TETRA PAK: SEI CENTRI SERVIZI NEL MONDO PER LA QUALITÀ DEL LAVORO E DELLA VITA
La AB Tetra Pak, fondata nel 1951 da Ruben Rausing a Lund,
in Svezia, come società controllata della Åkerlund & Rausing, in settembre
del 1952 consegna la prima macchina Tetra Pak per cartoni a forma tetraedrica
alla centrale del latte di Lund, Lundaortens Mejeriförening.
Una vera e propria rivoluzione per miliardi di persone in
tutto il mondo che, da allora, possono gustare alimenti liquidi a distanza di
mesi e di chilometri dai luoghi di produzione, con le stesse proprietà nutritive
e privi di agenti batterici.
Ma le innovazioni che Tetra Pak ha introdotto nella storia
del packaging sono state sempre accompagnate da un’attenzione costante
all’ambiente di lavoro e al coinvolgimento delle persone… L’azienda ha seguito
i tempi e si è trasformata con il contesto sociale, ma il suo patrimonio intellettuale
è molto forte e si è sempre espresso nell’attenzione alle persone e
all’ambiente, combinata con una ricerca incessante delle condizioni più
favorevoli per agevolare la creatività e l’engagement, il coinvolgimento. Fanno
parte della tradizione scandinava il lavoro in team, l’ascolto delle persone e
l’analisi del clima aziendale per cercare di capire le necessità che emergono
in un contesto di cambiamenti sempre più rapidi. Per questo i collaboratori
sono incoraggiati alla ricerca di percorsi di sviluppo, acquisendo le
competenze indispensabili per rimanere continuamente al passo con l’innovazione.
Ci troviamo di fronte a uno sviluppo in ambito digitale che
modifica e cambierà sempre più il mercato e il modo di lavorare, ma il mercato
del lavoro non sempre offre risorse e competenze in grado di confrontarsi con
avanzamenti tecnologici così repentini.
Quando l’approccio al lavoro non è più in termini di
dipendenza, ma di collaborazione e dell’esperienza derivante da quella
collaborazione, cosa diventa importante? Nel rapporto che l’azienda ha con i
propri collaboratori, oggi si parla sempre più di “employee experience”: l’esperienza
del collaboratore.
Quella che il marketing ha chiamato customer experience (il
modo in cui i clienti percepiscono l’insieme della loro interazione con
l’azienda) viene riportata all’interno, per analizzare l’employee experience. È
un approccio molto innovativo che le grandi aziende stanno adottando con
entusiasmo.
Ribalta la prospettiva: si cerca d’intendere ciò che un
collaboratore ha provato durante la selezione, quale è stata la sua esperienza
il primo giorno di lavoro o nel percorso di formazione interna che gli ha
consentito di svolgere al meglio il suo lavoro e di conseguenza riformulare i
servizi.
Lei è responsabile nella guida del processo globale dei
servizi HR (Human Resources) e collabora con i sei centri servizi HR dislocati
in varie aree geografiche (Svezia, Ungheria, America, Cina, Singapore, e Dubai).
In che modo riuscite a rispondere alle richieste dei vostri collaboratori, nonostante
siano 24.000? Attraverso i nostri centri servizi supportiamo le richieste da
parte dei collaboratori che s’interfacciano con un call center, nel caso non
trovino online le informazioni che condividiamo sul nostro portale. Abbiamo diversi
tipi di collaboratori che svolgono ruoli differenti, quindi noi dobbiamo essere
disponibili a dare il supporto e i servizi HR necessari.
E dobbiamo ascoltare, capire e intendere le loro necessità.
La funzione di un responsabile delle risorse umane (HRM, Human Resources
Manager) è quindi intesa come erogazione di servizi al “cliente interno”.
Può precisare in che senso? Forniamo i servizi necessari per
il raggiungimento degli obiettivi di business, risolvendo le difficoltà che
possono intervenire in ambito amministrativo, burocratico, di processo, di relazioni.
Uno dei compiti principali degli HRM è quello di agevolare l’attrazione e lo
sviluppo dei talenti.
Quando il business ha bisogno di un talento, l’azienda deve
già essere pronta ad attrarlo, attraverso la collaborazione con le università e
gli enti di ricerca o attraverso campagne di advertising. La funzione degli HRM
sta nel dare prova di portare un valore aggiunto in questo compito e il suo
valore aggiunto interviene se “respira” l’azienda e il suo business: se intende
che il business a due anni da adesso avrà bisogno di un certo tipo di risorse,
potrà attivarsi in anticipo.
Inoltre, deve accertarsi che il capitale intellettuale di
cui l’azienda si dota sia nelle condizioni migliori per contribuire al
business, che abbia le giuste competenze, che sia motivato e abbia buone
opportunità di apprendimento e di miglioramento della propria performance.
Oggi i collaboratori contribuiscono alle attività
progettuali dell’azienda e gli HRM hanno il compito di ricercare le competenze
necessarie alla loro riuscita. Essere attrattivi per queste risorse significa
proporre percorsi di carriera e ambienti di lavoro molto differenti da quelli
ritenuti interessanti solo qualche anno fa. Le tecnologie stanno giocando un
ruolo fondamentale per l’attrazione dei talenti, i quali, prima di accogliere
un’offerta di lavoro, si chiedono quanto sia interessante investire il proprio
tempo e il proprio percorso in quell’azienda.
Il livello di frustrazione che le nuove generazioni provano
nei confronti di sistemi e procedure desueti è molto alto, c’è scarsa
tolleranza. A questo si aggiunga che la fidelizzazione all’azienda è molto più
difficile: se un talento trova un’opportunità migliore dal punto di vista
economico o di sviluppo di carriera o di crescita, si sposta più facilmente.
Quindi, la mobilità è più alta, il mercato è globale e le aziende spesso
competono alla ricerca degli stessi talenti che scarseggiano sul mercato del
lavoro.
Quali sono le implicazioni per l’azienda di questa
mobilità continua e dell’impossibilità di far leva sull’identificazione? Le
implicazioni sono tante, non a caso s’inizia a parlare di fidelizzazione del
collaboratore, oltre che del cliente, e si cerca d’individuare qual è il valore
aggiunto, cosa frena il collaboratore dall’orientarsi verso altre realtà. Si
parla molto di work-life balance (equilibrio vita-lavoro) e di politiche
che s’indirizzano ai “moments that matters”, momenti particolarmente significativi
nei quali un datore di lavoro costruisce situazioni che rendono preferenziale
il proprio ambiente lavorativo rispetto ad altri.
Sul nostro territorio, un esempio è l’asilo nido per i figli
dei dipendenti, che ha dato notevoli benefici ai nostri collaboratori e alle
loro famiglie. A parità di livelli retributivi e sviluppo di carriera,
l’offerta di un ventaglio di opzioni che vada più vicino possibile alle
esigenze individuali rappresenta un plus. La bellezza del capitale umano
è che ciascuna persona può dare un contributo differente al successo dell’azienda,
ma al tempo stesso ha necessità diverse.
Certo, l’azienda non può essere più considerata soltanto
come proprietà della famiglia che l’ha fondata o degli azionisti che ne
detengono le quote: anche l’operaio che non partecipa al rischio in termini finanziari
può assumere il rischio di riuscita, se intende il progetto e il programma nella
globalità dell’esperienza, anziché considerare il proprio compito come isolato
dal resto. Chi avverte la scommessa in cui un’azienda è impegnata trova
l’entusiasmo per dare il proprio contributo.