IL VENTO DELLA TRASFORMAZIONE NON PUÒ ESSERE FERMATO
Nato a San Giovanni in Persiceto il 26 gennaio 1931, lei ha trascorso la sua infanzia tra Malalbergo e San Venanzio (oggi Unione Reno Galliera, n.d.r.), in provincia di Bologna, e quel significante “albergo”, sinonimo di accoglienza, è diventato una costante nel suo itinerario imprenditoriale: accogliere la trasformazione.
Sarà lungo questo spirito che lei fonderà il Gruppo Zanhotel, con i quattro hotel Regina, Tre Vecchi (entrambi nel centro storico di Bologna), Europa e Zanhotel & Meeting Centergross.
Attualmente, è il più grande Gruppo della Città Metropolitana di Bologna a conduzione familiare bolognese. La sua avventura incomincia dopo la seconda guerra mondiale, quando il boom di vendite della Vespa Piaggio segna l’avvio della motorizzazione di massa, prim’ancora dell’avvento della futura icona dell’industria italiana, la Fiat 500.
Il giovane Adriano Zannini ha sete di riuscita e, armato di bicicletta, incomincia il suo viaggio per le strade di Bologna… I primi anni del servizio militare sono stati forse i più belli, perché prima di allora non avevo mai mangiato maccheroni conditi con più magro (carne macinata, nella tradizione bolognese, n.d.r.) che maccheroni. La mia famiglia, infatti, si era ingrandita da quando mio fratello si era sposato e viveva in casa con noi che avevamo molti debiti e nessun lavoro. Sin dall’adolescenza avevo creduto molto nel comunismo, perché i miei amici avevano l’opportunità di lavorare grazie all’intercessione del partito, garantendo per questa via il sostentamento alle loro famiglie. Dopo la guerra, però, incominciai a pormi alcune domande fino a quando, con l’avvento di Bettino Craxi alla fine degli anni settanta, restituii la tessera: ero diventato comunista perché il partito aveva tolto la terra ai padroni per darla a chi l’avrebbe coltivata, ma i paesi più ricchi del mondo, una volta diventati comunisti, erano poi tutti attraversati dalla disperazione della fame e degli stenti. C’era quindi qualcosa che non funzionava in quel sistema. Allora ho capito che la strada da percorrere per aiutare gli altri era una soltanto: produrre e dare il buon esempio, sostenendolo con decisione, anche quando qualche volta non corrisponde a quanto andiamo predicando.
Anziché denigrare chi fa, è più importante promuovere l’emulazione e lo spirito costruttivo.
Per alimentare il vento del “miracolo economico”, il paese aveva bisogno anche di bravi venditori… Quando sono tornato a Bologna, dopo l’esperienza militare, andavo in giro in bicicletta a cercare lavoro.
Un bel giorno mi venne a cercare a casa il venditore della Idros, una ditta di distribuzione di bevande e acque minerali, e incominciai a lavorare come aiutante. Scaricavo camion di casse di acqua minerale in spalla, portando il peso di due somari fin nelle scale più anguste delle cantine dei clienti. La mia aspirazione era però un’altra, pensavo vedendo i rappresentanti della Motta e della Ferrero che sfrecciavano sulle prime Vespe, in camicia bianca e con la ventiquattrore.
Sei anni più tardi la direzione ci comunicò che avrebbe ridotto della metà la nostra provvigione. Io fui l’unico a non accettare e per questo fui licenziato in tronco. Nonostante avessi ventisette anni e fossi sposato da appena quattro giorni, mi sentii sollevato, perché potevo rimettermi in gioco per guadagnare di più. Una mattina, mentre mi trovavo seduto in un bar nella zona di Croce di Casalecchio, mi venne incontro Norino Setti, il potente veditore dei gelati Motta, al quale dissi quasi sconsolato che ero stato licenziato. “Allora vieni con me!”, mi propose con il piglio di chi lancia una scommessa. Così andai a vendere con lui per almeno un anno.
In quegli anni incontrai Giampiero Segafredo, che mi sollecitò a diventare rappresentante della Flammer.
Era una piccola ditta di gelati di Forlì, negli anni in cui i marchi più noti erano Motta, Alemagna e poi Algida.
Proposi allora a Segafredo di vendere anche il caffè, perché non ero soddisfatto di quanto guadagnavo, ma lui glissò e io mi licenziai.
Avevo appena un milione e mezzo di lire in tasca, che investii subito nell’acquisto di un piccolo bar, indebitandomi per 12 milioni. In appena tre anni acquistai altri 11 bar e non presi mai una lira in meno del doppio, quando li vendevo.
Incomincia quindi l’avventura dell’impresa alberghiera dalla tipica gioviale e gentile accoglienza bolognese… Nel 1971 presi in affitto un immobile in via Indipendenza a Bologna, dove avviai l’attività alberghiera dell’Hotel Regina. Erano anni in cui si guadagnava molto, perché l’imprenditore non era tartassato dagli oneri che deve sopportare oggi. Più produzione equivaleva a più ricchezza per tutti e, di lì a poco, l’Italia sarebbe entrata nel G7 dei paesi con la ricchezza nazionale netta più grande del mondo.
Con tanta fatica, scalpello e mazzetta, sono riuscito ad aprire l’Hotel Europa, in via Boldrini 2. Ma la mia fortuna incominciò con l’incontro dell’allora presidente della Cooperativa Camst, Marco Minella, che mi propose l’acquisto dell’Hotel Tre Vecchi. Dapprima rifiutai, perché all’epoca guadagnavo già dai due hotel che gestivo. Tuttavia, quando m’invitò nel suo ufficio, qualche giorno più tardi, mi convinse all’acquisto senza che nemmeno potessi visitare l’hotel, perché i dipendenti erano in sciopero per impedirne la vendita.
