COME L’INDUSTRIA DISSIPA LA MITOLOGIA DELL’IMPERO
La guerra in corso fra Ucraina e Russia, incominciata con
l’occupazione della Crimea da parte della Russia nel 2014, ha posto
all’attenzione della politica internazionale, ancora una volta, la questione
Europa.
Se, infatti, sia lecito o no che uno stato si annetta un
paese contravvenendo non soltanto ai trattati internazionali (Memorandum di Budapest
del 1994), ma anche alla dichiarazione di indipendenza sancita dagli ucraini nel
Referendum del 1991 (con il 90,32 per cento di consensi), all’indomani della
caduta del muro di Berlino, non è soltanto la legge a stabilirlo.
La questione Ucraina è la questione della cultura e
dell’arte dell’Europa – e di quell’Europa orientale che da troppo tempo è stata
ignorata –, ma è anche la questione dell’industria: come avvengono le cose e
qual è la loro struttura, di cui l’invenzione è un aspetto.
Il “granaio d’Europa”, altro nome dell’Ucraina, si è sempre
distinto rispetto a paesi che dell’industria hanno avuto orrore, reprimendo
quella che in economia è chiamata “iniziativa privata” o “libera iniziativa”,
peculiarità dell’occidente. I prodotti degli imperi sono stati i campi di
lavoro forzato, i campi di concentramento, i lager, i gulag, i laogai, istituti
di negazione dell’industria, dell’intelligenza e dell’ingegno. L’industria non
può essere sottoposta all’idea di sistema, di copertura, proprio perché esige
la differenza e la variazione costanti.
Chi non ha capito questo, oggi, predispone la burocratura
fiscale, penale e carceraria contro tutto quello che non si unifica, che non si
uniforma, che differisce e varia perché non corrisponde all’uniforme
dell’impero.
La mitologia dell’impero, che ritorna nell’ammirazione di
molti esponenti della “provincia Italia” nei confronti della Russia e della
Cina, diffida dell’invenzione perché non è controllabile, non è secondo il
sistema.
Per questo erige l’origine a feticcio e ne affida la custodia
a un capo supremo, per assicurare l’arcaismo funzionale al sistema di
controllo. La struttura pragmatica della vita, l’industria, non rispetta
l’appartenenza ai circoli e alle caste. Si fa d’arte e d’invenzione.
Si alimenta dell’ingegno e non teme di disperderlo, non
costruisce il campo di concentramento in cui imprigionare l’Altro. Chi ragiona ancora
oggi in termini d’impero, di sfere d’influenza, occupando territori e città nel
tentativo di cancellare nazioni come la Georgia e la Crimea, tenta di annientare
la cultura, l’arte, l’industria, per depredare, sfruttare, sottomettere le
nazioni sovrane.
Con il libro Abbecedario ucraino. Rivoluzione, cultura e
indipendenza di un popolo (Gaspari), Massimiliano Di Pasquale restituisce
all’Ucraina il mito della sua memoria, il mito del suo rinascimento e della sua
industria, il mito dell’Ucraina come regione d’Europa.
L’autore ci consegna un lavoro finissimo di ricerca
filologica che riguarda l’Europa, la cultura e l’arte delle sue regioni. Ci
racconta dell’antichissima cultura di Trypillian, che risale a 7400 anni fa,
anteriore a quella egiziana e greca. Poi della Rus di Kyiv, sorta attorno
all’anno 800 d. C., una combinazione fra vichinghi, normanni, variaghi detti
ruotzi, e slavi, il primo nucleo di quella che sarà chiamata Rossiya soltanto
con Pietro I il Grande nel XVIII secolo. Ma ci parla anche dell’attuale, per
esempio della questione Crimea, dimostrando la combinazione tra sovranità e
industria.
“L’anno cruciale – scrive Di Pasquale – per le sorti della
Crimea è il 1944, quando, con la deportazione dei tatari a opera di Stalin, si
realizza il vecchio sogno russo di una ‘Crimea senza Tatari’. (…) Dieci anni
più tardi la penisola è ridotta a un cumulo di macerie a causa della guerra e
passa sotto l’egida di Kyiv. (…) Nel 1954, la Crimea fu infatti annessa alla
Repubblica Socialista Sovietica di Ucraina.
(…) Nonostante la leggenda russa, tornata in voga nel marzo
2014, parli di un regalo fatto all’Ucraina da un Nikita Khrushchev ubriaco, la
realtà dei fatti è diversa. All’inizio degli anni cinquanta i leader sovietici
si resero conto che la situazione economica della Crimea, annessa nel 1945 alla
Russia, era particolarmente drammatica. (…) Il governo centrale di Mosca decise
allora di trasferirla all’Ucraina in modo che fosse Kyiv a provvedere alla sua
ricostruzione e a una migliore gestione economica dal momento che la regione
era diretta estensione del territorio ucraino.
(...) Non si trattò di un dono, ma di uno scambio di
territori – la Russia ricevette in cambio i fertili terreni della regione di
Taganrog – e non fu opera del solo Krushchev, ma fu una decisione collegiale.
Spettò quindi a Kyiv ricostruire la Crimea (...). In pochi anni l’Ucraina dotò
la Crimea di moderne infrastrutture idriche ed elettriche”.
L’autore conclude: “La Crimea è dunque appartenuta appena dieci
anni, dal 1945 al 1954 alla Repubblica socialista sovietica russa. Le oblast di
Lunhansk e Donetsk (che costituiscono il Donbas, ndr) al contrario, non hanno
mai fatto parte della Russia”.
(…) “Le più marcate differenze tra le due regioni sono di
carattere industriale.
La Crimea, grazie soprattutto agli investimenti
infrastrutturali dal 1954 in poi, quando entrò a far parte della Repubblica
socialista sovietica ucraina, si caratterizza per un’economia prevalentemente
turistica (...).
L’immagine del Donbas è invece associata a miniere di
carbone e acciaierie che, unitamente agli impianti chimici, hanno fatto di
questa zona uno dei principali centri dell’industria pesante sovietica”.
L’impero si specifica per occupazione, depredando
l’industria, ma questa invece si qualifica sempre per via d’invenzione, ingegno
e intelligenza.
Ecco perché l’industria è senza l’idea di fine, mentre tutti
gli imperi sono destinati a soccombere perché costruiscono campi di sterminio
per la paura della fine.