CASONI PROJECT: LE TECNOLOGIE PIÙ AVANZATE PER I NUOVI MATERIALI
L’esperienza di oltre vent’anni nell’ambito della progettazione,
costruzione e industrializzazione di particolari ottenuti con materiali
speciali, ha costituito per lei la base per l’investimento nella Casoni Project,
azienda attiva nello sviluppo e nella produzione di particolari e componenti di
alta tecnologia per settori come racing, automotive, nautica, biomedicale e
aeronautico. Grazie a centri di lavoro computerizzati, da 3 a 5 assi, eseguite le
lavorazioni di metalli come alluminio, ergal, titanio, magnesio, ferro e
acciaio.
Come e quando è incominciato il vostro progetto? Le
aziende più importanti si qualificano per l’ingegno di chi vi opera.
Questa constatazione mi ha convinto, il 26 ottobre 1998, ad
aprire l’azienda con Alessandra Zanzi, dopo venticinque anni di esperienza
dedicati alla consulenza e alla progettazione nel team di diverse imprese
meccaniche di Bologna e di Modena, in prevalenza nei settori packaging e
motoristico.
Oggi costituiamo il principale anello di congiunzione tra
l’area tecnica e la produzione nelle aziende che si rivolgono a noi per
l’industrializzazione, e in alcuni casi per la progettazione, e il co-design di
particolari e componenti ottenuti con materiali speciali impiegati in diversi
campi, dalla lavorazione di bielle e cambi per motori da competizione, sia in campo
automobilistico sia nautico, alla produzione di componenti in lega di titanio
per protesi di anche e ginocchi, fino alla costruzione di motori completi,
oltre ad alberi motore, contralberi, bilancieri, barre di torsione in titanio e
altre leghe metalliche.
Tecnici e progettisti ci sottopongono disegni per la
costruzione di una nuova macchina e ci chiedono consigli sui materiali da usare
e sulla costruzione meccanica. Il nostro intervento, quindi, incomincia dalla
nascita dell’idea all’industrializzazione del nuovo prodotto da proporre al
mercato, dal prototipo alla produzione in decine, centinaia e a volte anche
milioni di pezzi.
Le imprese italiane del settore hanno una grande capacità di
innovare, grazie alla flessibilità che da sempre le distingue da quelle di
altri paesi, anche europei. Tuttavia alcuni fattori ne rallentano il pieno sviluppo.
Le aziende medio-grandi, per esempio, tendono a riconoscere
all’industrializzazione del prodotto prezzi analoghi a quelli delle produzioni
cinesi, ma pretendono che sia progettato e ingegnerizzato in Italia, per la
qualità delle nostre lavorazioni. Le aziende che hanno cercato di produrre in
paesi che hanno ridotti costi della manodopera hanno poi constatato che limitavano
anche il contenuto tecnologico della produzione. Per questo, molte sono ritornate
a investire nella meccanica di precisione in Italia.
Noi constatiamo che le dimensioni dell’impresa italiana
sono intellettuali, perché concernono il percorso e il cammino di ciascun
imprenditore. Nella vostra azienda, avete raccolto in un piccolo museo alcuni
componenti e prototipi di vostra produzione, oltre ad alcuni riconoscimenti importanti…
L’Italia è un paese di poeti, navigatori, artisti e imprenditori, però è anche
un paese in cui ancora non è inteso il valore delle idee e dell’apporto intellettuale
dell’impresa. È sintomatico questo.
Nel nostra azienda abbiamo organizzato la raccolta di alcune
fra le produzioni più innovative di quasi cinquant’anni di esperienza. Qui, per
esempio, si possono trovare le bielle in titanio prodotte da una nota azienda
meccanica modenese per Ferrari da strada, che noi abbiamo progettato e
industrializzato negli anni Novanta, ma anche le bielle per motori marini
Lamborghini. Oppure c’è il motore della SRC della K 200, la citycar interamente
realizzata in fibra di carbonio, che abbiamo progettato e costruito nel 2000.
Si tratta di una vetturetta, della categoria superlight car, prodotta dall’ATR
di Teramo, che aveva già prodotto la prima city car in fibra di carbonio. Noi
abbiamo curato l’assistenza e l’industrializzazione del prodotto e abbiamo
costruito circa 100 motori per questo modello, che era davvero un’eccellenza:
aveva 350 cm cubi di cilindrata, con 20 cavalli e ridotti consumi. La macchina
correva ai 160 chilometri all’ora e poteva percorrere 30 chilometri con un
litro di benzina.
Ma produciamo anche strumenti biomedicali per interventi
chirurgici e protesi per anche e femori. Siamo stati i primi a produrre gli
anelli fissatori esterni in fibra di carbonio, impiegati soprattutto nei casi di
fratture scomposte.