Si fidavano della cooperativa, non di me. Quando il 4 aprile 1984 ne presi il possesso, invece, toccò a me pagare gli arretrati di quanto gli era dovuto, per convincerli delle mie intenzioni imprenditoriali.
Ciascuna volta lei ha avviato le sue imprese senza avere i capitali finanziari necessari per incominciare. Allora, qual è stata la sua carta vincente? Io sono diventato imprenditore perché prima ho incominciato a lavorare come venditore e il venditore vive di parola. Perciò io dovevo attenermi alla parola in modo assoluto, ancora di più con le banche, che sono diventate interlocutori importanti per investire nei miei progetti.
Un giorno del 1991, mentre leggevo il giornale nel giardino antistante all’Hotel Regina, in modo del tutto casuale, ascoltai due passanti che parlavano della vendita di un immobile fatiscente in via Boldrini. Subito raccolsi informazioni sulla proprietà, che era di una banca. Non disponevo di una grande cifra di danaro, ma fu la banca proprietaria, dopo avermi incontrato diverse volte, a sollecitare l’acquisto proponendomi un contratto di leasing. Il direttore non si tirò indietro nemmeno quando dovetti effettuare la ristrutturazione, che richiedeva l’impiego di ulteriori milioni. Dopo appena cinque anni, avevo acquisito la proprietà di quella che divenne la nuova sede dell’Hotel Europa, triplicando gli incassi e senza un euro di debito. E avevo vinto un’altra scommessa.
Qualche anno più tardi, nel 2004, incominciavo un’altra avventura, la costruzione di un nuovo grande hotel dedicato a congressi e convention: lo Zanhotel & Meeting Centergross. I miei figli non erano d’accordo e consultammo una consulente di Milano, esperta del settore congressuale, prima di procedere. La consulente valutò possibile edificare soltanto un albergo con poche decine di camere e qualche saletta, perché la zona di costruzione non era a Bologna e il Centergross era in fallimento. Io, invece, avevo un’idea diversa: un centro congressi con più di 150 camere.
Perciò, liquidai l’esosa parcella e mi adoperai per trovare ancora una volta banche che sostenessero il progetto.
Oggi, lo Zanhotel & Meeting Centergross è l’azienda del settore più importante della Città Metropolitana di Bologna a conduzione familiare che ciascuna settimana riempie anche molti altri alberghi della Bassa padana, poiché spesso ospita congressi con quasi 3000 persone.
Per giungere a questo risultato ho investito oltre 20 milioni di euro e sorrido quando penso a quella consulente che aveva pronosticato la costruzione di un piccolo albergo con appena 30 camere.
Le banche le hanno dato fiducia anche in tempi di crisi finanziaria. Perché? Le banche vendono soldi anche quando c’è la crisi, ma è necessario raccontare con chiarezza i progetti che abbiamo: io non ho mai mentito e sono sempre stato innamorato della puntualità e della precisione.
Nel 2010, per esempio, il proprietario dell’immobile dell’Hotel Regina si è deciso a vendermi la proprietà, dopo una lunga trattativa. In piena recessione economica, il direttore della banca con cui trattavo mi disse che ero matto a lanciarmi in un acquisto del valore di alcuni milioni di euro. Ma io ero deciso: “No, voi me li dovete dare, perché sapete che non vi sbagliate!”. Otto anni fa quell’importo non lo avrebbero dato nemmeno a Gianni Agnelli. E anche stavolta ho restituito tutto, compresa l’ulteriore somma occorsa per la ristrutturazione.
Per me è davvero importante che i miei ospiti si sentano accolti in ambienti belli e splendenti, perché il giudizio incomincia nei primi 50 metri. Non so bene dire perché le persone che ho incontrato abbiano riposto tanta fiducia in me, che sono sempre stato un debitore. Forse perché ho sempre rispettato gli impegni.
Quale consiglio può dare a chi incomincia la scommessa imprenditoriale oggi? Non saprei, perché nessuno mi ha mai dato consigli e ho preso ciascuna decisione in solitudine. Ho però ascoltato sempre tutti, perché ogni tanto è possibile ascoltare anche buoni consigli da coloro verso i quali non hai aspettative. Ai giovani, innanzitutto, consiglio di esercitarsi nella precisione e nella tenacia, perché non puoi arrenderti di fronte a niente.
Oggi, grazie a questo approccio, impiego nei miei hotel quasi duecento dipendenti.
Ho avuto soddisfazioni grandi, anche in questi ultimi mesi. Qualche giorno fa, mentre ero in Piazza VIII Agosto, ho notato che un passante mi osservava in silenzio e dopo 20 metri si è fermato. Gli ho chiesto allora, un po’ contrariato, di cosa avesse bisogno. E costui mi ha risposto chiedendo se ero proprio il signor Zannini. Quel signore era stato il direttore della Banca Operaia che aveva finanziato alcuni miei progetti e ora, dopo molti anni, era davanti a me che lacrimava dalla contentezza: “Io l’ho sempre seguita, anche dopo che la Banca è stata assorbita dalla Banca dell’Agricoltura”.
Chi progetta e costruisce porta un vento nuovo nella città e a me piace tanto la trasformazione. Se qualcuno mi dicesse di fare di più, non mi tirerei indietro perché ho sempre scommesso sull’avvenire.
Non è possibile fermare il vento della trasformazione.