IL CONSORZIO LAMBRUSCO COMPIE CINQUANT'ANNI CON UN NUOVO PRESIDENTE
Lei è stato eletto presidente del Consorzio Tutela del
Lambrusco di Modena e del Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi
dopo Pierluigi Sciolette, presidente storico, che è stato in carica per
ventiquattro anni. Oltre a ricoprire il ruolo di vice presidente di Cantine Riunite
& CIV dal 2015 e di vice presidente di GIV Gruppo Italiano Vini, lei è
imprenditore agricolo da trentotto anni. Quali sono gli aspetti della sua
esperienza che porta con sé in questa nuova avventura? L’esperienza da
dirigente cooperativo mi ha insegnato che, per svolgere bene il proprio ruolo
al vertice, occorre sempre continuare a tenere conto della base, che sia
costituita dai soci conferenti o dai soci fondatori che hanno dato vita a
questo Consorzio cinquant’anni fa. Ecco perché, nel mio nuovo incarico, mi
prefiggo l’obiettivo di far sì che i produttori e tutta la filiera – dai
trasformatori agli imbottigliatori – abbiano una remunerazione che consenta
loro di ottenere quei benefici socio-economici cui il territorio modenese ci ha
resi avvezzi.
E, nella sua esperienza di agricoltore, quanto conta la
cura? Pensiamo alla dedizione che richiedono alcune colture...
Senza nulla togliere alle coltivazioni estensive, quando
vediamo un terreno coltivato a vigneti, notiamo subito il risultato di una cura
che rende i paesaggi molto simili a quelli che ammiriamo nelle opere d’arte. I
filari ordinati che si estendono sulle colline di Castelvetro o sulle nostre
pianure sono frutto di un’arte antica: già duemila anni fa, il poeta Virgilio
testimoniava la presenza della Vitis Labrusca, un vitigno selvatico che
produceva frutti dal gusto aspro. Perché sono nati i vigneti nei nostri
territori? Perché l’uva è sempre stata l’ultimo prodotto di raccolta
dell’annata. Era anche funzionale a un’economia di tipo familiare: un tempo, la
raccolta partiva con le ciliegie, proseguiva con le susine e terminava con
l’uva.
Ricordo che il Lambrusco in alcuni anni è stato vendemmiato
anche dopo i primi di novembre. E una qualità come il Grasparossa, per esempio,
essendo un prodotto a grappolo spargolo, non ha problemi di marcescenza.
Oggi le esigenze sono cambiate, serve un prodotto più fresco
e quindi la vendemmia si anticipa. Ma è cambiato anche il clima: se pensiamo
alla scorsa annata, per esempio, sono stati stravolti tutti i canoni legati ai
parametri di maturazione. La cura, quindi, richiede una ricerca continua per ottenere
la massima qualità, facendo fronte sia alle mutate condizioni climatiche sia
alle nuove esigenze dei consumatori. Oggi il Lambrusco non è più utilizzato
soltanto come vino da pasto, ma è diventato un vino adatto a tutte le
occasioni. Pensiamo ai prodotti rosé e al modo con cui sono elaborati nei
cocktails.
Per quanto riguarda la cura nella mia esperienza di
agricoltore, vorrei sottolineare due aspetti. Innanzi tutto occorre dire che,
nelle filiere vegetali, l’innovazione varietale delle arboree è molto più lenta
rispetto a quella delle ortive: pensiamo all’implementazione che hanno avuto le
ditte sementiere negli ortaggi rispetto, invece, ai percorsi necessariamente più
lenti che ha dovuto seguire la filiera delle arboree. Tuttavia – e questo è il
secondo aspetto –, la storia ci ha insegnato che in agricoltura ci sono
prodotti altamente meccanizzabili, e la vite è una di quelle coltivazioni in
cui la meccanizzazione ha contribuito fortemente a ridurre i costi e a
ottimizzare l’epoca di raccolta in base alle esigenze delle cantine e degli
imbottigliatori. Per cui dobbiamo constatare che un conto è essere produttori
di uva, un altro è essere viticultori: il viticultore si è evoluto, soprattutto
in seguito alla scelta che è stata adottata dalle aziende del nostro territorio
di utilizzare, già agli inizi degli anni ottanta, disciplinari di produzione
integrata, sebbene più restrittivi; scelta che ha aiutato a sensibilizzare il
consumatore verso questo tipo di prodotto.
Uno dei temi che lei ha annunciato alla base del
programma nel suo mandato riguarda le azioni di registrazione del marchio
“Lambrusco” nei paesi extra UE, la collaborazione con gli istituti universitari
per la ricerca scientifica in campo agronomico e nelle fasi di produzione per
affermare l’origine geografica del Lambrusco, ovvero il progetto di certificazione
ambientale del territorio viticolo DOC. Tutto ciò per garantire la scelta del
consumatore… Non dobbiamo dimenticare che il Lambrusco è il vino italiano
più venduto nella grande distribuzione e non possiamo pensare che tutti i giorni
si possano consumare sulle tavole bottiglie da trenta euro. L’Italia è un paese
eccedente in termini produttivi, quindi dobbiamo trovare il modo per
implementare l’esportazione con prodotti nuovi, più maturi e più idonei a
soddisfare i gusti dei consumatori, perché il giudizio spetta sempre a loro.