I NUOVI STRUMENTI TECNOLOGICI DI FINANZIAMENTO PER LE IMPRESE
Il mio saggio pubblicato nel libro Europa 4.0. Il futuro
è già qui (Livingston edizioni) nasce dall’analisi del variegato mondo
delle piccole e medie imprese italiane che da sempre rappresenta, da nord a
sud, non solo dal punto di vista geografico, ma anche dal punto di vista
economico, finanziario e gestionale, la spina dorsale dell’economia del nostro
paese.
Questo saggio prova a individuare una risposta alle
difficoltà delle PMI italiane, che non riescono a sostenere i loro processi di
crescita, mettendo insieme i due principi cardine dell’intera struttura del
libro: il tema dell’internazionalizzazione e quello delle nuove tecnologie, quindi
della capacità d’innovare guardando al futuro. I due strumenti finanziari per
sostenere questo processo d’innovazione da me tratteggiati sono l’equity
crowdfunding e il lending peer to peer, forme di private equity che il
legislatore italiano ha consentito di usare soltanto negli ultimi anni: l’equity
crowdfunding è stato avviato nel 2012 (anche se ha cominciato a prendere piede
dal 2015, grazie a una legislazione più favorevole), mentre il lending peer to
peer solo dal 2016 ha un utilizzo paragonabile a quello delle principali piazze
europee.
L’equity crowdfunding è un sistema di finanziamento delle
aziende attuato attraverso una raccolta su alcune piattaforme online, istituite
a norma di legge e soggette a controllo della CONSOB, dunque con requisiti a
norma di legge. Su queste piattaforme le aziende possono presentare il proprio
business plan, la propria compagine sociale, il proprio budget, fissando un
target di raccolta considerata essenziale per sostenere quel business plan: da
tutto il mondo chiunque acceda a questi portali può valutare la validità dell’azienda
e del business plan e decidere se finanziare l’azienda.
Nel momento in cui il target di raccolta, quindi l’importo
minimo richiesto dall’azienda, viene raggiunto, l’operazione si perfeziona e i
finanziatori partecipano al capitale sociale di questa azienda. Se il target non
viene raggiunto, l’operazione non si perfeziona e nessuno perde nulla. Il
vantaggio del potenziale finanziatore è chiaramente quello di poter accedere
direttamente al capitale sociale di un’azienda valida, a prescindere dalla sua
ubicazione, e il vantaggio per la società è che attraverso questo strumento può
affrancarsi dalle rigidità imposte dall’accesso al credito bancario, ma anche
dal vincolo di territorialità: un’azienda che ha sede a Bologna può ricevere
finanziamenti da interessati che si trovano in qualsiasi parte del mondo. E
questa è un’innovazione che, anche se potrebbe sembrare banale, sta già avendo una
storicità tale da divenire presto la nuova frontiera della patrimonializzazione
delle aziende. Tanto per dare qualche numero, in Italia, forse perché il
legislatore si è mosso in ritardo rispetto agli altri paesi europei, nel 2018
abbiamo avuto un tendenziale di raccolta per le aziende pari a 60 milioni di
euro, con una raccolta per singola azienda di oltre 200.000 euro: un’azienda che
accede a questo strumento può raccogliere in media 200.000 euro.
All’interno dell’Unione Europea il paese più avanzato
nell’uso dell’equity crowfounding è il Regno Unito, dove oggi si raccolgono
circa 4 miliardi di sterline, divario che indica come la possibilità di
crescita di questo strumento nel nostro paese sia veramente esponenziale.
Il secondo strumento che rappresenta l’altra faccia della
stessa medaglia è il lending peer to peer, con cui le aziende, accedendo a queste
piattaforme online – anche in questo caso autorizzate e vigilate –, possono
richiedere un finanziamento autorizzato non a titolo di equity, quindi a titolo
di capitale sociale, ma a titolo di finanziamento classico, per cui il
rendimento di chi finanzia l’azienda non è dato dal dividendo, ma dal tasso di
interesse.
Questo strumento – nonostante per le PMI italiane, cui
servirebbe una maggiore patrimonializzazione, sarebbe più opportuno l’equity crowdfunding
– sta avendo una risposta migliore in Italia anche perché è più prossimo al
sistema di gestione delle nostre aziende, abituate a richiedere un
finanziamento in banca piuttosto che cercare un socio. Questo strumento
mantiene quel meccanismo culturale di ricerca del finanziamento, ma lo fa, come
nel caso dell’equity crowdfunding, andando ad aprire la possibilità di finanziare
un’azienda nell’intero mercato globale, spersonalizzando e deterritorializzando
le scelte di finanziamento di un’impresa e ad affrancare il mercato italiano
dalle rigidità del sistema bancario. In cos’altro differisce questo strumento rispetto
all’equity crowdfunding? Mentre nell’equity crowdfunding il rapporto tra
finanziatore e impresa è diretto, perché l’impresa presenta sulla piattaforma
la propria attività e il proprio target di raccolta, per cui chi vuole
finanziarla verifica direttamente sul portale le varie proposte e sceglie, nel
caso del lending peer to peer il portale non è solo un momento d’incontro, ma
si occupa anche del matching: il potenziale finanziatore indica al momento dell’iscrizione
al portale il profilo di rischio atteso, il rendimento atteso, il settore
all’interno del quale vorrebbe andare a finanziare delle aziende, le aziende
presentano se stesse ed è il portale ad operare un matching fra strutture
compatibili.
