VENDERE L’ECCELLENZA CERAMICA MADE IN ITALY IN NOVANTA PAESI DEL MONDO: SFIDE E OPPORTUNITÀ

Qualifiche dell'autore: 
export sales director, Gruppo Romani Spa

In mezzo secolo di attività nella ceramica made in Italy, il Gruppo Romani ha conquistato il pubblico più esigente e più attento alle tendenze moda in novanta paesi del mondo. In qualità di direttore commerciale estero, lei coordina ottantaquattro agenti stranieri che operano in questi paesi, undici capi area che si confrontano in modo costante con loro e con la casa madre e due reti commerciali che promuovono i vostri brand (Serenissima e Cir, da una parte, e Cercom e Cerasarda, dall’altra). Che cosa comporta collaborare alla riuscita di un Gruppo che è nella hit parade dei primi dieci nomi della ceramica italiana? Il Gruppo Romani ha una reputazione forte come produttore che ha sempre dedicato grande attenzione non soltanto al bello, al design e all’innovazione – basti pensare che, già nel 1973, il fondatore, il Cavalier Lamberto Romani, riceveva in Campidoglio l’Ercole d’oro, Premio Internazionale all’innovazione –, ma anche alla sostenibilità ambientale e alla qualità della vita nei luoghi di lavoro. Il nostro posizionamento è riconosciuto dal mercato globale, a cui è destinato l’80 per cento della produzione, ma ciascun giorno dobbiamo affrontare le insidie provenienti da fattori imprevedibili, soprattutto negli scenari politici dei paesi di sbocco dei nostri prodotti. Soltanto negli ultimi anni, in alcuni segmenti di mercato e in alcuni paesi sono intervenuti cambiamenti strutturali completamente inaspettati, che ci hanno costretto a modificare il paradigma da un giorno all’altro.
Questo vuol dire che dobbiamo adottare un approccio flessibile e avere la capacità d’interpretare immediatamente i segnali che i nostri agenti e capi area captano nei loro incontri con il pubblico a vari livelli – distributori, progettisti, architetti, opinion leader e competitor – e trasmettono alla casa madre, la quale poi li traduce in nuove strategie, che consentano di virare verso nuovi traguardi, compensando le perdite e, anzi, cogliendo l’occasione come propizia all’invenzione di altre opportunità di business.
Il tempo medio di cambiamento si è incredibilmente accorciato e tutto ciò che era vero ieri non lo è più oggi, pertanto è più complesso fare programmi, non solo a lungo, ma anche a medio termine, perché intervengono eventi che modificano la situazione in modo irreversibile. Per esempio, in Iran, un mercato importante da decenni per il nostro export, due anni fa il governo ha deciso improvvisamente d’interrompere l’importazione di piastrelle. Pertanto, per compensare questa perdita, abbiamo dovuto aumentare il nostro investimento su altri mercati. La stessa cosa può dirsi per la Russia che, fino a sei anni fa, importava stabilmente 180 milioni di fatturato di piastrelle italiane all’anno e rappresentava il quinto mercato del mondo per il nostro settore. Poi, il buon Putin ha deciso d’invadere la Crimea e di foraggiare la guerra civile nel Donbass ucraino, l’Europa ha risposto con le sue sanzioni, lui ha risposto con le proprie, che hanno interessato anche la ceramica, quindi la Russia è diventato un mercato del tutto marginale, che l’anno scorso ha importato soltanto 40 milioni di euro.
È stato un terremoto, se pensiamo agli investimenti profusi dai produttori italiani in quel paese fino al 2014 per il potenziamento delle reti commerciali, per la formazione degli agenti e per la produzione ad hoc per quel mercato specifico. Tutto questo è venuto meno nel giro di qualche mese. Era imprevedibile, e difficilmente compensabile, però rientra in quelle realtà a livello globale in cui possiamo essere sotto scacco da un momento all’altro a causa di eventi più grandi di noi.
Quali sono invece i mercati in cui si avverte una crescita rispetto ai decenni scorsi e su cui state puntando? Dopo anni di ricostruzione e di riconversione industriale, mercati come la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia e l’Ungheria stanno tornando a essere quello che sono sempre stati, cioè mercati mitteleuropei, in termini di gusto e potere d’acquisto. La parentesi dei cinquant’anni di appartenenza dell’Est Europa all’ex blocco sovietico è stato un incidente della storia: viaggiando in questi paesi, ci si rende conto della loro grande capacità di ricezione di prodotti sofisticati, grazie alla loro cultura assolutamente europea, che, con la caduta del Muro, dagli anni novanta, è tornata ad affermarsi con forza. Pertanto, sempre di più, i produttori investono sulle reti commerciali, i clienti, le relazioni, i prodotti ad hoc per questi mercati, con risultati notevoli. La Polonia, per esempio, l’anno scorso ha superato la Russia nell’importazione di piastrelle italiane, e questo non solo per il crack della Russia, ma anche perché sta emergendo un grande mercato interno di 42 milioni di consumatori, stabile economicamente, in grandissima ascesa, che non apprezza i materiali sostitutivi della ceramica, ed è diventato una bella opportunità, ma anche una sfida, considerando che è un grande paese produttore. Anche questo ci spinge ad alzare continuamente l’asticella, per proporre un’offerta sempre più variegata e smarcarsi da una competizione basata unicamente sul prezzo, che vede la piastrella come una semplice commodity.
