PERCHÉ PARLARE NON È MAI PERDERE TEMPO

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presidente di Officina Meccanica Marchetti Srl, Sala Bolognese (BO)

Nella vostra Officina Meccanica progettate, producete e testate nuovi stampi per materiali termoplastici. Vi avvalete di dispositivi meccanici e tecnologici, che sembrano rendere superflua la parola. In quale ambito ne riscontrate l’importanza? Viviamo in una fase storica in cui sembra che non sia necessario parlare e scambiare valutazioni, perché gli strumenti di cui oggi disponiamo possono dare l’idea che sia possibile fare le cose in modo automatico. In realtà non è così, ce ne accorgiamo quando constatiamo amaramente che l’unica maniera di risolvere il problema è mettersi attorno a un tavolo e parlare.
Il momento più difficile avviene quando dobbiamo rivolgerci all’ufficio commerciale della cliente, per esempio, perché è quello preposto a vagliare i costi dei progetti. Dato che il nostro lavoro è prettamente tecnico, diventa complicato entrare nel dettaglio con persone che tecnici non sono. Come riuscire, quindi, a spiegarci se non parlando? Con altri strumenti, come per esempio la mail, non concluderemmo nulla, anche perché chi non vuole intendere è facilitato. Incontrandosi e discutendo, invece, è molto difficile non suscitare la curiosità nel nostro interlocutore e non trovare i termini per la chiarezza.
Talvolta interviene l’idea che parlare faccia perdere tempo… È diffusa la credenza che il tempo impiegato a parlare sia un tempo non produttivo. In realtà, quando si parla, e si ascolta, la comunicazione non finisce nel momento in cui ci si allontana dall’interlocutore: quello che abbiamo ascoltato ritorna nella mente, anche senza volere, magari inducendoci a cambiare totalmente le nostre valutazioni. Ecco, questo può accadere soltanto parlando.
Parlare sembra una cosa banale.
Adesso è di moda nelle aziende convocare frequenti riunioni: in una recente trasmissione televisiva veniva documentato che una giunta comunale si è riunita in seduta per ben 2.300 volte in un anno. Eppure, non è importante la quantità o la durata delle riunioni, ma ciò che si conclude in ciascuna di esse.
In azienda, per esempio, spesso cominciamo le riunioni a metà della scala d’ingresso e ci siamo già detti l’essenziale quando siamo entrati in ufficio.
L’eccesso di riunioni sembra parodiare la burocrazia, perché indica l’assenza di conclusione. La caratteristica del dispositivo di parola è la “conclusiva brevitate”, quando cioè l’appuntamento conclude all’essenziale e questo è anche il compito del brainworker. Talvolta, può essere interessante per chi lavora in un’azienda parlare d’altro, perché finalizzare la parola alla semplice soluzione del problema può favorire l’idea di automatismi che non portano a nessuna conclusione… È inevitabile, quando si parla, che intervenga anche altro. L’importante, però, è non divagare in maniera inconcludente. Quando ci riuniamo per questioni di lavoro, non parliamo esclusivamente di problemi lavorativi, perché ciò che si dice implica qualcosa di inerente al nostro modo di vivere, che condiziona anche il nostro modo di lavorare.
Quali sono gli auspici per il nuovo anno? L’auspicio è continuare sempre di più a fare in modo che i collaboratori si sentano sempre più coinvolti nel lavoro che svolgono e partecipino alla vita dell’azienda. Questo può accadere soltanto parlando di più e soprattutto mettendo in pratica ciò che si dice.
A questo proposito vorrei sottolineare un aspetto. Nell’azienda ci sono informazioni che non sono segrete, ma che devono essere riservate, almeno in una prima fase.
È una questione di discrezione. La discrezione non è una virtù molto praticata in questi tempi, ma in azienda è ancora importante. Chi ha un ruolo direttivo deve informare, ma non è necessario che rendiconti tutto. Ci sono progetti che devono rimanere riservati perché possono non concludersi, e sarebbe oltremodo controproducente che siano diffusi prima: potrebbero essere letti come insuccessi, anche quando non lo sono, perché sono soltanto tentativi.
Il lavoro di un’impresa procede per tentativi.
La cosiddetta “trasparenza” è un termine mutuato dalla pubblica amministrazione, ma appartiene alla logica burocratica. Nell’azienda sono invece necessarie strategia e responsabilità… Occorre distinguere. La strategia viene stabilita prima d’incominciare a operare. Per cui, come si può rendere pubblica una strategia prima di avere verificato se è possibile attuarla? È chiaro che la strategia esige riservatezza, che poi lascia il posto alla diffusione del progetto, quando questo giunge a conclusione.
La trasparenza di cui tanto si parla, invece, in cosa si traduce? In qualcosa in cui nessuno è più responsabile di niente. Allora cerchiamo di capire che il criterio della trasparenza è attuabile soltanto in alcuni strati della società, ma nelle aziende è impraticabile perché porterebbe alla loro fine. E, per la verità, anche nelle strutture pubbliche porta a risultati problematici.