IL CAPITALE SALUTE
Jillie Collings, autrice del libro Il cuore senza chirurgia, non è soltanto una giornalista, perché in questo libro svolge il compito d’insegnante e di educatrice in materia di salvaguardia della salute. L’autrice c’indica alcune nostre incongruenze a tale proposito: la prima riguarda la serie d’informazioni che noi richiediamo a parecchie fonti, spesso opposte, prima d’investire il nostro denaro – la nostra ricchezza – e, contrariamente, il senso di fiducia fatalistica di cui investiamo il medico o i medici cui affidiamo la nostra salute o la guarigione da una malattia. E pensare – scrive la Collings – che ricchezza e salute sono inestricabilmente connesse, perché la moderna cura della salute è divenuta un affare dispendiosissimo.
L’altra incongruenza è che le cure della salute ci vengono proposte a una velocità considerevole, mentre nessuna istituzione riesce a incorporarle con altrettanta velocità, tant’è vero che alcune nuove procedure chirurgiche sono messe in atto in un clima di urgenza che dovrebbe giustificare l’assenza di esami e di studi clinici atti a testarne, prima, l’efficacia: non c’è il tempo di verificare, si opta per il male minore, ci si fida. Chi se la sente di fidarsi ciecamente quando deve investire il capitale in denaro? Perché, invece, il “capitale salute” non comporta almeno altrettanta attenzione e cautela? La salute non è la nostra più grande ricchezza? Perché, poi, liquidiamo come se fosse fatalistico qualsiasi risultato? In sintesi, si tratta di fiducia fatalistica. Sarebbe forse il caso di meditare su ciò, e la lettura di questo libro potrebbe aiutarci, soprattutto a sfatare alcuni luoghi comuni riguardanti, per esempio, le cosiddette “malattie cardiache”, che sono, per la maggior parte, problemi circolatori facilitati – per non dire determinati – da un errato stile di vita. L’autrice, con grande semplicità, si pone dalla parte dei sofferenti di problemi circolatori, sia palesi sia non ancora manifesti, e illustra quelli che sono i vantaggi e le procedure di terapie non invasive, soprattutto della terapia chelante con EDTA di magnesio, che rimuove la placca arteriosa, riaprendo le linee di rifornimento a tutto l’organismo. Non può illustrarne gli svantaggi, perché non risultano essercene.
Molto interessante, inoltre, è anche la descrizione dell’ossigeno-terapia, una terapia di rinforzo alla terapia chelante, per pazienti gravemente compromessi, che mira a stimolare gli enzimi coinvolti nell’eliminazione dei radicali liberi, rivitalizzando, quindi, i tessuti appena ripuliti dalla terapia chelante.
Oltre ai benefici che si possono acquisire nell’immediato, già dopo pochi trattamenti di terapia chelante, occorre essere leali con se stessi, e chiederci se è proprio vero che pretendiamo la salute. Sembrerebbe, ovviamente, d’obbligo una risposta affermativa, eppure non è così: la psicanalisi c’illustra, attraverso i casi clinici di Freud, per esempio, quanto ciascuno sia legato alle proprie sofferenze e le protegga e preservi più o meno inconsciamente dal “rischio di guarigione”. Mi è capitato di ascoltare le incertezze manifestate da una persona anziana, che avrebbe desiderato provare una terapia nuova per il suo cuore sofferente, appunto, la terapia chelante, ma non osava “disgustare” il proprio medico curante. Mi aveva incuriosita l’uso, da parte sua, di questo termine “disgustare”, e avevo chiesto qualche ragguaglio: mi disse che aveva grande fiducia nel suo medico di famiglia, che se non gli faceva fare altre cure, voleva dire che “sapeva il fatto suo”, che forse per lui non avrebbero funzionato. Mi sembrò come se avesse già accettato la sua condanna a morte, avvenuta poi un paio di mesi dopo.
Può esserci qualcosa di vero anche nella scrittura del romanziere Charles Yale Harrison, che nel secolo scorso scriveva: “La malattia rappresenta talvolta un pretesto per affidarsi completamente agli altri. Si ritorna, inconsciamente, ai giorni dell’infanzia, in cui la vita non presentava ansietà o preoccupazioni. Le malattie gravi non sono soltanto una disgrazia; talvolta possono rappresentare una pericolosa forma di evasione, giacché ci spogliano da ogni senso del dovere. Una lunga degenza a letto può diventare un’abitudine, e il desiderio latente di ritornare ai giorni della fanciullezza – durante i quali gli altri provvedevano a noi – conduce sovente a una completa e inguaribile invalidità”.
Armando Verdiglione scrive che “La malattia è il contraccolpo e il contrappasso dell’impossibile assunzione del fantasma materno”.
Per ciascuno di noi è molto difficile notare, per dir così, il proprio fantasma materno, ma c’è una via facilissima per accorgersene: accade ogni volta che si segue una condotta, o s’intraprende una serie di cose, a partire dalla paura o dall’orgoglio, dal pentimento o dalla modestia. Chi è più raffinato nella ricerca può accorgersi di essere mosso dall’arroganza (ma non è facile ammetterlo).
Per concludere, occorre che per ciascuno di noi la malattia non sia un compromesso fantasmatico che accettiamo e che porta alle estreme conseguenze, a un’estrema rappresentazione (infarto o ictus, ma anche cancro o Aids), prima di accorgerci che le cose sono estreme, e che sono estreme perché la parola è originaria. I sintomi sono elementi di analisi, soprattutto nella parola, e a loro volta indicano quali sono i veri elementi che portano alla rappresentazione estrema. Sono questi elementi che dovrebbero meritare più attenzione e più ascolto. Il libro di Jillie Collings mostra come non si tratti di trovare una soluzione facile e veloce, ma come invece, per giungere alla salute, occorra prendere in considerazione molteplici aspetti. Buona lettura!