LA RICCHEZZA VIENE DALLE IDEE, NON DALL’ACCUMULAZIONE CAPITALISTICA
Nei suoi libri lei sostiene che la ricchezza non è stata
creata dall’accumulazione capitalistica, ma dal liberalismo delle idee e delle
invenzioni. Ma il capitalismo non è la base delle società libere? Credo sia
errato chiamare le società libere società capitalistiche. Questo nome è stato
usato dai nemici delle società libere, soprattutto dai marxisti, benché lo
stesso Marx non abbia usato la parola capitalismo, ma capitalistico.
È molto fuorviante pensare al capitale come causa del nostro
arricchimento. Non è il capitale ad arricchirci, sono le migliaia e migliaia di
idee provenienti da un popolo libero a renderci ricchi: la ricchezza arriva
dall’innovazione. Facendo un paragone con un orologio meccanico, il lavoro e le
leggi sono gli ingranaggi, ma la molla, la forza motrice viene dalle idee.
Pensiamo all’elettricità o all’idea della radio senza fili di Guglielmo Marconi.
Pensiamo all’idea di costruire container nata nel 1956 da un americano povero
di una ditta di trasporti pesanti, o anche all’idea dell’università che è nata
qui a Bologna ed è stata trasformata nella sua forma moderna nel 1810
nell’Università di Berlino. Queste sono idee non soltanto tecniche, ma anche
organizzative, politiche e sociali. L’idea chiave, la molla delle molle è il liberalismo.
Il liberalismo è la via verso la ricchezza, è un’etica
materiale e pratica: per migliorare le condizioni di vita dei poveri la strada
non è il socialismo, ma quella che chiamo innovazione commerciale. Non è lo
stato che procura la nostra ricchezza, lo stato non fabbrica cose: a Roma non
ci sono fabbriche, ma uffici. Nel libro I vizi degli economisti e le virtù
della borghesia declamo le virtù borghesi, la cui etica è radicata in
un’epoca di commerci.
Il commercio corrompe l’anima? Nel mio libro lo nego: se
stabiliamo un patto volontario, pensiamo che questo ci arrechi reciproco
vantaggio, una transazione commerciale è una transazione tra pari, non c’è
sfruttamento.
Le idee di sfruttamento, di scambi tra non pari, di
schiavismo dei salari sono credenze perché il socialismo possa avanzare le
proprie pretese.
Inoltre, non è vero che prendere parte a un affare economico
corrompe di per sé. Puoi essere un buon cristiano ed essere un fabbricante o un
venditore. Non c’è incompatibilità.
Ho intenzione di scrivere un libro con il titolo Dio in
Mammona, per dimostrare che non è vero che una vita nel commercio di per sé
corrompe.
Può corrompere anche una vita nella Chiesa Cattolica o
all’interno di un ente pubblico (voi dite “Governo ladro!”) o nel mondo del
calcio o in quello militare. Per me il liberalismo è la posizione politica di
più forte eticità, perché non è vero, come dicono i socialisti, che è contro i
poveri: i poveri si sono sollevati dalla povertà attraverso l’innovazione
commerciale.
L’etica interviene nell’approccio che ciascuno ha verso gli
altri. Hillel, un rabbino del primo secolo a. C., aveva una regola d’oro: “Non
fate agli altri quello che non vorreste che altri facessero a voi”. Questa è
una versione di quello che vuol dire essere liberali. Poi, un altro saggio
ebreo, Gesù di Nazareth, disse: “Fate agli altri quello che vorreste che gli
altri facessero a voi”. La prima è un’etica della giustizia, la seconda è
un’etica dell’amore. Il primo (“Lasciami stare”) è maschile, il secondo (“Sii
gentile”) è femminile. Se mettiamo insieme queste due massime creiamo l’etica
di una società libera.
Lei da giovane era marxista, poi keynesiana e oggi è fra
i massimi esponenti del libero mercato. Che cosa le ha fatto cambiare idea in
modo così radicale? Ero figlia di un professore, vivevo in una famiglia
borghese. Quando un bambino che vive in un podere o in un piccolo negozio
scopre che ci sono i poveri, dice: “Andiamo a prendere i soldi dal portafoglio
di papà”. Questa credo che sia la base del socialismo.
Margaret Thatcher disse: “Il problema del socialismo è che
prima o poi i soldi degli altri finiscono”. Lentamente divenni keynesiana, poi
divenni un ingegnere economico, poi divenni economista della scuola di Chicago,
poi economista di scuola austriaca. Adesso faccio humanomics (economia
con sana incidenza degli esseri umani).
Quanto la libertà individuale e la libertà di mercato
devono essere difese da un’autorità pubblica? E in che modo? C’è
un’espressione in inglese che dice “Mettere la volpe a guardia del pollaio”.
Non sono cattive le persone che lavorano per lo stato, la questione è che lo
stato è un difensore della libertà molto debole. Nel mio paese lo stato a volte
protegge la libertà: la legge sui diritti civili del 1867 e quella del 1965
proteggevano la libertà. Ma nello stesso tempo, il governo faceva approvare la
legge sugli schiavi fuggiaschi, la legge Jim Crow, quella sulla segregazione,
quella sulla segregazione nelle forze armate: una legge liberticida dopo
l’altra. Io non sono un’anarchica, ma lo stato è la volpe. Sono una femminista,
ma mi risulta preoccupante fare ricorso allo stato per difendere le donne,
perché lo stato, come avrete notato, è difeso da maschi. La questione è più
complicata per quanto riguarda la moneta: lo stato non dovrebbe essere a capo della
gestione della moneta.
