LA CRISI E LA RIUSCITA NELLA SANITÀ PRIVATA
Sono tanti gli elementi che provano come Hesperia Hospital sia un caso di riuscita, per non dire di eccellenza, nel settore della sanità privata: il fatto stesso che sia un centro di richiamo per tutta l’Europa per quanto riguarda la cardiochirurgia (nel 2004 i vostri risultati in questo ambito, resi noti dal Ministero della Salute, sono stati i migliori, tra pubblico e privato in Italia, e il primato è tuttora conservato), la sua costante attenzione all’innovazione e alla ricerca (non a caso è sede distaccata della Scuola di Specializzazione di Cardiochirurgia di Bologna dal 1993, sede distaccata per l’ambito chirurgico dell’Università di Ferrara e sede europea dell’Arizona Heart Institute di Phoenix, dove lavora uno dei più importanti cardio-chirurghi al mondo, Edward B. Diethrich), nonché lo scambio con gli Stati Uniti che consente a Hesperia un confronto costante con i risultati raggiunti oltreoceano e, di conseguenza, la possibilità di avere i professionisti più validi per la struttura. Tutti elementi che sicuramente hanno contribuito alla riuscita dell’impresa. Ma in un periodo come quello attuale, la crisi è avvertita anche nel vostro settore?
Certamente quello del settore sanitario è un “prodotto” stabile: ce n’è sempre più bisogno. Tuttavia, per soddisfare le necessità, occorrono le risorse economiche. Per il momento, le disponibilità dei nostri utenti – i cittadini privati e il Servizio Sanitario Nazionale – ci sono, ma quando c’è una crisi globale come quella attuale, le cui dimensioni non si conoscono, c’è il rischio che vengano a mancare, se non del tutto, almeno in parte.
Negli Stati Uniti, dove mi sono recato per lavoro il mese scorso, la situazione è molto diversa non solo dall’Italia, ma anche dagli altri paesi europei, anche per aspetti elementari della vita.
Uno studente, per esempio, riceve il prestito d’onore per frequentare le scuole superiori, un altro prestito per laurearsi, un terzo prestito per specializzarsi e, solo nel momento in cui inizia a lavorare, incomincia a restituire. Poi, riceve altri prestiti per acquistare la prima casa, la seconda casa, l’auto e tutto ciò che gli occorre per vivere bene, ma la sua vita lavorativa serve a restituire i soldi alle banche. Nel momento in cui perde il lavoro, come migliaia di persone nella sua area di residenza, i suoi ricavi a fine mese sono zero e ciò vuol dire che non può più effettuare tutte quelle restituzioni in cui si era impegnato: da qui i problemi immensi in cui si sono imbattute le banche, che hanno richiesto l’intervento dello Stato. È chiaro che, quando c’è una crisi di tali dimensioni, le risorse vengono a mancare e di conseguenza anche la domanda di prestazione sanitaria. Allo stato attuale in Italia non ne risentiamo fino a questo punto, però potrebbe accadere.
Uscire dalla crisi è una questione che non riguarda un singolo settore, perché non è una crisi di settore, ma di tutta l’economia mondiale. Tenendo presente che, a fronte di un punto del PIL americano, ne sono stati prodotti quattordici di falsa finanza, per recuperare un punto del PIL all’anno e azzerare il gap che c’è in questo momento, occorrono quattordici anni virtuosi. Anche se non sono un economista, posso dedurre che non sia così facile. Non è una crisi di settore in cui le singole aziende possono intraprendere azioni per modificare il prodotto, aumentare il marketing, innovare e diventare realtà di eccellenza e di richiamo. È una crisi finanziaria, che coinvolge tutti allo stesso modo.
Lei dirige l’Hesperia Hospital da venticinque anni. Per un’azienda del settore sanitario, la gestione della crisi nel senso di emergenza è all’ordine del giorno, ma è compito dei medici e fa parte del vostro servizio intervenire per affrontare quelli che per gli utenti sono momenti di crisi. Nella direzione di un’azienda, invece, che cosa contribuisce alla riuscita, nel momento in cui sono i collaboratori a trovarsi in crisi?
Credo che una chiave di riuscita, che poi è una chiave di lettura, sia quella del superamento dell’individualismo per affrontare le necessità dei nostri utenti in un’ottica di équipe. La logica portante che ha consentito alla nostra organizzazione di giungere alla riuscita è quella di offrire per ciascuna patologia trattata in questa struttura tutto l’esistente in termini di diagnosi, cura e terapia su quella branca specialistica. Se facciamo cardiochirurgia, tutta la cardiochirurgia fattibile oggi, con la più avanzata tecnologia esistente, deve essere a disposizione degli utenti nella struttura. Quindi abbiamo sempre ritenuto necessario avere la completezza delle prestazioni, delle diagnosi e delle tecnologie per le branche che noi trattiamo, oltre che la completezza delle competenze professionali che garantiscano l’approccio giusto. Non devono esserci limitazioni di mezzi né limitazioni professionali. Questo comporta che ci siano branche della medicina che non trattiamo, o trattiamo solo per l’aspetto diagnostico – di cui offriamo l’estremo grado di completezza –, come la neurochirurgia centrale.
C’è qualche riflessione che vuole aggiungere su questo momento in generale a livello politico-economico?
Le informazioni che arrivano ai cittadini sono talmente filtrate e poco motivate che è difficile dire qualcosa di più. Tuttavia, possiamo constatare che in Italia fortunatamente le banche sono più solide di quelle americane, dato che concedono un mutuo solo a chi dimostra di possedere almeno il 50 per cento del valore dell’immobile che sta per acquistare e prendono a garanzia l’immobile stesso. Per quanto riguarda l’intervento dello Stato in questo momento, vorrei solo ricordare che, in seguito alla crisi del ‘29, il governo dell’epoca ha inventato l’IRI ed è partito dalle opere pubbliche, perché con le grandi opere si mette in moto un meccanismo che porta occupazione, produzione di beni e allo stesso tempo evita che a promuovere e a investire sia il singolo imprenditore, che rischierebbe il fallimento con il cosiddetto rischio d’impresa.