BORGHI SPA: 70 ANNI DI ARTE NELLE MACCHINE PER SPAZZOLERIA
Negli Stati Uniti, in Russia, in India, in Cina, in
Africa, in Brasile, in Italia e in Europa, la maggior parte delle scope e delle
spazzole per gli usi più disparati è fabbricata da una macchina costruita dal
Gruppo Boucherie Borghi. Leggendo il libro di Ilario Salvatori La Borghi
S.p.A. Una storia italiana (Edizioni La Carbonara, 2012), possiamo seguire
le straordinarie vicende di un’azienda partita con tre soci e sette dipendenti
e giunta a divenire leader mondiale nel settore della spazzoleria, insieme alla
belga Boucherie, entrata nel Gruppo cinque anni fa. L’ennesima conferma che
nella “Motor Valley” la meccanica produce miracoli… La storia della Borghi
è molto articolata e risale al 1949, quando tre soci – Pietro Borghi, Elio
Marinelli e Tonino Righi – costituirono a Castelfranco Emilia la prima fabbrica
di macchine per spazzole e scope d’Italia: la B.M.R.
(dalle iniziali dei loro cognomi). Da questo nucleo si
diramarono, nel corso del tempo, quattro aziende che hanno rappresentato la
punta più alta della meccanica nel nostro territorio: la Marinelli-Marzocchi,
la Borghi, la M.A.S.S. e l’Osmas 3. Dopo varie vicissitudini, la prima uscì dal
mercato, mentre le ultime due, nel 1994 e nel 2004, confluirono nella Borghi
Spa, che così divenne una delle tre fabbriche di macchine per spazzoleria
leader nel mondo, insieme alla belga Boucherie e alla tedesca Zahoransky. Con
l’unione che lei ricordava, avvenuta cinque anni fa, il Gruppo Boucherie Borghi
ha raggiunto il primato assoluto nel settore.
Oggi siamo in grado di proporre la più ampia gamma di
macchine e attrezzature disponibili sul mercato, dalla piccola macchina a
funzionamento manuale o semiautomatico, idonea per i neofiti, fino al più
complesso impianto robotizzato, soddisfacendo l’intero spettro di esigenze
produttive sia nell’ambito degli articoli casalinghi sia in quello più
specialistico delle spazzole tecniche e industriali.
Quanti anni ha impiegato la Borghi per mettere in atto la
rivoluzione digitale? La Borghi è stata tra i precursori nell’informatizzazione
dei processi produttivi, se pensiamo che, già nei primi anni ottanta, aveva
inventato la prima macchina al mondo per spazzole e scope a controllo numerico.
Un risultato cui non erano arrivati neanche i belgi e i tedeschi a quel tempo.
Nel corso dei decenni avete aperto sedi commerciali in
vari paesi, compresi quelli del BRIC. C’è una minore richiesta di tecnologia in
queste aree? A conferma che il mercato italiano è riconosciuto a livello
mondiale per la produzione di articoli d’eccellenza, noi esportiamo oltre il 95
per cento della produzione. È chiaro che, esportando molto, consideriamo
imprescindibile la nostra presenza nei paesi in cui operano i nostri clienti.
Fin dai primi passi della Borghi nel mondo, l’assistenza è stata il suo fiore
all’occhiello e ha fatto parte della filosofia che è alla base della sua
riuscita. A maggior ragione oggi, che le macchine sono sempre più complesse, la
presenza sul posto ci aiuta a mantenere e a proseguire nel tempo relazioni con
clienti che investono centinaia di migliaia, se non milioni, di euro con noi e
devono avere la certezza che, all’occorrenza, interveniamo sul posto, oltre che
avvalerci di internet e delle nuove tecnologie di comunicazione per fornire
assistenza anche rimanendo dall’altra parte del globo.
Per quanto riguarda la distribuzione della tecnologia, è
chiaro che in un paese del Centro-Africa, per esempio, è più difficile vendere
macchine ipertecnologiche per motivi economici, ma devo sfatare un luogo comune
dicendo che anche nei paesi emergenti (come India e Cina) l’alta tecnologia è
sempre più richiesta, perché, nonostante finora il costo del lavoro abbia
permesso loro di essere molto competitivi a prescindere dalla tecnologia
utilizzata, oggi stanno andando verso una maggiore evoluzione dei processi
produttivi e quindi hanno sempre più necessità di macchine ad alto contenuto tecnologico.