La globalizzazione, che fino a qualche anno fa era molto
popolare in occidente, oggi gode di pessima stampa e di pessima reputazione.
Non abbiamo mai avuto così pochi poveri come adesso, eppure il mondo occidentale
la sta avversando sempre più. Cosa dobbiamo dire affinché il cittadino occidentale
apprezzi sempre più la globalizzazione? Non è facile, tuttavia, occorre
considerare che, come il mio commercio con chi vive in Italia è innocuo, lo è anche
il mio commercio con chi vive in Africa. Nessuno può impedirmi di fare scambi
con l’Italia piuttosto che con la Cina, perché questo interferirebbe con la mia
libertà.
Diciamo che occorre difendere gli italiani, ma non vogliamo
far fare agli italiani quello che essi non sanno fare.
Se gli italiani si specializzeranno in ciò che sanno fare
bene (come, per esempio, una borsa come la mia oppure il cibo che ho gustato a
Bologna), allora, diventeranno molto ricchi. Se invece premieranno
l’incompetenza, rimarranno poveri: è già successo. Ma in questo caso non si
stanno proteggendo le persone dal capitalismo, bensì dal progresso. Non c’è
differenza tra socialismo ideale e capitalismo ideale per quanto riguarda il
progresso. Ciò che viene chiamata paura del commercio e della disoccupazione tecnologica
in realtà è paura del progresso.
Stiamo assistendo a una crisi nel settore tecnologico e dell’automazione.
Con l’innovazione tecnologica si stanno creando nuovi lavori che richiedono un’intelligenza
superiore: questo sta creando un blocco nel mercato del lavoro che non è mai
stato così forte.
Come si può gestire questo problema? Sono una storica
dell’economia.
Ogni strumento è un robot. Quando giriamo il volante di
un’auto alle ruote arriva tutta una serie complicata di input. È un computer,
un prodotto dell’intelligenza artificiale.
Anche i libri sono intelligenza artificiale: tu puoi leggere
quello che penso, io posso leggere quello che pensi tu. L’intelligenza artificiale
o i robot non hanno mai causato la disoccupazione di massa.
Nel 2000 molti italiani lavoravano in negozi di videocassette,
nel 1960 molti lavoravano dentro gli ascensori.
Nell’Ottocento, la maggior parte degli antenati delle
persone presenti in questa sala erano contadini. Se fosse vero che i robot e
l’intelligenza artificiale creano disoccupazione di massa, nessuno di noi qui
avrebbe un lavoro.
Lei ha detto di essere favorevole alla società
commerciale settecentesca. Ma la letteratura, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento,
è in gran parte contro la borghesia e il capitalismo. Quant’è durata la luna di
miele tra gli intellettuali, il capitalismo e la società commerciale? E perché
è finita? Agli inizi dell’Ottocento la maggior parte degli intellettuali
era favorevole all’innovazione testata sul mercato.
Anche Alessandro Manzoni, nei Promessi sposi, è a
favore del mercato e contro la regolamentazione durante la fame. Poi, si è
cominciato a parlare di nuovo liberalismo verso il 1880: in America Latina se
ne sono appropriati i conservatori, nel mio paese se ne sono appropriati i
socialisti. Nella traduzione del film House of Cards, nei sottotitoli in
italiano, il termine liberal è tradotto con liberale, ma non è la stessa
cosa.
Il nuovo significato del termine “liberalismo” va di pari
passo con l’uso sempre maggiore della significatività statistica in economia? Da
un centinaio di anni gli economisti credono di poter controllare l’economia grazie
a sofisticati strumenti matematici. Ma l’idea che gli economisti siano
matematici mette da parte l’idea che siano filosofi. Non sono contro la
matematica e lo strumento statistico nell’economia, perché penso che sia molto
importante la quantificazione delle cose, ma sono contraria a un certo uso che
si fa della matematica e della statistica. Se leggete il libro The secret
sins on economics (I peccati segreti dell’economia), scoprirete che
la parola “statistica” è stata coniata in italiano nel Settecento al servizio
dello Stato.
È questo il pericolo.
Lei prima accennava al fatto che lo stato non dovrebbe
controllare la moneta. Cosa pensa dei bitcoin? Non sono contraria ai bitcoin.
Nella mia prospettiva storica è soltanto un certo tipo di moneta, come
l’assegno. Non c’è nessun motivo per cui debba essere soltanto lo stato a
emettere moneta.
È molto conveniente per il governo avere il monopolio dell’emissione
della moneta. Negli anni Settanta e Ottanta a livello internazionale il valore delle
monete aumentò del 300 per cento, perché le banche centrali si resero conto che
potevano finanziare i deficit del governo stampando moneta. Milton Friedman
credeva nel monopolio statale della moneta, ma il mio amico David, suo figlio,
crede, come me, nel free banking.
Bisogna togliere questo potere dalle mani dello stato,
perché dare allo stato il potere sulla moneta è come dare whisky a un
adolescente.
L’Italia è un paese statalista, molto critico verso le
imprese, soprattutto piccole e medie. Cosa si può fare per migliorare questa
situazione? Intorno al 1580, il grande centralizzatore Jean-Baptiste
Colbert chiese ai mercanti di Parigi: “Come posso aiutarvi?”.
E loro risposero “Laissez-faire”.
Non penso che occorra aiutare le piccole imprese, importa
non gravarle di tasse. Inoltre, le tasse sono alte per compensare il settore
occulto dell’economia, quello mafioso, che non paga tasse. Al Capone non pagava
tasse.