PUNTUALITÀ, SICUREZZA, QUALITÀ PER LA RIUSCITA

Qualifiche dell'autore: 
presidente di SACA soc. coop. a r.l., Bologna

Che cosa c’è alla base dell’esperienza Saca, un caso di eccellenza nel settore dell’autonoleggio, che da quasi quarant’anni offre servizi all’avanguardia, con un’organizzazione imprenditoriale che oggi impiega oltre cinquecento persone?

Alla base di questa azienda c’è la passione. Noi lavoriamo con passione e facciamo le cose in direzione della qualità. È evidente che in questo modo coinvolgiamo anche i nostri collaboratori, che si sentono parte di un gruppo che ha alla base una serie di valori come la responsabilità – la quale, poiché siamo una cooperativa, è anche responsabilità sociale verso gli stakeholders –, l’etica, il rispetto per le persone interessate alla nostra attività e l’applicazione delle norme, a partire da un’equa remunerazione per i collaboratori fino al pagamento dei nostri stakeholders nei tempi e nei modi previsti.

Ma lei ritiene che la responsabilità e l’etica non siano così diffuse nelle aziende oggi?

In questo periodo soprattutto, troppe aziende hanno l’obiettivo prioritario di fare cassa a scapito degli altri, ma così non può più andare. Se qualcosa non cambierà, se non riusciremo ad accorgerci che esiste anche qualcosa di assoluto nella vita, non andremo da nessuna parte. Se, invece, assumeremo la responsabilità di ciò che rappresentiamo per i nostri dipendenti e per i nostri clienti – la sicurezza, la qualità del servizio, la puntualità e tutta una serie di caratteristiche che non possono mancare, soprattutto nel nostro settore – allora ci sarà la riuscita. Se oggi un’azienda si propone di crescere e di fare cose che restano nel tempo, non può avere come unico valore il denaro o il bilancio. Prima di tutto, deve creare valore basandosi sull’etica, poi deve introdurre valori assoluti nei quali ciascuno all’interno dell’azienda si riconosca. Allora s’incomincia veramente a distinguersi rispetto a un mondo che va in tutt’altra direzione: basti vedere che cosa è successo nel mondo della finanza.

In questi anni, sono intervenute tante trasformazioni nella vostra azienda, se pensiamo che è partita da nove persone che nel 1972 avevano costituito una cooperativa…

Abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare, compreso l’aumento del capitale sociale, perché un’azienda deve dotarsi di un sistema finanziario adeguato, ritagliato su misura per le proprie esigenze. Abbiamo sempre cercato d’introdurre tutte le trasformazioni innovative che occorrevano, in termini di tecnologie e di qualità del lavoro, e abbiamo cercato di costruire qualcosa che oggi dà lavoro a cinquecentocinquanta persone.

In che modo queste persone sono coinvolte nel progetto d’impresa?

Il coinvolgimento dei collaboratori all’interno dell’azienda è sempre stato uno dei nostri obiettivi e questo ha creato un senso di appartenenza all’azienda molto alto, perché ognuno ha la sensazione – che poi è anche la realtà, essendo una cooperativa – di avere investito in questa azienda. Ma il senso di appartenenza si estende anche ai nostri clienti e fornitori, che godono del nostro massimo rispetto. Io non capisco perché oggi la maggior parte delle imprese non rispetti i tempi di pagamento, a iniziare dallo Stato, che è il più deficitario in questo senso. Se tutti fossimo un po’ più consapevoli che bisogna rispettare le persone, forse il mondo sarebbe migliore e ci sarebbe un po’ di fiducia in più. Dobbiamo cercare, con le nostre forze, di avere fiducia in quello che costruiamo.

Forse occorre ammettere, come diceva lei prima, che esiste anche qualcosa di assoluto, che non può essere barattato con qualcos’altro. E l’assoluto è anche la condizione per il valore intellettuale dell’impresa…

Purtroppo, ci sono associazioni in cui si parla tanto di etica, ma poi raramente gli imprenditori che ne fanno parte la applicano nella realtà. Forse si fanno tante chiacchiere, con la scusa che debba esserci tanta comunicazione…

In effetti, solo la comunicazione di chi testimonia la propria esperienza è autentica. Mi pare che lei si chieda: “In che modo gli imprenditori si attengono a quello che dicono?”. Certamente, se le associazioni sono un modo per affermare semplicemente la propria presenza dove si pensa che ci sia chi conta di più, non solo l’etica, ma la parola stessa non è considerata. Quando, invece, gli imprenditori intervengono nel dibattito a partire dalla propria esperienza, allora anche nella vita si attengono a quello che dicono. E possiamo scommettere che nessuno di essi attribuirà alla crisi qualche difficoltà per non proseguire.

Sono convinto che in questo momento si stia combattendo una battaglia tra chi veramente vuole resistere e conservare quello che ha creato e chi sfrutta la situazione. I veri imprenditori, quelli che hanno costruito qualcosa negli anni, sicuramente sono persone che non fuggono, ma affrontano i problemi e cercano di non creare disagi ai propri collaboratori.

È indubbio, però, che la situazione oggi diventa sempre più difficile. Qualcuno può dire che questa crisi può essere un’opportunità, ma quali sono i sacrifici che dobbiamo fare perché diventi opportunità? Rilanciare o riposizionare un’impresa oggi non è facile, anche perché con la globalizzazione non ci sono più tanti spazi di mercato, i margini delle aziende si sono ridotti e possiamo essere contenti se non chiudiamo il bilancio in perdita. Tuttavia, dobbiamo ammettere che alcune attività non sono in crisi.

Lei si chiedeva: “quali sono i sacrifici che dobbiamo fare perché questa crisi diventi opportunità”. Qual è il rischio?

Il rischio è che alla base di questo concetto di opportunità ci sia il fenomeno del cannibalismo – le aziende più grandi mangiano le più piccole –, che ci farebbe perdere una fascia di imprenditori che hanno rischiato negli anni e che, in questo momento, si trovano in difficoltà più di altri. Io non spingo nel burrone chi è sul ciglio, gli do una mano perché si rimetta in carreggiata. Ma non sono sicuro che tutti la pensino come me.