L’INTELLIGENZA DEL BELLO
Il 30 marzo scorso si è tenuto in TEC Eurolab un evento
all’insegna dell’intersezione fra arte e scienza del secondo rinascimento, Uno
sguardo nuovo su un patrimonio artistico: liutai, musicisti, collezionisti,
restauratori, responsabili di case d’asta e di strutture museali hanno avuto
un’occasione straordinaria per vedere all’opera uno dei più potenti tomografi
d’Europa, per conoscerne le potenzialità a beneficio del proprio lavoro e per
avere una prova del modo in cui i vostri ingegneri mettono a frutto, da quasi
trent’anni, il loro talento. Si conferma così il primato di TEC Eurolab come
centro d’eccellenza europeo per i controlli non distruttivi, che garantisce ai
clienti un supporto completo lungo l’intera catena della fornitura, integrando le
altre tecniche di analisi e servizi (failure analysis, metallurgia e analisi chimiche,
prove meccaniche, reverse engineering e simulazione strutturale, ecc.), per
salvaguardare sicurezza e prestazioni di materiali, processi e prodotti.
Occorrono intelligenza e ingegno per passare dalla
tomografia computerizzata della camera di combustione di un razzo spaziale
Arianna a quella del violino più importante al mondo, il Messia di Stradivari… Sicuramente,
il contributo di un’analisi tomografica per ricostruire la storia e lo stato di
conservazione di uno strumento artistico antico si avvale, oltre che di questa
attrezzatura di ultima generazione – che consente, grazie a una scansione con
raggi X, di verificare dimensioni micrometriche e individuare difetti invisibili
con gli altri metodi di controllo –, dell’intelligenza dei tecnici, che raccolgono
e interpretano preziose informazioni geometriche e dettagli tecnici e
stilistici da offrire al liutaio come uno scrigno di tesori.
Inoltre, l’applicazione della tomografia industriale ai beni
culturali contribuisce alla digitalizzazione del nostro patrimonio e offre la
possibilità di osservare antichi capolavori, come uno Stradivari, da una
prospettiva inedita.
Intervengono spesso tanti luoghi comuni intorno
all’intelligenza, ma nell’impresa sembra che, come diceva Niccolò Machiavelli,
sia la necessità ad aguzzare l’ingegno. Quindi, facendo, ciascuno ha
l’occasione di dare prova d’intelligenza… Quando penso all’intelligenza
nella nostra esperienza, mi vengono in mente tre tipi d’intelligenza: quella di
cui dà prova una persona singola, quella di un gruppo che, come si dice, si
muove in modo intelligente, e quella necessaria al controllo dell’impulsività.
L’intelligenza di una persona si constata nella sua abilità
a far fronte a cose complesse, non complicate: per far fronte a cose complicate
è sufficiente avere il know-how in quella particolare materia. Dà prova d’intelligenza
invece chi riesce a trovare soluzioni in situazioni complesse, quelle in cui
ciascuna decisione implica una modifica dell’ambiente circostante e richiede
tante decisioni quanti sono i fattori in gioco coinvolti nella decisione
iniziale: quindi, non è come mettere insieme le tessere di un puzzle, perché, per
raggiungere il risultato, devo spesso convincere qualcuno a fare qualcosa e ad
abbandonarne un’altra che faceva prima, quindi devo capire chi prenderà il suo
posto e in che modo egli entrerà nel nuovo team. Ciascuna volta per noi è una scommessa
sull’intelligenza, perché ciascun cliente ha esigenze differenti e i nostri
tecnici devono ingegnarsi per dare risposte che vadano oltre gli standard di
qualità. Nessun caso, per definizione, può essere standard e noi ci occupiamo
di casi particolari e specifici, ascoltando e facendo una ricerca con arte e
invenzione.
Lavorando spesso in team, è chiaro che il secondo tipo
d’intelligenza, quella di gruppo, acquista un’importanza enorme, soprattutto
quando si siedono attorno a un tavolo quattro o cinque persone per gestire un
progetto che coinvolge più aree dell’azienda.
