PERCHÉ LE NOSTRE PIASTRELLE SONO LE MIGLIORI AL MONDO

Qualifiche dell'autore: 
già ordinario di Tecnologie Chimiche e Alimentari alla Facoltà di Chimica Industriale (Bologna), direttore della Scuola di Specializzazione in Chimica e Tecnologie degli Alimenti (Bologna)

La nostra rivista ha già avuto il piacere di ospitarla (cfr. n. 81) a proposito della cosiddetta “patata intelligente”, la famosa patata al selenio da lei introdotta ed entrata nella dieta di tantissimi cittadini del pianeta. Ma non tutti sanno che, prima di approdare alle tecnologie degli alimenti, lei ha iniziato a lavorare come chimico nel settore dell’industria ceramica del distretto di Sassuolo.
Infatti, ho incominciato a lavorare alle ceramiche Marazzi, occupandomi della lavorazione degli smalti e di alcuni altri procedimenti come la fusione alcalina del materiale ceramico e delle argille e di alcuni strumenti per allora molto avanzati, come i crogioli di platino e i condensatori Rosenthal.
I motivi del grande successo di questo distretto e di quelli adiacenti di Rubiera e degli Appennini Reggiano e Modenese sono essenzialmente due: il materiale presente nel territorio, le famose argille rosse, e l’essersi affidati fin dall’inizio, per la strumentazione, a chi aveva tanti più anni di esperienza nella produzione di ceramiche da arredamento, come i tedeschi e gli svizzeri.
Allora, per l’analisi sistematica dei silicati solubili prodotti dalla fusione delle argille, ci avvalevamo del Politecnico di Zurigo. Poi, ho iniziato a lavorare alle ceramiche Ragno, con un capo chimico straordinario.
Quindi ho terminato la mia collaborazione con il distretto con l’impiego alle ceramiche San Giorgio.
Dall’esperienza di lavoro nel comprensorio di Sassuolo, in ciascuna azienda ho imparato tantissimo, non solo per l’aspetto strettamente chimico, di cui avevo avuto indubbiamente notevoli elementi dalla formazione universitaria, ma anche per gli aspetti riguardanti la metodologia e l’organizzazione del lavoro e i dispositivi di ricerca e sviluppo, elementi non indifferenti alla mia futura pratica accademica alla Facoltà di Chimica Industriale.
Riteniamo che il libro, come riferimento e come autorità, sia sempre fondamentale per la scienza e per la pratica, compresa quella industriale. Quali erano i testi fondamentali nel periodo in cui lei lavorava nell’industria ceramica? Oggi sono tantissimi, anche tradotti da altre lingue. Allora c’era un testo fondamentale, Chimica e tecnologia della ceramica, cui seguirono i famosi 14 Quaderni di Angelo Mangini, preside di Chimica Industriale all’Università di Bologna.
Per quale motivo le argille del distretto di Sassuolo e limitrofi sono così importanti per l’industria della ceramica? Le argille rosse dei territori collinari modenesi e, in parte, reggiani sono fondamentali perché contengono ferro trivalente e sono ottime per la costituzione del cosiddetto “biscotto”, matrice fondamentale ottenuta dalla triturazione del materiale argilloso attraverso i cosiddetti mulini a pioli e a tamburo, nonché dalla successiva compattazione attraverso la cottura di tale materiale a 750-900 gradi, quando questo raggiunge il necessario grado di durezza. Poi si passa all’apposizione dello smalto, favorito dalla porosità del “biscotto” ottenuto. Questa era la metodologia iniziale, detta della “doppia cottura”; ora si è passati alla monocottura, con temperature molto più elevate e, soprattutto, con l’apporto di un materiale particolare, il cosiddetto kervit, ottenuto dalle argille bianche di cui sono ricchi alcuni terreni della Francia, della Serbia e soprattutto della Cina.
Ricordo che la logica e i criteri di lavorazione e di apposizione dello smalto sulla ceramica sono assolutamente peculiari e complessi e richiedono molti accorgimenti, a partire dall’analisi chimica costante dei componenti. I distretti di Sassuolo e di Rubiera sono da anni tecnologicamente all’avanguardia, soprattutto nell’ottenimento della cosiddetta deferrizzazione degli smalti, indispensabile alla levigatezza delle superfici. La Cina, altra grande produttrice, non ha ancora raggiunto questo livello e si è avvalsa a lungo di una tecnologia basata sull’azione di microrganismi. Il comprensorio della ceramica ha tuttavia un’altra grande risorsa locale per gli smalti: i cosiddetti “silicati del Secchia”, fiume che attraversa il distretto, naturalmente poveri di ferro.
Ha qualche curiosità o notazioni particolari da ricordare, riguardo al periodo del suo lavoro nel comprensorio della ceramica? Ne ho tante, ma in particolare mi ha colpito il ruolo rilevante delle lavoratrici, soprattutto per la loro abilità nel notare eventuali imperfezioni dei prodotti finiti. Poi l’impegno assoluto e la tensione alla riuscita degli addetti in ciascuna azienda, non solo dell’imprenditore, ma anche dei tecnici, degli operai, degli impiegati e dei magazzinieri.
Risultava evidente che il successo dell’azienda era anche il successo e la qualificazione, agli occhi dell’Italia e del mondo, del loro lavoro, della loro terra, delle loro tradizioni. Oggi credo sia ancora così. La produzione artigianale di ceramica nel territorio di Sassuolo è testimoniata, d’altronde, già nel Quattrocento, anche se quella industriale è molto più recente, a partire dagli anni trenta del secolo scorso, ma soprattutto dal periodo del dopoguerra.