COME LA VITA SI SCRIVE
Che la vita si scriva non è automatico.
E non dipende da noi, da una nostra soggettività. Ma senza
il “noi” la vita non si scrive. Senza questo indice dell’infinito non si
scrive. La vita esige l’apertura intellettuale, la esige il respiro stesso.
Armando Verdiglione ha avviato un’elaborazione straordinaria intorno a ciò che
ha chiamato il due originario, ovvero l’apertura intellettuale.
Due come relazione, come dubbio originario da cui procedono le
cose. Senza il dubbio, l’idea fa da padrona come ideologia personale, familiare
o politica. L’ideologia è il pensiero unico. E con il pensiero unico, la vita
non si scrive.
Cancellare il dubbio originario comporta mal tollerare il
contesto e tentare di correggerlo e di purificarlo, perché faticoso. Potrebbe
sembrare una semplificazione proficua poter dividere ciò che è bene da ciò che
è male, se non fosse il compito – e l’abbaglio – principale di ogni dittatura.
Chi non tiene conto del contesto è sordo. Il totalitarismo e la politica del
pensiero unico identificano il bene e il male secondo una gerarchia di valori
fissi.
E mettono l’“uno” a capo della genealogia, il capostipite.
Da qui l’idea di una genealogia buona e una cattiva, di una famiglia buona e
una cattiva a cui corrispondere o da cui differenziarsi.
E da qui anche l’economia del sangue.
Ma il contesto è l’apertura intellettuale, e non consente
simili operazioni purificatorie. La famiglia anagrafica è la prima circostanza
in cui ci si trova dinanzi alla tentazione sostanzialistica di rappresentarsi
il bene e il male in un romanzo familiare con i suoi personaggi fissi. E per
questa stessa ragione è la prima occasione in cui constatare che ogni
semplificazione è vana ed è invece necessario l’allenamento intellettuale per
dissipare i ricordi personali su di sé e sull’Altro. Solo così la vita si
scrive.
Affinché la vita si scriva, affinché la memoria si scriva,
occorre l’audacia.
Non il coraggio. Non è un valore dire “quel che si vuole”, e
nemmeno dire “quel che si pensa”. Queste sono le modalità dirette dalla paura e
dall’omertà.
L’audacia sta nel cogliere l’importanza dell’obiezione e
dell’ostacolo, poiché l’inconveniente è condizione di ricchezza, non di danno.
Oggi, e sempre di più, sembra che il principale motivo di condivisione e
complicità tra genitori e figli sia la paura della solitudine scambiata per
isolamento.
E la farmacopea sociale mira a trovare rimedi di ogni genere
per abolire la solitudine.
Dinanzi all’itinerario, invece, ciascuno trova la sua
condizione nella solitudine. Senza alternativa. Rimediare alla solitudine
comporta trovarsi a sopravvivere, appunto nell’isolamento e a boccheggiare
nella paura. L’audacia, invece, è la condizione della forza.
Solo con l’audacia, la vita si scrive.
L’idea di pena rende ogni storia uniforme e standardizzata.
Un triste groviglio di luoghi comuni. Diventare ricco, diventare famoso,
diventare donna, diventare uomo: diventare qualcuno – o diventare nessuno – è
una mitologia eroica che ha la sua altra faccia nel vittimismo. La vita non si
scrive con il protocollo del riscatto. E nemmeno con l’eroismo. Secondo questa
visione, anche la disciplina è confusa con la pratica eroica ideata per non
cedere alle tentazioni. O, peggio ancora, diventa rigidità morale e
affermazione di sé.
La disciplina conformista è la scaletta dei rituali per tenere
a bada le proprie paure. “Se non faccio sport non sono io”, “se non leggo non
sono io”… Il fare non risponde all’essere o all’identità.
La saccenza è la presunzione di conoscersi e la convinzione
di dovere difendere un modo di essere. Con la saccenza la vita non si scrive.
Nessuno s’imbatte nella valorizzazione di ciò che fa e nella ricchezza dei
propri talenti rimanendo attaccato all’idea di sé.
È questa la portata della cifrematica: non si combatte per
dimostrare, ma per qualificare e valorizzare.
In breve, la vita si scrive con il miracolo.
Con la sospensione dell’ovvio.
Ma, in effetti, l’ovvio è una credenza soggettiva, e perciò
è evanescente. Il miracolo non è frutto del deus ex machina, non
interviene a salvare dalla contingenza. Il miracolo è la contingenza.
L’idea di salvezza produce superstizioni e superstiti. E la
società consumistica, che nega il superfluo, si basa su ogni genere di
superstizioni, prima fra tutte il ruolo sociale, che ha la sua misera
ricompensa nella pena.
In virtù dell’arte e della cultura della parola, la vita si
scrive con gli strumenti dell’intelligenza e con la lettura.
Per questo non fallisce.