Anche se ciascuna persona singolarmente ha dato prova
d’intelligenza in esperienze precedenti, se non s’instaura un dispositivo di
valorizzazione dei talenti di ciascuno, quindi, se c’è chi tenta di mettere in cattiva
luce o di sminuire le proposte di qualcun altro senza neppure ascoltarle,
perché non vede l’ora di “dire la sua”, allora non s’instaura quella virtù che
scaturisce dal fatto stesso di essere un gruppo, cioè dal fatto che “tre teste
pensano meglio di due”, come si dice. L’intelligenza collettiva ha un valore
inestimabile, ma, senza l’ascolto, non può essere messa a frutto. Uno dei
principali nemici da combattere nelle riunioni, per esempio, è la paura del
silenzio: una persona dice una cosa e, se dopo soli tre secondi, nessuno dice
niente, si ha l’impressione che abbia detto una sciocchezza. Il silenzio mette
a disagio anche quando stanno parlando due persone soltanto, figuriamoci in un
gruppo. Invece dovremmo riuscire a sconfiggere questa paura e ricordare, prima
delle riunioni, che magari si può anche riflettere, oltre che parlare. Certo,
l’intelligenza di gruppo non potrà mai emergere in una di quelle aziende in cui
il titolare è fortemente accentratore, per cui è il primo a parlare e, una
volta terminato il suo discorso, non c’è niente da discutere perché tanto “si
fa così”, “finché ci sono io si fa così”.
Il terzo tipo d’intelligenza, quella che controlla
l’impulsività, giova sia al singolo sia al gruppo e ha a che fare con quelle
che chiamiamo emozioni e sensazioni. Ho notato che, quando tre o quattro uomini
s’infervorano su una questione, non è facile trovare il distacco, soprattutto
in presenza di qualche donna. Eppure, ciascuno capisce che con il conflitto non
si va da nessuna parte. Allora, perché cadono tutti nella trappola del litigio?
Magari, al termine della lite, non ricordano neppure perché hanno incominciato.
Questo capita anche tra coniugi o tra amici. Diventa uno spreco, un inutile
accanimento che fa perdere lucidità e preziosi contributi alla soluzione del
problema da affrontare, che a volte passa in secondo piano. E può bastare
veramente poco per innescare la miccia dei personalismi: un sopracciglio del
leader che s’inarca mentre un collaboratore sta parlando, una parola non detta
quando qualcuno se lo aspettava o una parola che viene equivocata. Ecco perché
dico che la formazione alla comunicazione non è mai troppa, soprattutto se
insegna a instaurare il distacco in situazioni altamente sfidanti. Chi reagisce
in modo impulsivo non può intervenire con intelligenza, perché risponde seguendo
il cosiddetto istinto di sopravvivenza, di rivalsa e di dominio, anziché il
ragionamento. Magari riesce a risolvere le situazioni complesse oppure, in una
riunione dove ciascuno è costruttivo, favorisce l’intelligenza di gruppo, ma,
in una situazione dove c’è un ambiente conflittuale, produce un pandemonio, perché
non riesce a instaurare il distacco.
A volte, è la paura di essere sopraffatti a giocare questi
brutti scherzi… Questo tipo di paura non è una cosa semplice da dissipare,
perché può essere frutto di una mentalità acquisita nella famiglia. Ma c’è
un’altra paura, che la cifrematica, la scienza della parola, chiama paura
originaria: questa è interessante, perché contribuisce all’autorità, quando le
cose incominciano e si avverte la difficoltà d’incominciare. Questa paura si
può intendere anche come una “sentinella” della pulsione verso la qualità, come
se indicasse la direzione… Come quando aumentano i battiti mentre si sta
andando a sostenere una prova importante, anche se si è preparati, perché
nessuno può prepararsi veramente alle emozioni e alle sensazioni, ai discorsi
sì, ma la vita non si esaurisce con i discorsi.
Il suo interesse per la cultura e l’arte è indicativo in
questo senso… È incredibile quanta influenza abbiano la cultura e l’arte
nella nostra vita. Pensiamo all’impressione che può darci un dipinto o
all’emozione che può darci la scena di un film o un brano musicale. Eppure, sappiamo
che siamo davanti a una finzione. Com’è possibile che lo dimentichiamo? Allora,
il terzo tipo d’intelligenza sta proprio nel riuscire a trasmettere ciò che ci
dà emozioni costruttive, ciò che di artistico e di culturale produce l’uomo, ma
anche la natura. Pensiamo alla bellezza di un tramonto o di un cielo stellato: non
sono anch’essi opere d’arte? Leonardo da Vinci dice che “il dipintore gareggia
con la natura”. Per lui anche la natura è artificiale, nel senso che produce
opere d’arte… Anche in azienda, mi chiedo perché sia così diffusa la
tendenza a trasmettere ciò che c’impressiona negativamente. Forse è più facile parlare
del negativo, richiede meno talento, ingegno e intelligenza.