Fino a che punto i tecnici qualificati sono disposti a
viaggiare per raggiungere le vostre sedi nel mondo? Considerando che per
noi l’esportazione è vitale, se un collaboratore non è votato a uscire dai
confini nazionali non è idoneo per la nostra società. Per incentivare e aiutare
i nuovi assunti a divenire sempre più indipendenti, offriamo internamente corsi
d’inglese, spagnolo e francese, soprattutto nell’ultimo periodo, in cui devono interloquire
non solo con i clienti, ma anche con le maestranze o con i nostri colleghi in
Belgio. E questo vale anche per i progettisti, che prima non avevano tanta
necessità di andare all’estero.
Quanti sono i progettisti? L’innovazione tecnologica
del prodotto è alla base del nostro successo.
Se fermassimo questo processo, negheremmo la stessa
vocazione della nostra impresa. All’interno della nostra azienda, studiamo,
progettiamo e facciamo ricerca e sviluppo. Abbiamo due uffici tecnici – uno di
meccanica e l’altro di elettronica –, dove contiamo quasi una settantina di
collaboratori, e siamo titolari di tutte le proprietà intellettuali delle
nostre macchine, che personalizziamo in base alle richieste dei clienti.
Collaboriamo con gli istituti tecnici della zona – San Giovanni in Persiceto,
Vignola, Modena – per introdurre i giovani nella vita della nostra organizzazione,
attraverso stage o altre attività estive, e con le Università di Bologna e di
Modena, a seconda delle loro specializzazioni nell’ambito dei nuovi progetti
che dobbiamo sviluppare. In questo modo, possiamo rispondere alle richieste del
mercato, che variano con il variare del tempo ed esigono sempre nuove modalità
e processi di costruzione delle macchine.
Man mano, nel corso degli anni, i fondatori hanno
lasciato le redini alle nuove generazioni, che hanno dato una svolta nella
gestione della società. Lei quando è entrato nel consiglio di amministrazione? Una
decina d’anni fa. Negli ultimi cinque anni, in seguito all’unione con il socio
belga, le nuove generazioni, anche per una questione prettamente linguistica,
sono subentrate sempre di più nella gestione della società.
Quello della Borghi è un caso molto interessante in cui
il cosiddetto passaggio generazionale non è avvenuto attraverso i figli dei
soci… Infatti, io non sono figlio di un exsocio, le mie quote le ho
comprate e, nel tempo, ho sviluppato la mia posizione con i miei soci storici.
Trovo abbastanza anomalo, in senso positivo, che gli imprenditori della
generazione precedente abbiano avuto una tale apertura intellettuale da dare
un’opportunità imprenditoriale anche a persone come me, che sono al di fuori dell’ambito
familiare. Devo riconoscere che sono stati molto lungimiranti.
Si riferisce anche a Pietro Borghi? Sì, già lui, non
avendo figli, prima di morire, nel 1970, aveva lasciato l’azienda a tre suoi
operai: Romano Biagi, Ivano Bonfiglioli e Gianni Maccaferri.
Nel 1978, si erano aggiunti altri tre soci - Enzo Ferrari,
Claudio Solato e Roberto Zini - che erano usciti dalla Marinelli-Marzocchi,
quando fu venduta, a insaputa dei fondatori, al concorrente Tonino Righi. Poi
però la tradizione è continuata, perché, dei sei soci, soltanto Romano Biagi,
Enzo Ferrari e Claudio Solato hanno lasciato ai figli il loro pacchetto
azionario, mentre gli altri, man mano, si sono ritirati per avanzamento di età
e hanno messo a disposizione dei collaboratori le loro quote. La nostra è una
storia molto affascinante.
Soprattutto se pensiamo che, spesso, quando non ci sono
figli o quando i figli non hanno interesse a proseguire l’attività, subentrano
i fondi d’investimento… In quei casi, però, si perde la natura dell’impresa
nel suo legame con il territorio, la sua filosofia e la maggior parte di quei
valori che hanno portato la nostra economia a livelli di eccellenza negli anni
sessanta e settanta: il valore della stretta di mano, della parola data, per
esempio, per noi è molto importante e in tanti paesi è ancora apprezzato. Poi, è
chiaro che nel mercato ci sono anche i “furbetti” e occorrono tutte le cautele
che gli strumenti odierni ci consentono di prendere, però noi mettiamo al primo
posto la serietà e l’onestà, valori che ci sono stati trasmessi dai nostri predecessori
e che siamo orgogliosi di mantenere vivi nella nostra memoria attuale.