FACENDO, QUARANT’ANNI DI SODDISFAZIONI
“Oggi festeggiamo e vogliamo ringraziare tutti: collaboratori,
clienti, fornitori, amici ed estimatori che ci hanno sostenuto, spronato e che
ci trovano ancora fortemente determinati nel continuare il nostro cammino
affrontando nuove sfide per raggiungere ambiziosi traguardi”.
Con queste parole lei ha tagliato il nastro della
celebrazione del quarantennale di Sefa Holding Group Spa, il 10 aprile 2018. In
questi anni avete condotto la vostra impresa con l’esigenza incessante di
qualificare man mano quanto avete acquisito in termini di materiali
siderurgici, come gli acciai per utensili e stampi, quelli da costruzione e
quelli bonificati per altri settori. Ma avete puntato a qualificare anche la
professionalità nelle lavorazioni, in particolare nei servizi di taglio,
tradizionale e con tecnologia water-jet, di squadratura e di spianatura con la
divisione S.E.F.A. Machining Center, nel servizio di controllo a ultrasuoni e
nella procedura per la certificazione dei materiali grezzi. Siete riusciti a
garantire l’integrità strutturale delle vostre forniture nei diversi settori
dell’industria, soprattutto manifatturiera, fino ad attivare il primo servizio
in Italia di ricerca on line dei pezzi in stock. Ciascun elemento del vostro
viaggio è entrato nella parola con gli interlocutori della vostra scommessa imprenditoriale,
che oggi è giunta a costituire una nuova azienda, in società con altre imprese
del manifatturiero, come 3D Metal, specializzata nei processi di additive
manufacturing.
A proposito del titolo di questo numero del giornale, Il
tempo pragmatico, nei vostri quarant’anni di attività avete dato prova che
il tempo pragmatico produce i suoi frutti e non finisce, ma qualifica.
Spesso, invece, il tempo è inteso come una linea che ha
un inizio e una fine, confondendo la conclusione e il raggiungimento di una meta
con la fine. Ma il compimento non è la fine di qualcosa.
Noi constatiamo che l’itinerario imprenditoriale esige il
tempo che non finisce e, facendo, ciascuno raccoglie i frutti del fare. Qual è
la sua testimonianza a questo proposito? L’impresa, intesa come pratica quotidiana,
non può finire perché il fare non finisce. Lei dice “facendo”.
Facendo, implica non il già fatto, che indica qualcosa di
finito, che quindi non è in atto. Facendo, in modo incessante, abbiamo compiuto
quarant’anni.
Per giungere a questo traguardo, abbiamo investito in un
continuo aggiornamento di tecnologie e professionalità, in un continuo ascolto
e in una ricerca costante della qualità.
E, a ogni scalino che salivamo, abbiamo trovato una piccola
parte di soddisfazione e la gioia per le mete che abbiamo raggiunto di volta in
volta e poi superato. In ciascun giorno di questi quarant’anni, abbiamo colto
le opportunità che gli incontri e perfino i difficili periodi economici suggerivano
a un ascolto attento, sempre con un approccio costruttivo e umile. Siamo
cresciuti insieme, con i nostri collaboratori, i nostri fornitori e i nostri
clienti, con cui sono nate amicizie e alleanze che proseguono tuttora. Anche
con i lettori della “Città del secondo rinascimento” siamo felici di condividere
la nostra festa e la nostra gioia.
Sono stati quarant’anni di avventura, che nessuno di noi
avrebbe potuto immaginare. Con questo spirito costruttivo non ci stanchiamo di
avviare progetti nuovi e nuove scommesse, qualificando quanto stiamo facendo, non
soltanto per stare meglio, ma per lavorare in modo più efficace, per maturare nuove
competenze e, quindi, per trovare la salute fisica e intellettuale necessarie
per proseguire nel cammino. Perché, se ciascuno lavora in un ambiente in cui
può crescere e s’impegna a dare il massimo, lavorare non pesa, anzi, è sempre
un’occasione per gioire e rinnovare l’entusiasmo che occorre per trarre
profitto dalla giornata.
L’impresa viene intesa – spesso da chi non assume il
rischio e resta a guardare dall’altra sponda – come finalizzata al profitto.
Senza profitto l’azienda non avrebbe futuro, ma il profitto non può essere un
fine: questa finalizzazione in molti casi ha ripercussioni che minano il futuro
dell’azienda, fino a diventare un luogo in cui le cose che occorre fare pesano…
Le imprese – soprattutto quelle manifatturiere che migliorano le condizioni
di vita di ciascuno con le loro produzioni – costituiscono la base
dell’avanzamento culturale dell’individuo. Il profitto è un effetto di questo.
Nell’impresa ciascun individuo trova le condizioni per mettersi in gioco e
migliorare. Per questa via la città cresce e la società si arricchisce.
