L’HUMANITAS E L’ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO
Oggi molti economisti e cittadini comuni trovano le cause della
crescente disuguaglianza di reddito e di ricchezza nelle nostre società – una
delle questioni più importanti e urgenti che dobbiamo affrontare – nella
proprietà privata e nell’economia di mercato e cercano la soluzione in un
ritorno al socialismo e alla statalizzazione. Eppure, la nostra prosperità, il
nostro progresso sociale e la stabilità politica dipendono proprio
dall’importanza dell’impresa e degli imprenditori.
Nonostante il fatto che il socialismo abbia fallito sia come
ideologia sia come esperimento pratico, l’innovazione e l’imprenditoria
dinamica non ricevono sufficiente incoraggiamento.
Non esistono politiche chiare ed efficaci a livello
dell’Unione Europea o a livello nazionale (non solo in Italia) per sostenere
iniziative private e in particolare le piccole e medie imprese. Attualmente, ci
sono timori per la disponibilità di credito bancario a condizioni adeguate nel
caso in cui le proiezioni pessimistiche di una nuova crisi finanziaria in
Italia si dimostrino esatte.
In Italia in generale e in Emila Romagna in particolare, c’è
una tradizione di piccole e medie imprese forti e dinamiche. Per molti aspetti sono
state la spina dorsale dell’economia italiana e uno dei suoi numerosi contributi
alla civiltà europea e mondiale. Queste società, spesso familiari per diverse
generazioni, sono riuscite a concentrarsi non solo sui mercati locali e
regionali, ma anche sui mercati europei e mondiali. Tra le loro caratteristiche
principali ricordiamo: il duro lavoro, l’innovazione, l’assunzione di rischi,
la creazione di posti di lavoro, la combinazione di tradizione e cambiamento,
l’accento sulla cultura dell’impresa, le tradizioni familiari sia per i
proprietari sia per i lavoratori, la consapevolezza e la sicurezza sociale.
Ma oggi ci troviamo di fronte a politiche macroeconomiche
confuse e a riforme strutturali inefficaci a lungo termine. Le imprese e i
lavoratori hanno difficoltà ad affrontare le sfide derivanti dalla
globalizzazione e non sanno come trarre profitto dai suoi vantaggi. Le
condizioni per invertire le tendenze attuali includono l’incremento, con maggiori
risorse, per l’istruzione, la formazione, l’apprendistato, l’innovazione. Esse richiedono
un’enfasi su qualità, affidabilità, produttività, migliori servizi pubblici e
infrastrutture, riforme settoriali, solidità finanziaria e migliori relazioni
bancarie e, infine, ma non meno importante, sicurezza e fiducia crescenti. Più
di tutto, abbiamo bisogno di un ambiente che porti a maggiore crescita,
maggiori investimenti e meno disoccupazione.
Il concetto di humanitas è stato uno dei grandi
lasciti delle epoche precedenti, e l’Italia ha dato un contributo importante e
duraturo al grande accumulo di conoscenze e valori vecchi e nuovi che fanno
parte dell’eredità comune dell’Europa, dell’Occidente e del pianeta in
generale. Parliamo spesso della tradizione europea, basata sulla tradizione
umanistica e illuministica.
Ma c’è anche una tradizione di guerra, spargimento di
sangue, oppressione e violenza. Durante la maggior parte della storia queste due
tradizioni erano in competizione e questo scontro si è intensificato nel XX
secolo. Ma, dopo il 1945, l’Europa e il mondo occidentale dovettero fare una
scelta e il nuovo ordine, la nuova comunità che è stata costruita sulla scia
della seconda guerra mondiale dai paesi occidentali sotto la guida degli Stati
Uniti ha raggiunto risultati senza precedenti.
I tre pilastri principali di questa nuova “comunità
occidentale” erano gli Stati Uniti, l’Europa occidentale e il Giappone. Questa
era e rimane una comunità aperta, aperta a tutte le democrazie, cioè le vere
democrazie e i paesi che sono democrazie solo nel nome. Così, dopo la fine
della guerra fredda, l’estensione geografica di questa comunità di nazioni liberate
e democratiche si è espansa, come illustrato per esempio dall’ampliamento della
composizione della NATO e dell’Unione europea.
Questa comunità occidentale, di cui l’Unione Europea è parte
integrante, è costruita su valori e interessi comuni. I suoi risultati unici possono
essere riassunti in tre punti: sicurezza collettiva esterna e interna, con la
guerra tra i membri divenuta inimmaginabile, dunque con la pace perpetua tra
gli stati membri; democrazia, libertà, diversità e rispetto per l’autonomia e
l’identità degli altri; crescita economica, progresso sociale e capacità di
apprendere dalle crisi.
Ma, dopo che la democrazia liberale e la democrazia di
mercato hanno vinto con la fine della Guerra Fredda, il mondo è stato
flagellato da innumerevoli conflitti che hanno causato milioni e milioni di
vittime in quattro continenti e hanno portato a un numero incalcolabile delle cosiddette
crisi umanitarie. Così, nell’ultimo quarto di secolo l’azione umanitaria, i
soccorsi e la protezione internazionali sono diventati nodali nella politica
internazionale.
È emerso un vero e proprio “ordine umanitario
internazionale”. La protezione internazionale dei rifugiati richiesta dalla
Convenzione di Ginevra sulla protezione dei rifugiati è il pilastro più
importante di questo ordine umanitario, insieme al diritto internazionale
umanitario applicabile principalmente nel contesto dei conflitti armati. Un
terzo pilastro sono i diritti umani internazionali, in particolare la difesa
dei diritti umani individuali in Europa.
