PERCHÉ PARLARE NON È MAI PERDERE TEMPO
Nella vostra Officina Meccanica progettate, producete e
testate nuovi stampi per materiali termoplastici. Vi avvalete di dispositivi meccanici
e tecnologici, che sembrano rendere superflua la parola. In quale ambito ne
riscontrate l’importanza? Viviamo in una fase storica in cui sembra che non
sia necessario parlare e scambiare valutazioni, perché gli strumenti di cui
oggi disponiamo possono dare l’idea che sia possibile fare le cose in modo
automatico. In realtà non è così, ce ne accorgiamo quando constatiamo
amaramente che l’unica maniera di risolvere il problema è mettersi attorno a un
tavolo e parlare.
Il momento più difficile avviene quando dobbiamo rivolgerci
all’ufficio commerciale della cliente, per esempio, perché è quello preposto a
vagliare i costi dei progetti. Dato che il nostro lavoro è prettamente tecnico,
diventa complicato entrare nel dettaglio con persone che tecnici non sono. Come
riuscire, quindi, a spiegarci se non parlando? Con altri strumenti, come per
esempio la mail, non concluderemmo nulla, anche perché chi non vuole intendere è
facilitato. Incontrandosi e discutendo, invece, è molto difficile non suscitare
la curiosità nel nostro interlocutore e non trovare i termini per la chiarezza.
Talvolta interviene l’idea che parlare faccia perdere
tempo… È diffusa la credenza che il tempo impiegato a parlare sia un tempo non
produttivo. In realtà, quando si parla, e si ascolta, la comunicazione non
finisce nel momento in cui ci si allontana dall’interlocutore: quello che
abbiamo ascoltato ritorna nella mente, anche senza volere, magari inducendoci a
cambiare totalmente le nostre valutazioni. Ecco, questo può accadere soltanto parlando.
Parlare sembra una cosa banale.
Adesso è di moda nelle aziende convocare frequenti riunioni:
in una recente trasmissione televisiva veniva documentato che una giunta comunale
si è riunita in seduta per ben 2.300 volte in un anno. Eppure, non è importante
la quantità o la durata delle riunioni, ma ciò che si conclude in ciascuna di
esse.
In azienda, per esempio, spesso cominciamo le riunioni a
metà della scala d’ingresso e ci siamo già detti l’essenziale quando siamo
entrati in ufficio.
L’eccesso di riunioni sembra parodiare la burocrazia,
perché indica l’assenza di conclusione. La caratteristica del dispositivo di
parola è la “conclusiva brevitate”, quando cioè l’appuntamento conclude
all’essenziale e questo è anche il compito del brainworker. Talvolta, può
essere interessante per chi lavora in un’azienda parlare d’altro, perché finalizzare
la parola alla semplice soluzione del problema può favorire l’idea di automatismi
che non portano a nessuna conclusione… È inevitabile, quando si parla, che intervenga
anche altro. L’importante, però, è non divagare in maniera inconcludente.
Quando ci riuniamo per questioni di lavoro, non parliamo esclusivamente di
problemi lavorativi, perché ciò che si dice implica qualcosa di inerente al
nostro modo di vivere, che condiziona anche il nostro modo di lavorare.
Quali sono gli auspici per il nuovo anno? L’auspicio
è continuare sempre di più a fare in modo che i collaboratori si sentano sempre
più coinvolti nel lavoro che svolgono e partecipino alla vita dell’azienda.
Questo può accadere soltanto parlando di più e soprattutto mettendo in pratica
ciò che si dice.
A questo proposito vorrei sottolineare un aspetto.
Nell’azienda ci sono informazioni che non sono segrete, ma che devono essere
riservate, almeno in una prima fase.
È una questione di discrezione. La discrezione non è una
virtù molto praticata in questi tempi, ma in azienda è ancora importante. Chi
ha un ruolo direttivo deve informare, ma non è necessario che rendiconti tutto.
Ci sono progetti che devono rimanere riservati perché possono non concludersi,
e sarebbe oltremodo controproducente che siano diffusi prima: potrebbero essere
letti come insuccessi, anche quando non lo sono, perché sono soltanto tentativi.
Il lavoro di un’impresa procede per tentativi.
La cosiddetta “trasparenza” è un termine mutuato dalla
pubblica amministrazione, ma appartiene alla logica burocratica. Nell’azienda
sono invece necessarie strategia e responsabilità… Occorre distinguere. La
strategia viene stabilita prima d’incominciare a operare. Per cui, come si può
rendere pubblica una strategia prima di avere verificato se è possibile attuarla?
È chiaro che la strategia esige riservatezza, che poi lascia il posto alla
diffusione del progetto, quando questo giunge a conclusione.
La trasparenza di cui tanto si parla, invece, in cosa si
traduce? In qualcosa in cui nessuno è più responsabile di niente. Allora
cerchiamo di capire che il criterio della trasparenza è attuabile soltanto in alcuni
strati della società, ma nelle aziende è impraticabile perché porterebbe alla
loro fine. E, per la verità, anche nelle strutture pubbliche porta a risultati
problematici.