LO STATO SATURNO STA DIVORANDO IL SUO AVVENIRE: LE IMPRESE
In Italia, e in particolare in alcune regioni del Nord,
abbiamo un tessuto industriale di primissimo livello. La nostra Emilia Romagna è
una delle aree maggiormente industrializzate in Europa, famosa in tutto il
mondo per le numerose eccellenze e la radicata cultura del lavoro.
Terra abitata da gente intraprendente, ingegnosa,
coraggiosa, gioviale, generosa e, tendenzialmente, onesta e rispettosa.
Ma, nel mercato globalizzato, le nostre aziende devono
confrontarsi con oggettivi svantaggi competitivi, non a esse riconducibili,
rispetto alla maggior parte dei concorrenti esteri.
Fra gli svantaggi bene identificabili, ricordiamo il costo
del lavoro molto alto a causa di trattenute fiscali e contributive molto
elevate, a fronte di retribuzioni nette che sono fra le più basse rispetto ai
paesi industrializzati; una tassazione diretta e indiretta variegata e nel
complesso molto alta; l’eccessiva burocratizzazione, vale a dire un gran numero
di adempimenti formali, una pletora di dichiarazioni e più in generale un
sistema legislativo e di controllo molto complicato e invasivo; un sistema di
infrastrutture spesso carente o obsoleto; i costi delle utenze (gas ed energia
elettrica) elevati; la normativa in materia ambientale e di sicurezza sul
lavoro molto complessa e onerosa; i tempi della giustizia penale e civile
eccessivamente lunghi; le difficoltà e le enormi farraginosità nel settore
dell’edilizia e in particolare nell’esecuzione delle opere pubbliche.
Questi ostacoli sono direttamente o indirettamente
riconducibili al settore pubblico e alla pubblica amministrazione la quale,
specialmente negli ultimi anni, si dimostra poco o punto propensa ad agevolare
il mondo delle aziende private.
Molti problemi di competitività per le imprese private sono
riconducibili alle aziende stesse o al mercato, quindi nulla c’entrano con la
pubblica amministrazione, ma le criticità che ho riassunto rendono ancora più difficile
la competizione per le aziende italiane, che devono ingegnarsi parecchio e
applicarsi con tenacia per compensare i maggiori costi, palesi o occulti, che
ne conseguono. Soltanto spingendo al massimo la produzione, l’innovazione,
l’organizzazione, la qualità, la tecnologia, l’efficienza, la velocità e la
flessibilità, restiamo sul mercato a competere, ma in una lotta impari. Queste
caratteristiche sono applicate e sviluppate anche dai nostri concorrenti
esteri, che però non subiscono, in tutto o in parte, gli svantaggi che ho
ricordato.
Il nostro tessuto industriale si sta progressivamente
riducendo (deindustrializzazione) e sta perdendo competitività, in buona parte
per fattori esogeni: per questo produciamo sempre meno ricchezza in valore assoluto.
Le imprese diminuiscono e molte vengono vendute a proprietà straniere interessate
alla nostra tecnologia e ai nostri brand.
C’è chi sostiene che è un trend fisiologico e un processo
irreversibile o che in Italia dovremmo lasciare soltanto le attività a maggiore
valore aggiunto, quelle creative e quelle che si occupano di ricerca e
sviluppo, ma, se così facessimo, vedremmo drasticamente ridotta la nostra base occupazionale.
Al contrario, credo che noi dovremmo fare in modo di mantenere e sviluppare
anche le attività industriali di base e, in particolare, quelle a forte impatto
occupazionale.
Il rapporto di diffidenza che c’è fra imprese e pubblica
amministrazione è risaputo da decenni, ma non è logico ed è controproducente.
Un esempio è l’inversione dell’onere della prova nell’ambito del processo tributario.
Il cosiddetto “Sistema Paese” dovrebbe prevedere una
pubblica amministrazione che agevoli il fare.
L’ambito pubblico e quello privato dovrebbero collaborare
per massimizzare la crescita, anche perché le risorse prodotte dalle imprese sono
la principale fonte di sostentamento dell’apparato pubblico.
È invece evidente che le aziende private vengono considerate
da più parti come luoghi di sfruttamento e di violazione delle regole, oltre
che “casseforti” sempre aperte dalle quali attingere continuamente risorse finanziarie.
Di conseguenza, negli ultimi decenni, si sono spesi centinaia di miliardi per
istituire e far funzionare complessi sistemi legislativi e di controllo che
hanno prodotto una costosissima e non di rado inefficiente macchina burocratica
che ostacola spesso e volentieri chi fa.
La mia formazione universitaria e professionale mi ha
portato a sviluppare una forte attenzione all’attività di controllo. Ma il
controllo è indispensabile se coadiuva il fare, se è funzionale a fare di più e
meglio.
Se invece si sostituisce al fare o lo ostacola, c’è qualcosa
di sbagliato.
Ed è invece indubbio che, in particolare negli ultimi anni,
il sistema si stia sbilanciando notevolmente più verso il controllare che verso
il fare o, quanto meno, tende a limitare il fare, a ingabbiarlo.
Allora, proprio come Saturno, affamato, folle e disperato,
risolve un problema contingente, nutrendosi dei propri figli e quindi
distruggendo ciò che rappresenta il futuro, sembra che lo stato voglia
progressivamente fagocitare le imprese pezzo per pezzo, non rendendosi conto
che, in questo modo, distrugge anche la propria fonte di sostentamento e il
proprio avvenire.