L’INTERSETTORIALITÀ È VINCENTE NELLA RICERCA E NELLA FORMAZIONE
A partire dal 2013, primo anno del suo rettorato, gli
iscritti all’Università di Modena e Reggio Emilia sono aumentati del 25 per
cento (da 20.000 a 25.000).
Quali sono gli elementi che contribuiscono a conferire
attrattività a un ateneo? L’attrattività deriva principalmente dalla
capacità di fornire un alto livello formativo e dalla possibilità di offrire un
esito occupazionale importante, caratteristiche presenti entrambe nella nostra
area. Noi ci siamo impegnati per dare una risposta a tutte le esigenze degli
studenti con un programma mirato alla realizzazione di 3.400 posti aula e di
nuovi laboratori e aule informatiche sia a Modena sia a Reggio. Abbiamo
aggiunto all’offerta formativa il nuovo corso di laurea triennale in Ingegneria
informatica, a Mantova, e il corso triennale in Ingegneria per l’Industria Intelligente
– che prepara laureati orientati alle applicazioni nel campo della meccatronica
e dei sistemi industriali smart – a Reggio; senza dimenticare che la nostra
Scuola di Ingegneria impegna oltre 200 docenti a tempo pieno nella formazione
di oltre 6.500 studenti, provenienti da tutta Italia e, sempre di più, anche da
paesi lontani nel mondo. Tra l’altro, la nostra Scuola ha inaugurato un master sull’Ingegneria
del veicolo, nel settore delle tecnologie per la guida autonoma (Autonomous
driving and enabling technologies), in seguito alla convenzione stipulata con
Provincia e Università di Trento, nonché con il centro FCA per la vettura
autonoma.
Anche la ricerca in senso stretto è un fiore all’occhiello
di Unimore, che al momento gestisce 125 progetti di ricerca internazionale di
cui 64 all’interno del programma Ue Horizon 2020, con finanziamenti pari a 15 milioni
di euro. L’iniziativa di aderire a reti europee e partenariati pubblicoprivati avviata
nel 2014 sta portando i suoi primi frutti in termini di progetti approvati. Le
reti cui aderisce Unimore a oggi sono dieci e coprono diversi settori,
dall’automotive alle nano-medicine.
La tendenza anti-rinascimentale a considerare
l’ingegneria e la tecnica in antitesi con le scienze umane ha prodotto nei decenni
un disorientamento scolastico dannoso per il nostro tessuto industriale.
Dal lavoro svolto negli anni del suo rettorato emerge
invece un approccio globale alla formazione e all’esperienza, che procede per
integrazione e, come nelle botteghe rinascimentali, punta alla combinazione di
arte, cultura, scienza e industria… La cultura è unica, non ci sono due culture,
e gli studi umanistici non si oppongono a quelli scientifici, anzi, ne sono la
base, aiutano a vivere, ci costringono a confrontarci con il pensiero di grandi
autori e a porci questioni essenziali per la nostra esperienza. Come rettore ho
sempre promosso l’intersettorialità e ho invitato docenti con competenze
differenti a mettersi attorno a un tavolo, perché sono convinto che da un simile
confronto scaturiscano sempre idee brillanti. Basti pensare ai risultati dell’incontro
tra ingegneri e medici: la medicina ha fatto passi da gigante soprattutto
laddove è stata supportata dalla tecnologia, per esempio, nella diagnostica per
immagini, nella chirurgia robotica o negli interventi sotto controllo
radiografico. Questo vale anche nel campo delle bioscienze e delle
biotecnologie, dove abbiamo attivato due corsi di laurea in biotecnologie mediche
e industriali, per andare incontro alle esigenze delle imprese del territorio.
Oggi, in una società globalizzata e complessa, è molto
richiesto chi è in grado di procedere per integrazione, anziché per antitesi.
Per questo non basta avere un alto livello di competenza in una materia,
occorre la capacità di mettere insieme vari ambiti e di trovare combinazioni
vincenti. Io ho frequentato il liceo classico e credo che sia una grande scuola
in questo senso.
Ingegneria è la facoltà dell’Unimore con il più alto
numero di iscritti. A che cosa è dovuto questo boom degli ultimi anni? Le
indagini di mercato dicono che la domanda di tecnici ingegneri è superiore all’offerta,
quindi il mercato non è ancora saturo. E questo occorre spiegarlo ai giovani:
al momento di scegliere una strada in base al proprio entusiasmo e talento,
alle proprie capacità e disponibilità, a parità di condizioni, è importante
orientarsi verso percorsi che hanno maggiori sbocchi lavorativi.
Che cosa può dirci del rapporto tra università e
istituzioni in Italia? Per fare un esempio, solo per attivare un nuovo
corso di laurea che partirà a settembre del 2019 ci siamo dovuti muovere l’anno
scorso: nei casi in cui c’è una progettualità innovativa su tematiche di
frontiera ci vuole più di un anno, con tantissimi passaggi – in questo caso ne
ho contati sette –, se tutto va bene, perché se qualcosa s’inceppa bisogna
ritornare daccapo.
Ecco perché noi rettori italiani ci siamo impegnati molto,
chiedendo una semplificazione gestionale: dobbiamo mantenere agilità per essere
competitivi, non possiamo essere rallentati o bloccati dalla burocrazia. Non
chiediamo di lasciarci carta bianca, ma di dare maggiore responsabilità alle
università, aumentandone l’autonomia.
Comunque, i giovani non devono scoraggiarsi, ma avere
fiducia, perché è un momento di grande opportunità e coloro che escono dalla
nostra Università sono molto preparati, come dimostra l’accoglienza che
ricevono all’estero.