LA RICCHEZZA VIENE DALLE IDEE, NON DALL’ACCUMULAZIONE CAPITALISTICA

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economista, Università dell’Illinois, Chicago

Nei suoi libri lei sostiene che la ricchezza non è stata creata dall’accumulazione capitalistica, ma dal liberalismo delle idee e delle invenzioni. Ma il capitalismo non è la base delle società libere? Credo sia errato chiamare le società libere società capitalistiche. Questo nome è stato usato dai nemici delle società libere, soprattutto dai marxisti, benché lo stesso Marx non abbia usato la parola capitalismo, ma capitalistico.
È molto fuorviante pensare al capitale come causa del nostro arricchimento. Non è il capitale ad arricchirci, sono le migliaia e migliaia di idee provenienti da un popolo libero a renderci ricchi: la ricchezza arriva dall’innovazione. Facendo un paragone con un orologio meccanico, il lavoro e le leggi sono gli ingranaggi, ma la molla, la forza motrice viene dalle idee. Pensiamo all’elettricità o all’idea della radio senza fili di Guglielmo Marconi. Pensiamo all’idea di costruire container nata nel 1956 da un americano povero di una ditta di trasporti pesanti, o anche all’idea dell’università che è nata qui a Bologna ed è stata trasformata nella sua forma moderna nel 1810 nell’Università di Berlino. Queste sono idee non soltanto tecniche, ma anche organizzative, politiche e sociali. L’idea chiave, la molla delle molle è il liberalismo.
Il liberalismo è la via verso la ricchezza, è un’etica materiale e pratica: per migliorare le condizioni di vita dei poveri la strada non è il socialismo, ma quella che chiamo innovazione commerciale. Non è lo stato che procura la nostra ricchezza, lo stato non fabbrica cose: a Roma non ci sono fabbriche, ma uffici. Nel libro I vizi degli economisti e le virtù della borghesia declamo le virtù borghesi, la cui etica è radicata in un’epoca di commerci.
Il commercio corrompe l’anima? Nel mio libro lo nego: se stabiliamo un patto volontario, pensiamo che questo ci arrechi reciproco vantaggio, una transazione commerciale è una transazione tra pari, non c’è sfruttamento.
Le idee di sfruttamento, di scambi tra non pari, di schiavismo dei salari sono credenze perché il socialismo possa avanzare le proprie pretese.
Inoltre, non è vero che prendere parte a un affare economico corrompe di per sé. Puoi essere un buon cristiano ed essere un fabbricante o un venditore. Non c’è incompatibilità.
Ho intenzione di scrivere un libro con il titolo Dio in Mammona, per dimostrare che non è vero che una vita nel commercio di per sé corrompe.
Può corrompere anche una vita nella Chiesa Cattolica o all’interno di un ente pubblico (voi dite “Governo ladro!”) o nel mondo del calcio o in quello militare. Per me il liberalismo è la posizione politica di più forte eticità, perché non è vero, come dicono i socialisti, che è contro i poveri: i poveri si sono sollevati dalla povertà attraverso l’innovazione commerciale.
L’etica interviene nell’approccio che ciascuno ha verso gli altri. Hillel, un rabbino del primo secolo a. C., aveva una regola d’oro: “Non fate agli altri quello che non vorreste che altri facessero a voi”. Questa è una versione di quello che vuol dire essere liberali. Poi, un altro saggio ebreo, Gesù di Nazareth, disse: “Fate agli altri quello che vorreste che gli altri facessero a voi”. La prima è un’etica della giustizia, la seconda è un’etica dell’amore. Il primo (“Lasciami stare”) è maschile, il secondo (“Sii gentile”) è femminile. Se mettiamo insieme queste due massime creiamo l’etica di una società libera.
Lei da giovane era marxista, poi keynesiana e oggi è fra i massimi esponenti del libero mercato. Che cosa le ha fatto cambiare idea in modo così radicale? Ero figlia di un professore, vivevo in una famiglia borghese. Quando un bambino che vive in un podere o in un piccolo negozio scopre che ci sono i poveri, dice: “Andiamo a prendere i soldi dal portafoglio di papà”. Questa credo che sia la base del socialismo.
Margaret Thatcher disse: “Il problema del socialismo è che prima o poi i soldi degli altri finiscono”. Lentamente divenni keynesiana, poi divenni un ingegnere economico, poi divenni economista della scuola di Chicago, poi economista di scuola austriaca. Adesso faccio humanomics (economia con sana incidenza degli esseri umani).
Quanto la libertà individuale e la libertà di mercato devono essere difese da un’autorità pubblica? E in che modo? C’è un’espressione in inglese che dice “Mettere la volpe a guardia del pollaio”. Non sono cattive le persone che lavorano per lo stato, la questione è che lo stato è un difensore della libertà molto debole. Nel mio paese lo stato a volte protegge la libertà: la legge sui diritti civili del 1867 e quella del 1965 proteggevano la libertà. Ma nello stesso tempo, il governo faceva approvare la legge sugli schiavi fuggiaschi, la legge Jim Crow, quella sulla segregazione, quella sulla segregazione nelle forze armate: una legge liberticida dopo l’altra. Io non sono un’anarchica, ma lo stato è la volpe. Sono una femminista, ma mi risulta preoccupante fare ricorso allo stato per difendere le donne, perché lo stato, come avrete notato, è difeso da maschi. La questione è più complicata per quanto riguarda la moneta: lo stato non dovrebbe essere a capo della gestione della moneta.
