L’ACQUA, LA SESSUALITÀ, LA SALUTE
Ci sono borghi, nella nostra Italia, nell’Italia della
parola, che dimorano in un destino speciale, il destino della vita nel suo
divenire salute, un destino di onestà. Anche Porretta Terme voi la trovate in
questo destino.
Non si tratta di un paese arroccato in una posizione di
privilegio o su una strada a passaggio obbligato, non può vivere quindi di
ricordi, di retaggi o di gabelle. Chi, tra voi, coglie la combinazione artistica
e inventiva del suo paesaggio, i capricci della memoria dei millenni (da dove
vengono le cose e dove vanno) ha la chance d’intendere la sua modernità e di
trarre i frutti della miniera di parole, di cose in cui il paese naviga. E pure
noi, naviganti senza luogo, ma con miriadi di regioni e di villaggi, di piazze
e di strade nella nostra favola, corriamo questo rischio di divenire statuti
nei dispositivi d’impresa della sua narrazione.
E siamo invitati a dare la nostra testimonianza, una prova
di scrittura pragmatica.
Leggete Mandragola di Niccolò Machiavelli: nel primo
capitolo, Porretta interviene come uno di quei luoghi dove “non si fa se non
festeggiare” e dove “da cosa nasce cosa, e il tempo la governa”. Ecco, nel
celebre aforisma, una novità scritturale: il tempo è governante impagabile, che
non si compra, ma che capitalizza, cifra. Potere capitalizzante, cifrante del
tempo. Così la festa della parola non ha bisogno della ferialità sacrificale per
pareggiare, con la pena, i suoi conti. In questa assenza di mercenarismo, sta
l’onestà della vita, l’onestà intellettuale, il destino della vita che diviene
capitale, valore assoluto, salute.
Nessuno può farsene un fregio o un’esclusiva. E nessuno vi
sfugge.
Quante cose, nella miniera linguistica che riguarda
Porretta, trovano la strada dell’onestà intellettuale, divenendo elementi di
valore, qualificandosi? Quante cose compiono un viaggio nell’automazione
narrativa, che non dipende né dalla volontà divina né dalla volontà umana?
Gocce, onde, molecole, gas, cellule, vene e venature, rivoli e filoni, sorgenti
e sbocchi, schiume, falde, rocce, granelli, pulviscolo: “acqua”, scrivendo in breve.
L’acqua è l’indice dell’automazione del viaggio nei suoi dispositivi d’impresa.
“Acqua”: qui, quasi un aforisma, tanto la brevità stenografa l’esigenza di
cifra, esigenza di valore, di capitale, l’estremo rendimento del capitale.
Ciascun elemento di valore vaga per i viali della linguistica del cosmo in
questa favola che offre a noi squarci d’intendimento. Favola irreligiosa.
Favola poetica, che approda all’aforisma. Ciascuno ha la chance d’intendere e,
intendendo, di divenire migrante, statuto della parola, in questo nomadismo
delle cose verso il loro valore. E oltre l’aforisma, ciascuno diviene specie
nuova, caso di qualità, caso di salute.
Acqua: le ragioni del suo nomadismo nella ricchezza
linguistica del cosmo sono ragioni pragmatiche, ragioni temporali, sessuali.
Sono le ragioni della verginità, della grazia, della carità (virtù del tempo
che capitalizza le cose, perché non finisce), lontane dall’arcaismo delle
ragioni erotiche assegnate all’acqua dagli scritti fondatori delle dottrine
religiose. Nel cosmo vedico (nei Rig Veda) l’acqua è prigioniera nel
ventre del serpente divino Vritra, che stringe la terra circondandola in una
morsa, in attesa che la folgore del dio Indra, altra sua faccia, squarci il
ventre per liberare le acque. Acqua libera, manifesta, acqua prigioniera,
nascosta: canone dell’alternanza. Acqua assente, acqua presente: l’alternanza è
una fabbrica d’incarnazioni (di dio, dell’uomo, del popolo). Nel cosmo cristiano,
ecco l’incarnazione di Cristo-acqua, che si offre per spegnere la sete
dell’umanità in eterno: acqua di salvezza, che assorbe l’anomalia dell’acqua,
purificandola, spiritualizzandola. Così la sete diviene demoniaca, ultima tentazione
assoggettante, sete ultima, sete dell’ultimo. Segno dell’assenza di acqua. Ma
l’acqua è nella ricchezza, nella donazione della vita: l’acqua della parola non
manca mai. Da qui, anoressia dell’acqua: “Non ho sete, e non c’è nulla da bere”.
L’acqua del diluvio canonico è bloccata nella rotta
convenzionale della fine del tempo e della fine di ogni cosa e nel cerimoniale
che va dall’acqua generante e rigenerante all’acqua pura, all’acqua della
salvezza.
È un’acqua risolutiva, che toglie al viaggio l’acqua,
l’indice dell’automazione.
Ma l’acqua nella parola non ha scopi apocalittici,
rivelatori né missioni redentive, purificatorie.
Così le vene dell’acqua, a Porretta, non sono vene nascoste,
ma vene nel tessuto del racconto scientifico elaborato nei dispositivi
d’impresa, della città: un broccato prezioso, con fili d’acqua e fili di
grafite argentata, fili d’oro e fili di carbonio sulla via del diamante.
Straordinaria la pagina del carbonio nel suo destino di valore: la miniera
della parola viene dai millenni e ha millenni di avvenire dinanzi.