L’ENERGIA DEI DATI PER LA RIVOLUZIONE DEI PROCESSI INDUSTRIALI
Nata a Modena nel novembre 2013 come start-up innovativa,
Energy Way sta per diventare il riferimento italiano della gestione dei dati,
il data-management.
Molti giovani talenti – che avevano preso vie di fuga
all’estero o che avevano avuto offerte allettanti da Google e altri colossi
dell’IT – lavorano con voi: sono già trentatré nell’arco di cinque anni e, nonostante
la loro età (dai 23 ai 36 anni), hanno la chance di divenire precursori in una
materia che sta nascendo e interlocutori di amministratori delegati di grandi
industrie per sviluppare progetti di intervento in direzione della qualità, a partire
dall’analisi dei dati riferiti a vari tipi di processo. Può fare qualche
esempio? I nostri algoritmi di intelligenza artificiale forniscono ad
aziende del distretto ceramico il controllo di performance di impianti e
specifici programmi di manutenzione predittiva.
Per una PMI di stampaggio abbiamo perfezionato il processo
produttivo ottimizzando la programmazione in sequenza delle sue presse
attraverso i nostri algoritmi di scheduling. Grazie ai modelli
matematici evoluti di Baseline Dinamica, diversi supermercati multisito hanno
raggiunto significativi valori di risparmio energetico in un anno. Gli esempi
sono tanti, anche perché siamo in una provincia con una tale ricchezza e varietà
di aziende che possiamo spaziare dai processi di produzione a quelli di
marketing. Per esempio, per una banca del territorio, abbiamo analizzato i
processi per capire in che modo coinvolgere maggiormente i clienti e
fidelizzarli. Per altre società analizziamo le piattaforme social per offrire
contenuti personalizzati ai loro followers, partendo dalle correlazioni deboli
fra i dati raccolti.
In altre città d’Italia, come Milano, ci spostiamo
nell’ambito della finanza.
Può dire qualcosa intorno alle correlazioni deboli fra i
dati che raccogliete nella prima fase del vostro lavoro? Le correlazioni
forti sono le informazioni note a tutti e sono date per scontate: se in un
locale entra una ragazza stile Barbie, tutti la guardano perché corrisponde a
un canone di bellezza molto diffuso. Questa è una correlazione forte. Ma se un
ragazzo è attratto da una ragazza che non ha nulla di questo stereotipo è
perché in lui agiscono correlazioni deboli come lo charme, il modo di camminare
o di parlare e tante altre cose che non sono di definizione immediata, anzi, forse
non si possono definire in nessun modo. Sono correlazioni deboli che, però,
insieme, possono avere un effetto maggiore di quelle forti e la loro analisi
racconta molta più verità di una ragazza, che non la semplice informazione
sulle sue caratteristiche estetiche.
Questo accade anche nei processi industriali.
Per esempio, chi governa un forno in un’azienda ceramica e
trova un difetto sulle piastrelle pensa subito a un’anomalia della curva di
cottura del forno, ma questa è la correlazione forte. Se invece indaghiamo le
tante correlazioni deboli che sfuggono a una valutazione immediata – la
tipologia del quarzo, cioè il materiale di cui è costituita la piastrella, il
raffreddamento, la pressatura e tanti altri aspetti –, troviamo ciò che
veramente ha causato quel difetto e possiamo intervenire scientificamente,
migliorando il processo.
La matematica dà strumenti di analisi dei processi nella
loro particolarità, anziché secondo una presunta configurazione standard. La
realtà è distantissima dallo stardard, che è sempre ideale. Allora, voi analizzate
i processi per intenderne la complessità… Siamo arrivati a questo approccio
nell’industria perché, se una complessità viene gestita attraverso le correlazioni
forti, si arriva a un limite di conoscenza, ovvero ci si ferma a un dato
talmente autoreferenziale, per cui l’unica soluzione per migliorare il processo
è sostituire il pezzo o l’attrezzatura che presenta un problema con altri di
nuova generazione. Così, la nuova tecnologia farà aumentare il rendimento del
processo di due o tre punti percentuali. Ma il nostro sogno è quello di
lasciare pressoché invariato il processo – che sia fisico, softwaristico o
transazionale – e studiare, grazie alle correlazioni deboli, che cosa occorre
ottimizzare, quindi dare all’azienda strumenti di regolazione e di controllo
del processo, anziché esortarla a cambiare questo o quell’altro.
In un’era in cui piovono gli slogan che invitano al
cambiamento continuo, voi proponete un approccio intellettuale ai problemi:
l’analisi e il ragionamento per la valorizzazione della particolarità di ciascuna
azienda.
Siamo giovani, abbiamo un approccio innovativo, ma il nostro
patrimonio culturale è quello dei nostri nonni: se si rompe qualcosa, cerca di
aggiustarlo, così capisci anche come migliorarlo.
