COME L’INDUSTRIA VALORIZZA IL SUPERFLUO
Il dibattito di questo numero del giornale esplora la
necessità del superfluo nella città. Talora i movimenti ambientalisti
considerano l’impresa non necessaria, anzi dannosa: sprecherebbe le cosiddette
risorse naturali e produrrebbe inquinamento… Recentemente, in un programma televisivo
uno studente affermava che i giovani manifestano nelle piazze delle città
perché vogliono impedire che si produca la plastica e, quindi, che si continui a
inquinare l’ambiente. Questo studente ignora da dove viene tutto quello di cui
si avvale quotidianamente. Cosa significa “produrre plastica”? Produrre la
plastica tout court o soltanto gli scarti della plastica? Se parliamo di
eliminare la plastica tout court, allora eliminiamo anche quella che ci permette
di conservare i cibi, per esempio. È possibile eliminare lo spreco della
plastica, lo smaltimento non corretto della plastica, ma non la plastica: chi
lo sostiene ignora la sua importanza.
Questa disinformazione ha contribuito a distruggere prima di
tutto le aziende, perché ha fatto credere che molte attività non siano più
necessarie.
Sicuramente possiamo produrre anche in un altro modo. Ma poi
come riusciamo a garantire al maggior numero di consumatori le opportunità di
cui godono oggi? L’idea che la natura fornisca tutto quello di cui ha
bisogno l’uomo, non tiene conto delle sue esigenze non sostanziali...
Non soltanto, per questa via non viene considerato quanti
abitanti siamo e in quanti saremo nei prossimi anni su questo pianeta. Quando
ero bambino, il grano che si coltivava aveva un valore diverso rispetto all’attuale,
però ne venivano prodotti cinque o sei quintali per ettaro, adesso invece
quaranta. Se pensiamo di ritornare a quei tempi, come possiamo garantire a
tutti le cosiddette necessità primarie? A meno che non diamo già per scontato
che in futuro saranno sempre di più coloro che vivranno al di sotto della
soglia di povertà. Sicuramente non dobbiamo alterare la composizione degli alimenti,
però dobbiamo garantire che i prodotti siano disponibili per tutti. Salvo
lasciare che siano acquistati a costi maggiori soltanto da chi potrà
permetterselo.
Come rischia di essere il futuro dei farmaci, ma anche di
altri prodotti… Credere che la situazione ottimale sia tornare all’epoca in
cui la massima ambizione era la sopravvivenza, come è accaduto fino a qualche
decennio fa, è commettere un grave errore. Anche perché occorrerebbe chiedersi
se davvero l’umanità viveva poi così bene, quando era in quella condizione.
L’età media della vita era di quarant’anni, invece oggi possiamo ambire a
vivere cent’anni e anche in buona salute. Ma questo è merito della ricerca,
dell’impresa e dell’industria.
Quindi, la necessità del superfluo è anche la necessità dell’industria?
Come dicevo prima, se il superfluo viene inteso come spreco, allora occorre
modificare alcune abitudini.
Ma, se invece per superfluo intendiamo qualcosa che è utile
a garantire al maggior numero possibile di persone migliori condizioni di vita,
allora non lo considererei qualcosa da eliminare.
Mi pare invece che chi dice di disprezzare il cosiddetto
superfluo, voglia imporre un preciso modo di vivere. Basti pensare
all’affermazione di chi ritiene che il denaro non conti niente: proviene spesso
da chi crede di possederlo. Chi dice, quindi, che le industrie, la plastica, le
auto sono superflue spesso è il primo a giovarsene.
Per chi non ne dispone, queste opportunità non sono
superflue.
La stesse accuse all’industria si estendono anche alle
polemiche intorno alla riduzione delle ore di lavoro.
Siamo proprio sicuri che avere più tempo libero sia un
vantaggio? Da cosa dovremo liberare questo tempo? Dal pensare, dal fare, dal
produrre? Io porrei la questione in un’altra maniera: come impieghiamo il
cosiddetto tempo libero? Se lo impieghiamo in maniera proficua, cioè in conversazioni
interessanti, per istruirci, per leggere, per costruire, allora concordo con il
fatto che l’orario di lavoro diminuisca, ma se il tempo libero è inteso come
modo per estraniarsi davanti a un computer o ad un televisore, non credo che
sia salutare ridurre le ore di lavoro. Mentre lavoriamo, ci avvaliamo del
cervello e esercitiamo l’intelligenza.
L’industria offre un apporto all’intelligenza, per questo
non capisco perché ridurre l’orario di lavoro sia il segno di un grande
miglioramento.
Se limitiamo l’ingegno, limitiamo anche il modo di vivere.
Come accade in un’azienda: se chi la dirige s’ingegna per migliorare i
risultati, anche i collaboratori seguiranno questo ritmo, ma se chi dirige non
ha questa vocazione, tutto il resto rischia l’appiattimento.