LA RUOTA, IL CARRO E IL CAVALLO
Nel cuore della Motor Valley, l’Officina Bertoni Dino
Srl, che lei ha rilevato quattro anni fa, e l’Officina Meccanica Bartoli,
fondata da suo nonno nel 1961, assicurano l’alta precisione nelle lavorazioni meccaniche
di componenti utilizzati per il trasferimento del moto nella produzione industriale
– dall’automotive alle pompe idrauliche, dall’aeronautica all’orologeria.
In che modo il talento, l’ingegno e l’intelligenza si
combinano nelle vostre officine? In un territorio vocato all’ingegneria meccanica,
parlare di talento, d’ingegno e d’intelligenza è come giocare in casa. Sono tre
fattori che non possono andare separati, anche se non sono sinonimi, ovvero non
sono omologabili, anzi, sono come la ruota, il carro e il cavallo: la ruota del
talento può essere lanciata e compiere un suo percorso, più o meno veloce, ma
quanta più forza e direzione acquisterà se sarà trainata dal cavallo
dell’ingegno e potrà essere utile a chi viaggia sul carro dell’intelligenza? C’è
chi ritiene che il talento sia innato.
Da Platone alla genetica moderna, l’innatismo prospetta una
natura strutturata da geometrie funzionali alle necessità della vita, e
l’ingegno potrebbe far parte di tale natura.
Ma, anche se fosse innato, credo che comunque dovrebbe
essere aiutato a emergere o, come dice la parabola evangelica, dovrebbe essere
messo a frutto. Possiamo credere che gli abitanti della Motor Valley nascano
con un talento per la meccanica, tuttavia, se non svolgono attività in cui
questo talento si esercita, è come un tesoro che rimane sottoterra e non ha
alcun valore finché qualcuno non lo trova e lo diffonde. Oggi il talento dei
giovani può rimanere sepolto per vari motivi, non ultima la paura di sbagliare.
I social network hanno amplificato questa paura, perché ogni cosa proposta
viene messa in piazza e diventa una traccia indelebile, quasi un marchio:
Facebook addirittura ripropone periodicamente foto e immagini del passato, per
cui tutto diventa ricordo… Si tratta di un ricordo senza la memoria, perché
la memoria non è delle cose che hanno bisogno di essere ricordate, è memoria in
atto, che interviene facendo. L’ingegno si nutre della memoria, anche se
comunemente viene considerata disturbo… Infatti, come dice Armando
Verdiglione, la memoria non può essere selettiva, pertanto, non ci sono cose
belle da ricordare e cose brutte da dimenticare.
Alcuni adolescenti spesso vivono nella vergogna di ciò che
considerano errore, quindi si limitano nel loro fare, come se rischiassero di
essere macchiati di una colpa incancellabile. Ma come possono mettere alla
prova i talenti, se pongono limiti alla loro intraprendenza? Rischiano di
accontentarsi di un’intelligenza appena sufficiente per essere bravi a scuola,
e così rinunciano al talento. Invece, la paura si sconfigge quando il talento
avanza, di errore in errore, non senza intoppi, come accade nei film dei
supereroi.
Le nostre officine meccaniche, fino a qualche decennio fa,
erano terreno fertile per il talento, l’intelligenza e l’ingegno. Prima che
fossero introdotte le nuove tecnologie, l’apprendimento era molto empirico:
“Guarda le scintille, guarda il colore dei trucioli, ascolta i rumori”, mi
diceva mio nonno per farmi capire come lavorare un pezzo.
Era un sapere che veniva dall’esperienza – costruito in una
vita: una vita di trucioli, una vita di scintille –, un sapere che ci è stato
tramandato e che, nonostante tutte le nuove conoscenze, non possiamo perdere
perché fa parte di noi. Oggi l’intelligenza artificiale consente una precisione
che sfiora la perfezione, ma si sta perdendo la manualità. E non dimentichiamo
che anche nella mano c’è il cervello, c’è la memoria, che contribuisce all’arte
e all’invenzione. Ciascun problema del cliente richiede uno sforzo
d’intelligenza, ma se deleghiamo totalmente le lavorazioni alla macchina,
l’intelligenza pian piano si spegne, e così anche la soddisfazione di portare a
termine ciascun giorno attività essenziali per tutti coloro che hanno bisogno
di quel pezzo – dal team di Formula 1 alle case automobilistiche, dalla
compagnia aeronautica ai passeggeri dei suoi aerei, dalla fabbrica di macchine
utensili a quella di orologi o di pompe.