L’economia di mercato è un modello economico e sociale
liberale ed è superiore ai modelli controllati dallo stato, come il socialismo,
in termini sia di efficienza economica sia di libertà politica. Tuttavia,
l’economia di mercato richiede anche adeguate politiche governative e in
particolare politiche sociali efficaci. Le politiche sociali hanno molteplici
obiettivi: sostenere i perdenti nel processo competitivo, incoraggiare
l’accettazione politica del meccanismo di mercato e svolgere compiti comuni che
non possono essere affrontati attraverso l’iniziativa privata (servizio
pubblico).
Teorizzata da Ludwig Erhard, per molti anni ministro
dell’Economia nel gabinetto del cancelliere Konrad Adenauer, da Wilhelm Röpke,
un economista e filosofo sfuggito alla Germania di Hitler e vissuto in esilio a
Ginevra, e da Alfred Müller-Armack, economista e politico, accreditato di averne
coniato il termine, l’economia sociale di mercato non è solo un modello
economico ma anche politico e sociale. Una delle sue caratteristiche più
importanti è il riconoscimento che deve esserci un dibattito informato e aperto
sulla divisione dei compiti tra governi e mercati e l’economia privata.
Gli obiettivi generali dell’economia sociale di mercato sono
la crescita sostenuta e il progresso sociale ed economico per tutti, che
dovrebbero trarre vantaggio dall’espansione della produzione: l’attuale costante
aumento del divario tra reddito e ricchezza tra le élites e le classi inferiori
è un segno del malfunzionamento dell’economia di mercato ed è da correggere.
Infatti, proprio la “proletarizzazione” di ampie porzioni della popolazione
(l’odierna “marginalizzazione”) fu ciò che contribuì all’ascesa del comunismo e
del nazional-socialismo. L’economia sociale di mercato è stata progettata per
evitare la ripetizione di sviluppi simili. Grazie a essa le esportazioni e le
importazioni aumentano sia il benessere della comunità sia l’efficienza dell’economia
nazionale, ma la concorrenza spietata non è più ritenuta accettabile nel
commercio estero di quanto non lo sia tra le compagnie nazionali.
L’integrazione economica europea e globale sono benvenute,
ma c’è il rischio di un’eccessiva burocratizzazione delle organizzazioni internazionali.
I responsabili politici nazionali hanno bisogno di spazio sufficiente per
politiche responsabili che tengano conto delle condizioni specifiche con cui
devono confrontarsi.
L’importanza delle condizioni locali e dell’autonomia deve
essere riconosciuta all’interno di un quadro federalista.
Molte sono le questioni che l’economia di mercato, ma
soprattutto l’Europa che l’ha teorizzata, devono affrontare: la crisi
migratoria a livello europeo e mondiale; la Brexit e il problema delle
autonomie, come quella catalana; il successo dei demagoghi e dei dittatori;
l’euroscetticismo; gli attacchi contro i valori occidentali e contro la
democrazia liberale; il risveglio del nazionalismo, del localismo, del
nativismo, del razzismo; l’estremismo religioso; la crisi economica e
finanziaria e l’incertezza dei mercati; i difetti della globalizzazione; le
crescenti disuguaglianze; l’estremismo islamico; le crisi umanitarie; le
politiche e ideologie di Cina, Russia, Turchia, Iran, Arabia Saudita; la
necessità di una riforma del sistema monetario internazionale, compreso l’euro;
la crisi del multilateralismo; il riscaldamento globale e il deterioramento dell’ambiente;
la burocratizzazione dell’Europa; l’erosione e la crisi delle politiche
sociali; i problemi della disoccupazione; la questione degli investimenti e
della crescita; il potere dei monopoli mondiali; l’accelerazione tecnologica;
l’aumento del debito nazionale e internazionale; i problemi irrisolti della
finanza globale.
Non esiste un’unica semplice risposta al peso cumulativo
della lista di problemi sopra riportata. In passato, siamo stati in grado di
superare le crisi del tempo attraverso il dibattito, l’innovazione, gli sforzi
comuni e la solidarietà: i singoli paesi, l’Europa nel suo insieme, le altre
nazioni occidentali erano tutte parte degli sforzi comuni, parte della risposta.
Uno dei principali obiettivi dell’Unione europea, secondo il
trattato di Lisbona, è lo sviluppo di una “dinamica economia di mercato
sociale” con l’accento sulla crescita e sul progresso sociale, piuttosto che
sulla sola “disciplina” e austerità. Questo è nell’interesse di Italia,
Germania e di tutti i paesi membri. La conclusione centrale di questo articolo
è che dobbiamo rivitalizzare il concetto originale dell’economia sociale di mercato
e adattarlo alle condizioni del XXI secolo.
Come nel passato, il pessimismo, la paura o la convinzione
che non possiamo trovare la nostra via d’uscita dall’attuale confusione intellettuale,
morale e politica può portare a decisioni improvvide e devastanti.
Non esiste un’alternativa valida per noi, per i nostri figli
e i loro figli al modello democratico occidentale.
Questo è il modello di libertà e solidarietà che permette
d’imparare dalla storia, correggere gli errori del passato e trovare nuovi
modelli e soluzioni.