IL SUPERFLUO: LA STRADA DELLE OPPORTUNITÀ
Il titolo di questo numero del giornale è La
necessità del superfluo. In che modo interviene il superfluo nella meccanica
di precisione, settore in cui ha un ruolo da protagonista a Modena sia
l’Officina Bertoni Dino Srl, che lei ha rilevato quattro anni fa, sia
l’Officina Meccanica Bartoli, fondata da suo nonno nel 1961? La riuscita
nel nostro lavoro è frutto di tante attività che non sono finalizzate a
raggiungere un risultato, ma aiutano semplicemente a “prendere la mano”: prove
su prove per capire come reagisce un materiale agli sforzi, quindi, come
affrontare una lavorazione piuttosto che un’altra.
Per sfiorare la perfezione nei pezzi che escono dalle nostre
officine, noi abbiamo necessità di questo superfluo, di queste esercitazioni che
non servono a uno scopo immediato, non possiamo fare le cose con sufficienza,
in modo misurato e seguendo il criterio del minimo sforzo.
Quando, per esempio, riceviamo il disegno di un pezzo
progettato da un ingegnere, non si tratta semplicemente di applicare la teoria
alla pratica, di eseguire pedissequamente le istruzioni ricevute, ma di seguire
le procedure che abbiamo tratto dalla nostra esperienza. Anche un semplice foro
richiede vari passaggi senza i quali la lavorazione fallisce. Nel disegno le
cose funzionano sempre allo stesso modo perché sono state progettate in un
mondo ideale e privo di errori, dove la linea usata per tracciare non ha
spessore e l’oggetto disegnato non ha peso, non ha corpo, non ha risposta
meccanica alle sollecitazioni. Quando invece si deve praticare il foro
disegnato non si sa se l’utensile usato, nel momento in cui tocca il pezzo, si
spacca insieme al pezzo stesso. Allora, si dovrà entrare con una punta più piccola
e mettere all’opera diversi accorgimenti affinché la lavorazione sia portata a
termine secondo la richiesta del cliente e senza danni.
È un risultato che nessuno può insegnarci a raggiungere, la
via la scopriamo ciascuna volta, perché, se lo chiediamo a cento persone che lavorano
nella metalmeccanica, possono confermarci che da una volta all’altra, anche
quando il pezzo è lo stesso, le cose cambiano. Mai una volta che una
lavorazione sia uguale a quella già eseguita centinaia di migliaia di volte.
Allora occorre armarsi di umiltà e affidarsi ciascuna volta all’ingegno. Per
questo occorre amare il proprio lavoro e non pensare che sia una pena, qualcosa
che non si vede l’ora che finisca, perché i risultati arrivano quando meno ce lo
aspettiamo. Ma, facendo le cose con sufficienza, facendo soltanto il minimo
indispensabile e cercando di evitare il superfluo, è difficile riuscire nel
nostro lavoro. Qui siamo nell’area in cui nascono le più belle e mitiche auto
del pianeta: ebbene, non nascerebbero senza la dedizione delle maestranze come
quelle che abbiamo nelle nostre officine, che non si preoccupano di quanto
sforzo impiegano per ottenere un risultato, ma puntano alla perfezione.
Purtroppo, molte aziende della meccanica sono fallite,
disperdendo un patrimonio tecnico inestimabile, quando sono subentrate le nuove
generazioni, proprio a causa della tendenza opposta a considerare il proprio
lavoro con sufficienza, come se le officine avviate trent’anni prima dai
genitori potessero andare avanti in modo automatico, senza il loro impegno.
Molti giovani sono rimasti nell’indecisione sulla strada da intraprendere, come
se la meccanica fosse un’attività di serie B.
Questo però senza nemmeno provare, senza cimentarsi
nell’attività in modo serio e continuativo, e pretendendo di avere capito il
mestiere soltanto guardando dallo spioncino della porta. Io amo il mio lavoro perché
mi offre tante soddisfazioni, ma non l’avrei amato se non avessi frequentato
l’officina fin da ragazzo.
Allora, dico sempre che i giovani non devono chiedersi quale
sia la “scelta giusta”, ma fare ciò che suscita il loro interesse, senza
scoraggiarsi alla prima difficoltà e buttare all’aria quello che stanno
facendo, per cambiare lavoro in cerca di non so quale miraggio. Chi può sapere
quale sia la scelta giusta? Se avessi dovuto scegliere in base ai miei
interessi e alle mie capacità, avrei potuto fare tante cose nella vita – dal
musicista all’insegnante di lettere e filosofia allo scrittore –, ma mi sono
trovato a fare questo lavoro perché mi dava più vantaggi degli altri e perché
sentivo l’esigenza di valorizzare quanto mi veniva offerto dalla famiglia.
Nel ciclo bretone, un cavaliere chiede all’altro come capire
se un nobile, con il suo fare, abbia onorato il nome della sua casata. E
l’altro risponde: “È molto semplice: se hai aumentato ciò che hai ricevuto in
eredità, allora hai onorato il tuo nome e quello della tua casata”. La mia
generazione ha questo compito: aumentare il patrimonio culturale, artistico,
scientifico e tecnico, che ha avuto in dono dalla generazione precedente.
Tra l’altro, la cifrematica indica proprio nella funzione
di nome l’autorità, termine che deriva dal latino augeo, aumento. E, se
c’è aumento, poi c’è la chance che ci sia anche abbondanza e “superfluenza”, ovvero
superfluo… Quello che consideriamo superfluo è vivere, altrimenti sarebbe sopravvivere,
a me piace vivere e coltivare tanti interessi che mi danno soddisfazione.
Purtroppo, sono molti coloro che si buttano nell’alcol, nella droga o nel gioco
d’azzardo perché dicono di essere frustrati. Per giunta, facendosi vittima,
ritengono che tutto sia loro dovuto e non compiono alcuno sforzo per cercare
una strada differente. Ma chi li costringe a vivere una vita penitenziaria, facendo
cose che non vorrebbero fare? L’inferno sta proprio qui, nel fare cose che non
danno soddisfazione.
Così non incontrano mai una di quelle briciole di felicità
che ogni tanto la vita ci regala.
Lei suona la chitarra, canta, dipinge e, pur facendo
tante cose, trova il tempo per ciascuna, senza pensare a che cosa serva farle… Quando
fai una cosa che non ha un fine immediato, non sai quando ti tornerà utile,
semmai ti tornerà utile, però, se trovi soddisfazione, non ti pesa farla: in pratica,
parti dal tuo interesse, non dalla sua eventuale utilità. Invece, c’è chi
ricorre all’assunzione di sostanze, più o meno proibite, perché è in cerca di chissà
quale felicità ideale, quindi non assume la responsabilità delle cose che fa.
E, così, vive in un mondo finto, con emozioni di plexiglas.
Il superfluo si connota invece per la qualità del tempo che
vivi. Un amante della musica non si sognerà mai di pensare che quello che sta facendo
sia plexiglas, ma lo trova interessante, anche se qualcuno potrebbe dirgli che
non serve a niente. È vero che non ha un fine per la società, però è anche vero
che, suonando o cantando, puoi incontrare amici e situazioni che neanche immaginavi.
Il superfluo ha dell’inimmaginabile, ti apre nuove porte,
nuovi scenari e nuove opportunità. Possiamo definire il superfluo come la
strada delle opportunità.