Mio nonno mi diceva ogni tanto: “Una volta che impari un
mestiere è tuo, perché quello che sai fare puoi farlo ovunque”. In effetti, le
leggi che regolano la produzione sono sempre le stesse. Purtroppo, è in voga
questa nuova moda per cui dopo sette anni si deve cambiare lavoro, come se si trattasse
della rotazione triennale in agricoltura. È un’assurdità, perché in sette anni
difficilmente si è in grado d’imparare un mestiere. Io, con tutto l’impegno che
ci metto, dopo ventidue anni, sono ancora lontano dall’essere arrivato.
C’è questa mitologia per cui il cambiamento è considerato
di per sé un valore, quindi l’importante diventa cambiare: cambiare lavoro,
cambiare paese, cambiare vita… Se cambi lavoro ogni sette anni non è perché
ti piace il cambiamento, ma perché non ti piace quello che fai. Se qualcuno mi
dicesse che è ora di fare un altro lavoro, mi metterei a ridere.
E, comunque, non c’è bisogno di sette anni per accorgerti
che quello che stai facendo non è il tuo lavoro, non c’è bisogno di far perdere
tanto tempo al tuo datore di lavoro e di perderlo tu: basta un anno,
specialmente in un’officina meccanica. Tuttavia, occorre tenere conto di coloro
che hanno bisogno di lavorare perché devono mantenere una famiglia e favorire
la loro integrazione nella squadra. E ciascuno, indipendentemente dal fatto che
ami o no il proprio lavoro, dovrebbe rendersi conto di essere all’interno di
una struttura con una funzione ben precisa che dev’essere svolta con
intelligenza. Mai come oggi, a parità di professionalità, coadiuvata sempre più
dalla tecnologia, l’individuo sta acquistando centralità, quasi come nelle
botteghe del rinascimento.
Questo per non parlare sempre di ciò che non va. Anche
perché mi sono accorto che, in ogni epoca, chi si sente in dovere di fare
qualcosa vede intorno a sé una gran disgrazia.
A questo proposito, vorrei citare il mio autore preferito,
Sant’Agostino, il quale riporta questa conversazione fra Alessandro Magno e un
pirata: «“Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli stati se non
delle grandi bande di ladri? Perché anche le bande dei briganti che cosa sono
se non dei piccoli stati? È pur sempre un gruppo di individui che è retto dal
comando di un capo, è vincolato da un patto sociale e il bottino si divide
secondo la legge della convenzione. Se la banda malvagia aumenta con
l’aggiungersi di uomini perversi tanto che possiede territori, stabilisce
residenze, occupa città, sottomette popoli, assume più apertamente il nome di
stato, che gli è accordato ormai nella realtà dei fatti non dalla diminuzione
dell’ambizione di possedere, ma da una maggiore sicurezza nell’impunità”. Con
finezza e verità a un tempo rispose in questo senso ad Alessandro il Grande un
pirata catturato. Il re gli chiese che idea gli era venuta in testa per
infestare il mare. E quegli con franca spavalderia: “La stessa che a te per
infestare il mondo intero; ma io sono considerato un pirata perché lo faccio
con un piccolo naviglio, tu un condottiero perché lo fai con una grande
flotta”» (De civitate Dei, IV, 4).
È straordinario come Sant’Agostino faccia appello
all’esperienza, per lui la verità non è la ragione, ma è la legge della
ragione, e a noi non è consentito sapere quale sia. Noi abbiamo una legge della
ragione, ma dobbiamo tracciare un percorso logico che non pone la ragione alla
fine del sentiero, ma come carburante del nostro percorso intellettuale.
Questo vuol dire che dobbiamo sviluppare l’anarchia
intellettuale, che non è il rifiuto del potere politico, ma la non accettazione
di qualsiasi esercizio del potere, anche quello della logica comune che
imprigiona l’intelletto in schemi medievali e impedisce l’arte e l’invenzione.
Per certi versi, non siamo mai usciti dal medioevo, perché
non c’è mai stata una vera rivoluzione, ma sempre il rovesciamento di un potere
per instaurarne un altro, non c’è mai stata la rivoluzione dell’anarchia
intellettuale, quella in cui l’individuo è lo stato ed è la condizione delle
cose che si dicono, si fanno e si scrivono con talento, intelligenza e ingegno.