MEDICINA E COMUNICAZIONE
La sede di Verona del Centro Odontoiatrico Victoria ha
organizzato, in collaborazione con il nostro giornale, una conferenza dello
psicanalista svedese Mats Svensson (5 dicembre 2018) dal titolo Medicina e
comunicazione.
L’apporto della scienza della parola, la cifrematica, al dispositivo
medicopaziente.
Con quale obiettivo? Con questa conferenza volevamo offrire
ai nostri pazienti e ai medici di famiglia strumenti per instaurare dispositivi
di parola, soprattutto quando ci si trova su un terreno così delicato come
quello della salute.
L’intervento di Mats Svensson ha consentito al pubblico di
intendere la complessità della comunicazione, che non si limita mai a un mero a
uno scambio di informazioni. Anni di pratica come psicanalista e come supervisore
di medici, psichiatri e psicoterapeuti negli ospedali e nelle strutture
sanitarie svedesi sono serviti al relatore per capire il contesto e le difficoltà
con cui i nostri medici devono confrontarsi ciascun giorno.
Nell’ambiente sanitario la chiarezza non è mai abbastanza:
una persona spaventata per la propria salute rischia di non ascoltare affatto
ciò che le dice il medico e, invece, di perdersi dietro le proprie paure.
Allora, ancora prima di comunicare qualcosa al paziente, il medico deve
conquistare la sua fiducia e, ancora prima, deve suscitare il suo interesse.
Come fare? Il relatore ha raccontato vari aneddoti riferiti alla sua pratica,
che sono stati molto eloquenti. Tuttavia, nessun medico può considerarsi
padrone della situazione al punto da provocare identificazione in tutte le
persone che si recano in visita da lui: come ha tenuto a precisare la
psicanalista e cifrematica Anna Spadafora nella sua introduzione,
l’identificazione non è qualcosa che si possa imparare per essere applicata al
momento opportuno, non si può sapere prima quali elementi intereverranno in una
conversazione e desteranno interesse.
Che cosa è cambiato nel dispositivo medico- paziente con
l’avvento di internet, dove ognuno può reperire le informazioni più svariate?
Ha influito sull’autorità del medico? Fino alla prima metà degli anni
novanta, i medici svolgevano il proprio lavoro senza preoccuparsi di
condividere con il paziente quasi nessuna informazione, se non in casi gravi, quando
occorreva coinvolgere i parenti per avviare una terapia d’urto o per comunicare
che purtroppo non ci sarebbe stata guarigione. In altre parole, godevano di
ampie deleghe nell’esercizio della loro autorità in ambito clinico e, a volte,
il paziente che chiedeva chiarimenti veniva redarguito perché, dalla sua
posizione di ignorante della materia specialistica, non avrebbe potuto capire
nulla.
Questo approccio severo e altero era sicuramente esagerato.
Tuttavia, oggi rischiamo di cadere nell’atteggiamento opposto: il paziente
arriva dal medico dopo aver letto un’enormità di informazioni su internet, che possono
essere errate o comunque non inerenti al suo caso. In medicina non esiste un
caso uguale all’altro e le terapie sono sempre individuali: ciò che giova a una
persona può essere inutile o addirittura nocivo per un’altra. Quindi bisogna
non cadere nella presunzione di sapere come si dovrebbe trattare un caso e
andare prevenuti a una visita. Per quanto il diritto all’informazione sia sacro
e sia giusto documentarsi, sarebbe meglio farlo dopo aver avuto un colloquio
chiarificatore con il medico e non prima. Dicevamo che alla base della
comunicazione c’è la fiducia, ma se il paziente pensa di dover difendersi dal
medico a cui si rivolge, recandosi da lui armato di informazioni raccolte
preventivamente, come può instaurarsi un dispositivo di parola? Finisce che i
due si scrutano guardinghi e la conversazione non procede, nessuno dei due è
riuscito a trasmettere niente all’altro e l’incontro è servito solo a
collezionare l’ennesimo parere, senza incidere o avere alcun effetto.
Se, invece, s’instaura la fiducia, allora si può avviare un
percorso che si articola nelle varie fasi cliniche: l’indagine diagnostica, la
terapia e il mantenimento dei risultati nel tempo, attraverso uno stile di vita
salutare. E, in ciascuna fase clinica, la parola è un alleato insostituibile
per dare forza e motivazione al paziente.
A proposito di motivazione, lei dirige i sette Centri
Odontoiatrici Victoria dislocati in varie città dell’Emilia Romagna, oltre alla
sede di Verona. Non deve essere facile instaurare dispositivi di parola con i
medici che prestano servizio da voi… Come accade in ciascuna azienda, l’organizzazione
è essenziale alla riuscita, ma alla base delle varie attività che si svolgono
nella giornata ci dev’essere la comunicazione. I nostri specialisti non
lavorano come monadi, ognuno curando il proprio orticello, ma scambiandosi
continue informazioni, con uno spirito costruttivo molto interessante. Un aspetto
importante del lavoro in team è quello dell’aggiornamento costante degli
specialisti: ho deciso di aprire questo tipo di centri anche perché per i
singoli professionisti è praticamente impossibile rimanere aggiornati ai
massimi livelli su tutte le specializzazioni in cui oggi si declina l’odontoiatria.
La nostra è una vera e propria equipe che lavora per il risultato, non
intervengono invidie, gelosie o reazioni inopportune, come purtroppo avviene in
contesti in cui prevale la competizione. Se c’è scambio, le cose crescono e
migliorano sempre più, invece, se ci sono attriti, ne risente il paziente.