Rispetto ai nostri nonni abbiamo il vantaggio che, per
capire come sono costruiti gli oggetti, non dobbiamo più accontentarci del
microscopio a lenti, perché intanto è stato inventato quello elettronico: i
nostri strumenti matematici ci portano proprio dentro la materia, quindi
abbiamo un’altra capacità d’intendere le questioni.
Energy Way inizialmente si dedicava in particolare al
risparmio energetico, adesso è la “via dell’energia” in molti altri ambiti? Il
nostro slogan è “The energy of data”, l’energia dei dati, e comunque rimane il
vantaggio che un’industria può trarre dal punto di vista energetico: se adotta
il nostro approccio, in cui non esortiamo a cambiare né a investire a tutti i
costi, ma a fare un investimento intellettuale, questo porta anche a un
notevole abbattimento degli sprechi di energia. O un’azienda fa un investimento
intellettuale oppure deve rincorrere la tecnologia, aspettando sempre nuove
proposte dal mercato. Ma così subisce i cambiamenti, non governa i propri
processi.
L’intelligenza artificiale, che oggi è spesso considerata in
modo distopico – le macchine che sostituiscono l’uomo e poi lo superano –, per
noi è uno strumento, un microscopio elettronico che rafforza l’azione dell’uomo,
perché rimane sempre lui a governare i processi. Per questo, nelle aziende, coinvolgiamo
prima di tutto la persona che governa i processi e che, quindi, ha la mappa dei
dati e riesce a interpretarli.
Voi avete brevettato il Quadro di dati, un’invenzione
matematica e grafica per l’analisi… In un Quadro di Dati, le relazioni fra
variabili si possono distinguere per colore e dimensione: è una
rappresentazione visiva e intuitiva della natura del processo stesso. Quando si
presentano tanti dati legati a un processo, la rappresentazione dev’essere eloquente
e immediata per chi lo governa. Tre persone del nostro team, che si occupano
dell’interazione fra la matematica e l’utente, hanno inventato questo Quadro,
una proiezione cartesiana che rappresenta con i colori primari le varie
tipologie di correlazioni che possono intercorrere fra i dati: lineari dirette,
lineari inverse e non lineari, quelle che il cervello non riesce a percepire,
perché è abituato a ragionare su due o tre variabili di correlazioni forti. Noi,
invece, diamo l’opportunità di visualizzare in modo colorato e intuitivo come
sono relazionati i dati fra loro e fare delle simulazioni, per capire come
reagisce il processo se spostiamo una o più variabili di X.
Il nostro è un lavoro che richiede abilità sartoriali,
perché ciascuna azienda ha la sua peculiarità. Anche se questo può sembrare
scomodo, perché non consente di utilizzare un’unica invenzione in tutte le
aziende, nemmeno dello stesso settore, in realtà, si è trasformato in un grande
vantaggio per noi. Tant’è che alcuni giganti dell’informatica ci stanno
chiedendo d’intervenire come attivatori di alcuni loro strumenti con
caratteristiche tecniche troppo complicate per essere utilizzati dalle nostre
aziende, così differenti una dall’altra.
La sartorialità aiuta a valorizzare la particolarità,
negli strumenti standard le nostre aziende finiscono per trovarsi imbrigliate… In
matematica si parla di outlier, che sono gli scarti, gaussianamente parlando,
è l’insieme dei dati scartati.
Gauss nella sua campana tagliava un 5 per cento delle cose e
tutto questo si chiamava outlier. In realtà, grazie all’analisi dei
dati, lo scarto diventa la particolarità e, con la correlazione debole, ci fa
andare oltre. Con Gauss, invece, non si va da nessuna parte: una volta che si è
arrivati a calcolare tutte le probabilità, che cosa si capisce del processo da
analizzare? La matematica di Gauss oggi non ha più senso, perché si cerca la
valorizzazione degli scarti: gli scarti fanno la differenza in un mondo in cui
bisogna standardizzare tutto.
Come leggiamo nel Vangelo, “la pietra scartata dal
costruttore è diventata testata d’angolo”.
Quando sono invitato a parlare ai ragazzi delle scuole,
faccio notare che il mio curriculum – laurea in ingegneria, dottorato,
insegnamento come ricercatore universitario, e così via – fa parte delle
correlazioni forti, ma la riuscita come inventore e imprenditore oggi deriva
invece al 90 per cento da tutte le mie correlazioni deboli: tutte le intuizioni
che ho avuto derivano dalla musica classica, che ascoltavo fin da bambino,
dall’amore per la letteratura, dalla pratica della pallavolo e da tante altre
che tendiamo a considerare secondarie.
Per esempio, il Quadro di Dati ha una sua base nelle mie
frequentazioni musicali: nella musica, ciascuna nota dev’essere coerente con
quella successiva sia in senso orizzontale, se sta suonando un unico strumento,
sia in senso verticale, se sta suonando un’orchestra. Questa coerenza è
matematica, ma le correlazioni deboli sono le assonanze tra un violino e un
altro che, messe insieme in modo verticale, danno un effetto straordinario.
E la
realtà di un’azienda non è come quella di un’orchestra, dove gli strumenti
devono suonare accordandosi fra loro?