perché velocissime, e i micoplasmi, i pleomorfi per
eccellenza che mantengono cronica la malattia e addirittura vanno nella cellula
e fanno i batteri endocellulari. I batteri provocano l’infiammazione: ad
esempio, il micoplasma è responsabile della malattia autoimmune, mentre la siphonospora
polymorpha si riscontra nelle problematiche di precancerosi.
Il fungo non infiamma perché è un vegetale: prolifera come
una pianta e intasa dove incontra ostacoli, quindi nelle valvole cardiache, nel
sistema venoso di rientro, nel sistema linfatico e nel sistema respiratorio.
Il fungo si deposita, produce metaboliti e provoca una
malattia da intasamento.
Capita, poi, che i globuli rossi si aggreghino, mentre
normalmente si respingono per via della loro carica.
Se questa cambia per un effetto elettromagnetico, un ormone
o una tossina, i globuli impattano fra di loro e il sangue non circola bene.
Lavorando con l’alimentazione e il drenaggio, verificando se
l’effetto derivi da un problema di tossicità o dall’esposizione a campi
elettromagnetici (televisore e altro), riesco a trattare questo terreno.
Con la microscopia in campo oscuro si vedono queste e altre
cose, ma occorre una risoluzione molto fine. Il nostro microscopio ha una risoluzione
così ampia da consentire di vedere cose molto piccole nel sangue.
Ad esempio, l’escherichia coli, che proviene
dall’intestino divenuto permeabile, oppure lo streptococcus viridans,
che un laboratorio comune non rileva, ed è proprio il batterio che cambia, che
appare senza pareti e provoca la tonsillite cronica.
I batteri senza parete sono evoluti, resistono
all’antibiotico che assumiamo ogni giorno nel mangiare carne e verdura non
biologica. L’antibiotico si attacca alla parete che, in origine, i batteri non
avevano; quindi, geneticamente hanno ripreso quel ricordo ancestrale per
difendersi. Senza parete scompaiono, apparentemente; non si diagnosticano, ma
ci sono.
Infine, con il campo oscuro riusciamo a vedere i biofilm,
aggregati di serie di batteri o di un batterio e un fungo o di un batterio che
si è attaccato a una tossina. Si formano attaccandosi a una mucosa e, quando si
staccano, vanno nel sangue. Bisogna allora sciogliere il biofilm con enzimi proteolitici,
poi aggredire i patogeni con sostanze specifiche in grado di attraversare il
biofilm e avere un’azione antibatterica o antifungina, come gli oli essenziali
che uso.
Sono davvero relazioni molto complesse.
A volte, bisogna mettere insieme più risposte e capire quali
esami abbinare per contenere i costi del paziente. È chiaro che se ha un problema
di colite, basta un test, se invece ha la sclerosi multipla, una malattia
reumatologica, il lupus o la connettivite indifferenziata, bisogna farne di
più. Capendo quali esami proporre ed eventualmente abbinare, si possono
ottenere ottimi risultati.