A proposito, in che modo affrontate gli attacchi di produttori low cost come la Cina? Si stima che, su 13,1 miliardi di metri quadrati posati nel mondo, ben 7 provengano dal Celeste Impero. Quindi, almeno a livello di volumi, è il primo produttore mondiale. Noi, come molti italiani, abbiamo deciso di non produrre più piastrelle, ma valore, per cui non ci misuriamo nel mondo dei metri quadrati, ma in quello dei prodotti a valore aggiunto, con un alto contenuto di design e di moda. Sempre più ci siamo allontanati dal nostro settore di origine, l’edilizia, e ormai facciamo parte integrante del “sistema casa”.
In alcune aree del mondo, come il Far East, l’Australia e gli Stati Uniti, è innegabile che i cinesi abbiano preso quote di mercato che prima erano appannaggio anche degli italiani, e questo è uno di quei motivi che c’inducono a migliorarci, a smarcarci da quel tipo di produzione a basso valore aggiunto. Tuttavia, per dare un’idea della differenza di prezzo con cui dobbiamo confrontarci sul mercato, cito soltanto questi dati: i produttori italiani esportano a 13,9 euro al metro quadro, noi esportiamo intorno a 16 euro – pertanto siamo ritenuti il 20 per cento più cari e più pregiati, più belli di altri competitor italiani –, mentre i produttori cinesi esportano a 3,9 euro al metro quadrato, un prezzo cinque volte inferiore al nostro. Ecco perché non possiamo sederci sugli allori e dobbiamo perseguire il miglioramento continuo e l’eccellenza. Detto questo, la Cina incomincia a sviluppare un mercato interno interessante, anche se rappresenta ancora un mondo molto opaco in cui è abbastanza complesso instaurare rapporti continuativi e di collaborazione strutturali, tant’è che oggi nessun produttore mondiale è riuscito a installare business unity in Cina e a sviluppare partnership strategiche. Noi comunque siamo tra i produttori italiani più presenti in questo mercato da oltre un miliardo di persone, in costante evoluzione, in costante ascesa economica, con un tasso di cambio dello yuan fisso con il dollaro, e siamo tra le realtà del settore che vi hanno scommesso maggiormente: abbiamo una nostra società, Serenity, con sedi a Shanghai e Foshan, e stiamo sviluppando punti vendita monomarca in tutto il paese.
Pertanto, siamo in pole position per raccogliere i frutti migliori dell’evoluzione economica, politica e sociale che sta avvenendo in Cina.
E che cosa può dirci del Giappone? Il Giappone è senza dubbio il paese più importante del Far East, un mercato da 120 milioni di consumatori, la terza economia globale, con un Pil che supera i 5000 miliardi di dollari.
Inoltre, è un paese con grande cultura ceramica, che ha la sua capitale a Nagoya, la prima città a sviluppare l’arte del vasellame, dove ancora operano produttori di piastrelle locali.
Quella giapponese è una cultura affascinante e attratta dal made in Italy. I nostri partner giapponesi sono i primi a venirci a visitare, la settimana precedente al Cersaie, accolgono le novità tecnologiche e di prodotto prima di altri mercati, sono fast mover nell’ambito dei gusti, ma molto tradizionali e conservatori nell’ambito delle relazioni commerciali. Pertanto, richiedono lo sviluppo di partnership, amano essere integrati nel processo produttivo e sapere la storia alla base di ciò che comprano. Ecco perché per noi è un paese strategico, situato nella top tre dei più grandi mercati d’oltremare, soprattutto in questo momento, in vista delle Olimpiadi di Tokyo del 2020, che stanno avendo un’influenza positiva e una ricaduta enorme sulle costruzioni e sull’importazione di piastrelle.
Oltre che in Giappone, siamo presenti storicamente negli Stati Uniti, dove siamo tra i primi player europei e abbiamo una rete commerciale stabile che copre dalla East Coast fino alla West Coast, e questo fa di noi un produttore assolutamente globale, che dà grande rilevanza al mercato domestico, l’Eurozona e i paesi di cultura europea in generale, ai paesi esotici e orientali come il Giappone e grande rilevanza alla prima economia globale. Possiamo definirci a tutti gli effetti un produttore glocale che, dai nostri tre stabilimenti produttivi italiani (di Rubiera, Roteglia e Olbia), con un forte presidio sociale sul territorio, sta raggiungendo i paesi più inaspettati, in cui siamo orgogliosi di essere ambasciatori del bello italiano, dell’arte italiana, della tradizione italiana, in uno dei settori di punta, perché il cluster ceramico è il secondo distretto produttivo del paese. E non dimentichiamo che l’Italia è tra le prime dieci economie del mondo: si parla tanto di crisi, ma nessuno sottolinea mai abbastanza che noi, nati dalle macerie della guerra, oggi siamo tra i primi dieci paesi del globo quanto a PIL e siamo ambasciatori di civiltà a livello globale.