Però, questo può avvenire soltanto se l’impresa, e quindi la
sua arte del fare e la sua arte del costruire, sono intese nelle istituzioni e
fra i cittadini come un valore.
È essenziale che le aziende investano in modo costante nella
qualificazione della produzione e dei collaboratori. Nel 1997, per esempio, noi
siamo stati fra i primi a dotarci di un magazzino robotizzato per barre (unico
fra i distributori di prodotti siderurgici), che all’epoca ha richiesto un
investimento di un miliardo e 700 milioni, quando a Bologna molti non sapevano
neanche cosa fosse.
Questo investimento aveva lo scopo di migliorare
l’efficienza dell’azienda e diminuire la fatica dei nostri operai, che
lavoravano come facchini. Invece, oggi questo lavoro è diventato un mestiere
che richiede una specifica competenza tecnica e grande uso d’intelligenza
gestionale, integrata alla capacità manuale.
Del resto, il nostro lavoro esige un’elevata professionalità
nelle procedure: maneggiamo materiale ferroso di alta qualità e prodotti
siderurgici che hanno un valore molto elevato, per cui dobbiamo fare attenzione
a non scambiare una materia prima con un’altra, perché questo produrrebbe danni
di rilievo nell’impiego finale. Trasmettere questa cultura dei materiali, a
cominciare dagli addetti all’ufficio ordini, esige sforzo e lucidità costanti,
perché oggi la catena di montaggio non funziona più senza le capacità intellettuali
degli uomini che vi lavorano. Il nostro è ancora un lavoro aperto
all’iniziativa del singolo, esige il cervello, la cultura, la parola, perché è
necessario interloquire con gli altri collaboratori. Questa catena di montaggio
esige l’automatismo della parola e lo sforzo intellettuale di ciascun
lavoratore, e si traduce in profitto non limitabile soltanto all’azienda.
Allora, questo modo d’intervenire coinvolge e favorisce le
capacità che occorrono per fare e per proporre cose nuove che non sono riducibili
a un nuovo servizio aziendale: il prodotto che vendiamo non è più soltanto un
pezzo di ferro, ma è una materia che vive, perché lì c’è l’intelligenza e
l’impegno di migliaia di tecnici.
Tramite quell’acciaio impiegato per la costruzione dello
stampo, tramite il consiglio di chi in questo lavoro trova anche la gioia di
fare, perché matura la sua professionalità, saranno prodotti il cofano di una
macchina, il cruscotto di una Vespa, il tappo di una bottiglia, un nuovo
modello dello smartphone, una siringa o il motore di un’auto e tanti altri
oggetti che quotidianamente migliorano la nostra vita. Io ho vissuto gli anni
in cui si andava a prendere l’acqua alla fontana, oggi invece è uso comune dire
che una cosa è facile “come bere un bicchiere d’acqua” perché abbiamo a portata
di mano la bottiglia di plastica, dovunque andiamo. Ma occorre non dimenticare
com’è nata quest’opportunità e gli sforzi degli ultimi sessant’anni. Tutto
questo non produce soltanto profitto, ma anche la gioia di dare un contributo
alla civiltà e la gioia di dire: “Anch’io ho contribuito a questo avanzamento”.
Ecco perché è riduttivo pensare che l’impresa sia
finalizzata agli utili, che arrivano soltanto per effetto dell’impegno profuso
e, quand’anche fossero inferiori alle aspettative, la professionalità acquisita
sarebbe tale da consentirci di capire cosa impedisce il raggiungimento dei
profitti auspicati.
Voi avete maturato un processo di gestione della
produzione specifico della S.E.F.A. Acciai. Cosa implica questo processo? Seguiamo
tutto il ciclo dell’acciaio grezzo, dall’ordine fino alla fattura ossia lo
stato di avanzamento dei lavori. Ci stiamo organizzando in modo che, in
qualsiasi momento il cliente lo richieda, possiamo avere la rintracciabilità
del pezzo venduto – procedura molto rara nel nostro settore – determinando il
momento esatto di ciascuna fase della sua lavorazione.
Noi vendiamo quel prodotto siderurgico lavorato secondo le
specifiche del nostro cliente fornitore, che a sua volta deve rispondere alle
richieste specifiche del proprio cliente. A noi è richiesto, quindi, uno sforzo
ulteriore, per questo è necessario che i nostri collaboratori abbiano acquisito
la cultura della materia e degli specifici processi che richiede la sua
lavorazione.
È un processo molto delicato e, nel caso della consociata
Titanium International Group, attiva anche nel settore aeronautico, il processo
di controllo della certificazione è ancora più estremo, perché comporta una responsabilità
che va oltre l’aspetto commerciale e mette in gioco la vita di altre persone
anche per il minimo errore. Se il materiale impiegato non è quello giusto,
infatti, un aereo può cadere.
Ecco perché possiamo dire che le nostre azioni quotidiane
implicano la responsabilità di ciascuno verso la comunità.