BASTA CON I COSTI D'APPARATO
Mi preme innanzi tutto ringraziare per l’invito ricevuto a partecipare a questa serata che mi ha dato motivo per alcune riflessioni. Preciso che fino ad alcuni mesi fa svolgevo la mia attività di medico in una unità cardioangiologica distrettuale dell’Azienda USL di Bologna, tutt’ora svolgo la mia attività come angiologo e seguo mediamente settemila pazienti vasculopatici all’anno, anche come consulente presso la casa di cura “Villa Torri” accreditata dalla Regione per la Cardiochirurgia. Ebbene, la terapia chelante – così opportunamente presentata stasera, a mio avviso appare estremamente interessante perché in alcuni arteriopatici, per così dire inveterati, estremamente sofferenti, per i quali non si riesce ad ottenere più alcun miglioramento, salvo forse con il trattamento iperbarico al quale mi capita di ricorrere e che dà anche buoni risultati – pare essere di assoluto interesse e va presa in seria considerazione, almeno da parte del sottoscritto, e vedere nel tempo che tipi di risultati ci dà. Naturalmente mi riferisco proprio a quei soggetti per i quali i protocolli ed i percorsi terapeutici già validati non danno più alcun risultato significativo.
La seconda considerazione, dato che mi occupo anche di politiche sanitarie, è inerente i costi della Sanità, dei quali ha qui parlato il professor Pontiggia e mi preme fare una breve precisazione: i costi sanitari non sono solo costi di assistenza diretta al paziente e costi dei farmaci, ma sono in questo momento soprattutto costi di “apparato”. Ad esempio, per quello che attiene al bilancio della Sanità nella nostra regione, vengono utilizzati diecimila miliardi l’anno circa dei quali i cittadini non possono certo dire di usufruire, perché in realtà servono in gran parte a mantenere tutte quelle strutture, ormai megagalattiche, che definisco di “apparato” e che non hanno assolutamente nessuna ricaduta nella funzione di tipo assistenziale. Infine, e concludo, vengo all’ultima considerazione. Giudico estremamente immorale, se mi è concesso, che oggi si taglino i farmaci a soggetti che non si sono certo procurati la malattia da soli, visto che in tanti incorrono in mali anche inesorabili senza propria colpa e soprattutto senza propria consapevolezza e al contrario – e lo dico come cultore di una attività clinica che si occupa di cardiopatici e vasculopatici – si consenta ancora in Italia una devastante mancanza di cultura sociosanitaria e di informazione, ad esempio, nei confronti del fumo di tabacco, per il quale ancor oggi le iniziative appaiono tardive ed insufficienti. So bene che qui qualcuno mi osserva con scetticismo pensando: “Ecco, la solita crociata contro il fumo”. Ma se coloro che non sono medici vedessero esattamente che tipo di danno a livello vascolare, e non solo, provoca il fumo, forse riuscirebbero a capire qual è il concetto che cerco di esprimere. Come esempio correlato diverso ma più diretto, mi chiedo: è etico oggi che i tossicodipendenti, che consapevolmente si procurano da se stessi danni seri acuti e cronici alla salute, usufruiscano di terapie ed indagini cliniche gratuitamente e periodicamente, mentre al contempo si negano cure ed esami gratuiti a tutti coloro che invece si sono ammalati senza propria colpa e comunque senza consapevolezza? E dunque, allo stesso modo, è etico oggi consentire un dispendio – parlo soprattutto degli esami, delle energie e delle risorse nel mio settore – laddove è mancata fino ad adesso ed è tuttora insufficiente una seria campagna di disaffezione vera e propria nei confronti del fumo di tabacco? Perché noi sappiamo benissimo, e il professor Pontiggia certamente sa meglio di me, quanto il fumo di sigaretta sia oggi uno degli elementi devastanti nel determinare elevati indici di morbilità e mortalità nel nostro paese.
Tuttavia, circa i toni catastrofici espressi stasera, sarei comunque un po’ più prudente e positivo. Mi piace ricordare che gli italiani sono una delle popolazioni più longeve al mondo, secondi solo ai giapponesi, ed i bolognesi in particolare sono secondi solo ai genovesi: nonostante i nostri difetti, la nostra alimentazione ipercalorica e tutto il resto, dunque, abbiamo un’aspettativa di vita non particolarmente drammatica. Il concetto da affinare tuttavia è che dobbiamo prevenire non tanto per vivere più a lungo, ma per vivere più a lungo meglio.