Questo permette un terzo vantaggio: rispetto al credito
bancario, questo sistema riduce considerevolmente i termini per accedere a un
finanziamento, perché nel momento in cui l’azienda presenta la sua richiesta su
un portale in cui sono iscritti finanziatori che hanno come valore atteso
quello che l’azienda sta offrendo, il matching è immediato. Per cui si potrebbe
veramente accedere al finanziamento nell’arco di poche ore. E questa è un’altra
innovazione che per le piccole e medie imprese, che oggi faticano ad accedere
al credito bancario, si sta rivelando un plus che, finalmente, anche se
lentamente, entra nell’attività ordinaria.
Lentamente, perché la percentuale di piccole e medie aziende
che attualmente in Italia accede a questa platea è ancora molto, molto ridotta.
Nonostante tutto, nell’ultimo semestre 2018 (sono gli ultimi
dati effettivi) sono stati raccolti con questi strumenti oltre 200 milioni di
euro.
Dunque, verificando una media per azienda, constatiamo che
la piccola impresa che utilizza questi strumenti riesce comunque a raccogliere
in termini di valore assoluto del finanziamento ben più del concedibile secondo
gli standard del sistema bancario di Basilea 2.
Questi sono oggi i due strumenti che, anche grazie alle tecnologie
di Impresa 4.0, rappresentano un possibile percorso di sviluppo che potrebbe diventare
sempre più consueto nell’attività e nella gestione delle aziende italiane,
anche se oggi è rallentato da due freni.
Il primo è un freno culturale: la maggior parte delle
imprese sono aziende familiari, per cui, per un verso, la possibilità di aprire
il patrimonio a soggetti terzi viene vista come opzione difficilmente
praticabile, per l’altro, il rapporto con le banche continua a essere
considerato ancora, per il desiderio di conoscere personalmente il proprio
interlocutore, il principale canale di accesso al finanziamento.
C’è però anche un secondo elemento che oggi è frenante:
spesso la maggior parte delle piccole medie imprese italiane non ha al proprio
interno le competenze per affrontare queste nuove sfide. Purtroppo, non sempre le
piccole e medie imprese tendono a formare il proprio personale in queste
materie o a trovare all’esterno consulenti con competenze specifiche: si tende
ad affidarsi al consulente globale, al commercialista o all’avvocato tuttofare,
ma non si riesce a focalizzare la singola necessità.
Mentre le aziende che riescono a lavorare con l’estero hanno
formato all’interno le proprie competenze o si sono affidate a consulenti specifici,
per cui l’internazionalizzazione è un percorso che in questo paese è già
iniziato da oltre un decennio in maniera più strutturata, questi due strumenti,
essendo ancora di utilizzo molto recente, non hanno permeato in maniera
complessiva l’intero tessuto delle nostre aziende.
I margini di crescita, come dicono i numeri, sono veramente
elevati, per cui ritengo che questi due strumenti diventeranno di uso sempre
più comune, tanto più che c’è un terzo elemento che rende ancora più fattiva la
possibilità di ricorrere a questi due strumenti: la blockchain, che in realtà
è qualcosa di molto più complesso di quello che i media tendono a far passare
all’auditorio comune.
La blockchain non è semplicemente lo strumento che permette
di utilizzare una valuta virtuale, ma consente di certificare in maniera univoca,
quindi inequivocabile, tutti i passaggi di una transazione a livello globale.
Anche se avviene da Bologna a Nuova Delhi, anche senza un notaio, questa
transazione è unica, univoca, certificata e quindi sicura. In più, la
possibilità di utilizzare le valute virtuali comporta che le aziende che
volessero ricorrere all’apporto di capitali da angoli differenti del pianeta
possano farlo in maniera garantita, affrancandosi non solo dal sistema bancario,
ma addirittura dagli strumenti di pagamento tradizionali. È un’ulteriore innovazione
che rende ancora più possibile e più fattivo l’utilizzo di questi strumenti.
Certamente, come sempre, soprattutto per quanto riguarda l’equity crowdfunding,
le rilevazioni vanno compiute su un periodo di tempo più lungo, un biennio per
alcuni, un quinquennio per altri. In ogni caso, per le aziende italiane che
oggi hanno molte difficoltà a sostenere le proprie iniziative imprenditoriali,
le possibilità di utilizzare gli strumenti che le nuove tecnologie consentono è
una possibilità che ritengo debba diventare sempre più effettiva. L’esigenza
della formazione interna o, cambiando mentalità, quella di affidarsi a consulenti
specifici rappresentano forse i due punti focali su cui fondare questo nuovo
sviluppo e questa nuova possibilità di una mini-rivoluzione in questi termini.
Le associazioni di categoria stanno cominciando a comprendere queste necessità,
stanno cominciando, pur fra tante difficoltà, anche ad avviare una serie di
attività finalizzate a sensibilizzare le aziende in questo senso. Non sappiamo
quale sarà il futuro che ci attende ma, come dice il titolo del libro Europa
4.0, in realtà il futuro è già qui, e già tantissime aziende stanno traendo
i vantaggi attesi dall’uso di queste tecnologie.