Prima del nostro intervento erano prodotti in acciaio
inossidabile, poi in titanio e poi in alluminio.
In campo nautico, abbiamo coprogettato le pinne per le
barche olimpiche del Cantiere Navale Filippi di Castagneto Carducci, leader nel
mondo per le barche di canottaggio. Per Emak di Bagnolo in Piano, che si occupa
di macchine destinate all’agricoltura e all’attività forestale, abbiamo invece progettato
e costruito i prototipi di un motore quattro tempi 50 cc di cilindrata.
Inoltre, abbiamo collaborato alla progettazione e alla
costruzione di giranti per le turbine e di componenti della trasmissione in
lega di magnesio utilizzati in un nuovo tipo di elicottero ultraleggero
prodotto da Famà Helicopters. Ma abbiamo prodotto anche le penne in titanio per
Omas, per Aquila Brands e per Lockmann, prodotti destinati a nicchie di mercato.
Nella raccolta di nostri contributi nei settori più vari,
conserviamo un riconoscimento del 2001 rilasciato dalla dirigenza Ducati, che
ringraziava Casoni Project per aver contribuito alla vittoria del mondiale con
le lavorazioni delle basi dello sterzo e dei forcelloni in magnesio. Completano
la nostra storia alcuni componenti in lega di magnesio per le moto superbike,
di cui abbiamo curato le lavorazioni dal 1998 al 2001.
Qual è l’avvenire della meccanica di precisione in
Italia? Oggi, le produzioni cinesi hanno ormai conquistato tutti i mercati
del mondo, ma restano alcune nicchie che richiedono produzioni italiane. Negli ultimi
anni il packaging dell’Emilia Romagna, che ha il monopolio nel mondo, per
esempio, ha dato stabilità all’indotto delle aziende artigiane che fanno
meccanica di precisione. Pensi che ciascuna di queste macchine è progettata per
industrializzare i tanti prodotti che troviamo nei supermercati con una
confezione che li rende unici e con un marchio che sia riconoscibile e
differente da quello di altre aziende. Ogni macchina è un pezzo unico, questa è
la grande capacità del manifatturiero italiano. Purtroppo, il digitale ha preso
il sopravvento e nessuno si chiede da chi e dove è prodotto ciò che acquista.
Intanto, in città come Bologna e Modena, da quindici anni nel settore meccanico
non si aprono nuove aziende, mentre molte chiudono perché non trovano collaboratori
da integrare, man mano che gli altri vanno in pensione.
Fra i giovani degli anni sessanta, settanta e ottanta la
massima ambizione era avere il motorino, adesso è di moda avere lo smartphone e
analoghi prodotti tecnologici che costano come uno scooter. Il motorino era
sinonimo di libertà, era qualcosa che dava l’idea di essere liberi e adesso
invece navighiamo dentro una stanza, attraverso il monitor di un computer. È
più facile pigiare il bottone della tastiera piuttosto che sporcarsi le mani in
azienda.
Noi siamo fortunati perché abbiamo collaboratori che
lavorano con noi da vent’anni e sono cresciuti grazie anche ai diversi progetti
che abbiamo seguito. Non ho la pretesa che i giovani che entrano in azienda
sappiano fare, ma che abbiano la voglia d’imparare, di sperimentare e di rischiare.
Quando è venuto da noi un giovane ingegnere, che era
bravissimo nell’utilizzo del computer, e ha obiettato che gli ingegneri non si
devono sporcare le mani, gli ho risposto che lo avrei chiamato “Di Pietro: mani
pulite”.
Questo è un indice della mentalità che è stata favorita in
Italia finora.
Spero che in futuro saranno valorizzate le capacità delle
nostre imprese artigiane, che lavorano per nicchie di mercati in cui l’ingegno
è indispensabile.
L’operaio italiano non è soltanto chi timbra il cartellino o
striscia il bedge, perché oggi ha acquisito conoscenze tali che, se non sono
valorizzate, saranno perse per sempre.
I miei collaboratori, che non chiamo mai dipendenti, sono
gratificati per il contributo d’idee che danno all’azienda, per questo sono
tranquilli quando tornano a casa. Quando qualche azienda ha proposto
l’assunzione a qualcuno di loro, hanno risposto “Ma da te cosa imparo?”. Il metalmeccanico
specializzato vale un tesoro, purtroppo però il contributo delle imprese del
manifatturiero è stato spesso ignorato in tante scuole, famiglie e istituzioni.
Il risultato di questo atteggiamento è stato che le imprese oggi non trovano
uomini e donne muniti dell’umiltà indispensabile non soltanto per lavorare, ma anche
per imparare a vivere.