EFFETTI COLLATERALI DELLA BUROCRAZIA
Dodici anni: questo il tempo che una catena di GDO (Grande Distribuzione
Organizzata) ha dovuto attendere per ottenere le autorizzazioni necessarie ad
aprire il suo primo grande punto vendita a Roma. Ma quanto sono cambiate, in dodici
anni, le condizioni di mercato e generali del luogo? E sono ancora attendibili
le valutazioni che avevano portato l’organizzazione alla decisione d’investire
nella capitale? Centoquattro sono, invece, i giorni che le imprese italiane in
media devono attendere prima di ricevere dalla pubblica amministrazione il pagamento
dei debiti contratti per l’acquisto di prodotti o servizi. In Europa, secondo
un recente studio basato sui dati dell’European Payment Report del 2018,
l’Italia occupa l’ultimo posto e questo ritardo sistematico è costato alle imprese
italiane 4,172 miliardi di euro complessivi, cifra generata dagli interessi
passivi dovuti per anticipare il credito necessario per pagare i dipendenti e
per onorare gli impegni presi.
Questi sono soltanto due esempi della complessità e della
lentezza che caratterizzano la macchina burocratica italiana. Tutti ne parlano e
tutti si lamentano, ma le cose non cambiano. Allora, partiamo dalla definizione:
che cosa s’intende con pubblica amministrazione? L’insieme degli enti pubblici
che svolgono l’attività amministrativa, ovvero quell’attività rivolta al
concreto perseguimento di interessi pubblici, comprendendo anche gli enti
pubblici cosiddetti economici, deputati all’esercizio di un’attività economica
e operanti in regime di diritto privato. L’attività della pubblica
amministrazione è oggetto di norme costituzionali ed è sancita dall’art. 97
della Costituzione, che stabilisce i principi d’imparzialità, di buon andamento
e di trasparenza, e dall’art. 98, che afferma che “i pubblici impiegati sono al
servizio esclusivo della nazione”. Ciò significa che l’amministrazione pubblica
deve essere immune da influenze di parte e deve operare senza recare discriminazioni
di sorta. Il principio dell’imparzialità ha portata generale, vale per tutti i
tipi di amministrazione pubblica (centrale e locale) direttamente collegata
all’indirizzo politico (i ministeri) o separata da esso (le autorità
indipendenti).
Vediamo, invece, come incide la burocrazia nella realtà
delle imprese.
Un primo ostacolo percepito dalle imprese sta nella
complessità delle norme, dovuta sia a una scarsa chiarezza sia a una
stratificazione di provvedimenti spesso motivati dall’urgenza. Le informazioni
richieste dall’amministrazione pubblica alle imprese sono eccessive, il che non
fa altro che rallentare la macchina burocratica. Un secondo ostacolo è
sicuramente il notevole ritardo nella digitalizzazione degli uffici pubblici.
Sono ancora molte le imprese che non sbrigano abitualmente online le pratiche,
ma quelle che usano i siti della pubblica amministrazione ritengono che le informazioni
siano accessibili solo dopo una lunga ricerca e alcune lamentano l’assoluta
irreperibilità delle notizie utili. Inoltre, gran parte delle imprese non
ritiene adeguato il livello d’informatizzazione del settore pubblico. Una
maggiore e migliore informatizzazione porterebbe a risposte più chiare e
tempestive da parte delle imprese, a una riduzione dei costi e a una maggiore certezza
nei tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi.
La complessità delle norme e la conseguente mancanza di semplificazioni
sono le cause principali dei costi assurdi che le PMI italiane devono sostenere
per la burocrazia fiscale, costi stimati dall’Osservatorio nazionale di CNA in
22 miliardi annui (circa 5.000 euro l’anno a impresa). L’Italia detiene il record
negativo nell’UE: per pagare le tasse servono 85 ore di lavoro in più rispetto
alla media dei paesi dell’area euro; il 41,3 per cento delle imprese oggetto
della ricerca impiegano fino a tre giorni lavorativi al mese; nel 32,2 per
cento fino a cinque; nel 9,1 per cento fino a dieci e nel 6,8 per cento oltre
dieci.
È limitato al 10,7 per cento il numero di imprese che se la
cava in meno di una giornata lavorativa.
Gli effetti collaterali per le imprese di questa
“burocratura” si riscontrano nella creazione di costi aggiuntivi, finanziari
(conseguenza dei ritardi nei pagamenti da parte delle pubbliche
amministrazioni) e operativi (dovuti ai lunghi tempi di conclusione dei
procedimenti amministrativi e alle difficoltà da parte delle amministrazioni
pubbliche nel garantire efficienza delle vie di comunicazione).
A tal proposito, in seguito al crollo del ponte Morandi,
molti comuni si sono accorti che non hanno l’inventario dei ponti sul loro territorio
e non riescono a reperire i progetti o gli esiti dei collaudi e, pertanto, non
rilasciano le autorizzazioni di transito. Per le imprese, queste circostanze provocano
ritardi o mancate consegne con conseguente pagamento di penali, in alcuni casi,
oltre al mancato guadagno.
In conclusione, siamo lontani da una pubblica
amministrazione come dispositivo di valore, che metta le aziende e i cittadini
in condizione di operare con efficienza ed efficacia, e dall’art. 98 della
nostra Costituzione, secondo cui “i pubblici impiegati sono al servizio
esclusivo della nazione”.