La globalizzazione, che fino a qualche anno fa era molto popolare in occidente, oggi gode di pessima stampa e di pessima reputazione. Non abbiamo mai avuto così pochi poveri come adesso, eppure il mondo occidentale la sta avversando sempre più. Cosa dobbiamo dire affinché il cittadino occidentale apprezzi sempre più la globalizzazione? Non è facile, tuttavia, occorre considerare che, come il mio commercio con chi vive in Italia è innocuo, lo è anche il mio commercio con chi vive in Africa. Nessuno può impedirmi di fare scambi con l’Italia piuttosto che con la Cina, perché questo interferirebbe con la mia libertà.
Diciamo che occorre difendere gli italiani, ma non vogliamo far fare agli italiani quello che essi non sanno fare.
Se gli italiani si specializzeranno in ciò che sanno fare bene (come, per esempio, una borsa come la mia oppure il cibo che ho gustato a Bologna), allora, diventeranno molto ricchi. Se invece premieranno l’incompetenza, rimarranno poveri: è già successo. Ma in questo caso non si stanno proteggendo le persone dal capitalismo, bensì dal progresso. Non c’è differenza tra socialismo ideale e capitalismo ideale per quanto riguarda il progresso. Ciò che viene chiamata paura del commercio e della disoccupazione tecnologica in realtà è paura del progresso.
Stiamo assistendo a una crisi nel settore tecnologico e dell’automazione. Con l’innovazione tecnologica si stanno creando nuovi lavori che richiedono un’intelligenza superiore: questo sta creando un blocco nel mercato del lavoro che non è mai stato così forte.
Come si può gestire questo problema? Sono una storica dell’economia.
Ogni strumento è un robot. Quando giriamo il volante di un’auto alle ruote arriva tutta una serie complicata di input. È un computer, un prodotto dell’intelligenza artificiale.
Anche i libri sono intelligenza artificiale: tu puoi leggere quello che penso, io posso leggere quello che pensi tu. L’intelligenza artificiale o i robot non hanno mai causato la disoccupazione di massa.
Nel 2000 molti italiani lavoravano in negozi di videocassette, nel 1960 molti lavoravano dentro gli ascensori.
Nell’Ottocento, la maggior parte degli antenati delle persone presenti in questa sala erano contadini. Se fosse vero che i robot e l’intelligenza artificiale creano disoccupazione di massa, nessuno di noi qui avrebbe un lavoro.
Lei ha detto di essere favorevole alla società commerciale settecentesca. Ma la letteratura, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, è in gran parte contro la borghesia e il capitalismo. Quant’è durata la luna di miele tra gli intellettuali, il capitalismo e la società commerciale? E perché è finita? Agli inizi dell’Ottocento la maggior parte degli intellettuali era favorevole all’innovazione testata sul mercato.
Anche Alessandro Manzoni, nei Promessi sposi, è a favore del mercato e contro la regolamentazione durante la fame. Poi, si è cominciato a parlare di nuovo liberalismo verso il 1880: in America Latina se ne sono appropriati i conservatori, nel mio paese se ne sono appropriati i socialisti. Nella traduzione del film House of Cards, nei sottotitoli in italiano, il termine liberal è tradotto con liberale, ma non è la stessa cosa.
Il nuovo significato del termine “liberalismo” va di pari passo con l’uso sempre maggiore della significatività statistica in economia? Da un centinaio di anni gli economisti credono di poter controllare l’economia grazie a sofisticati strumenti matematici. Ma l’idea che gli economisti siano matematici mette da parte l’idea che siano filosofi. Non sono contro la matematica e lo strumento statistico nell’economia, perché penso che sia molto importante la quantificazione delle cose, ma sono contraria a un certo uso che si fa della matematica e della statistica. Se leggete il libro The secret sins on economics (I peccati segreti dell’economia), scoprirete che la parola “statistica” è stata coniata in italiano nel Settecento al servizio dello Stato.
È questo il pericolo.
Lei prima accennava al fatto che lo stato non dovrebbe controllare la moneta. Cosa pensa dei bitcoin? Non sono contraria ai bitcoin. Nella mia prospettiva storica è soltanto un certo tipo di moneta, come l’assegno. Non c’è nessun motivo per cui debba essere soltanto lo stato a emettere moneta.
È molto conveniente per il governo avere il monopolio dell’emissione della moneta. Negli anni Settanta e Ottanta a livello internazionale il valore delle monete aumentò del 300 per cento, perché le banche centrali si resero conto che potevano finanziare i deficit del governo stampando moneta. Milton Friedman credeva nel monopolio statale della moneta, ma il mio amico David, suo figlio, crede, come me, nel free banking.
Bisogna togliere questo potere dalle mani dello stato, perché dare allo stato il potere sulla moneta è come dare whisky a un adolescente.
L’Italia è un paese statalista, molto critico verso le imprese, soprattutto piccole e medie. Cosa si può fare per migliorare questa situazione? Intorno al 1580, il grande centralizzatore Jean-Baptiste Colbert chiese ai mercanti di Parigi: “Come posso aiutarvi?”.
E loro risposero “Laissez-faire”.
Non penso che occorra aiutare le piccole imprese, importa non gravarle di tasse. Inoltre, le tasse sono alte per compensare il settore occulto dell’economia, quello mafioso, che non paga tasse. Al Capone non pagava tasse.