LA CURA E I SUOI FRUTTI
Quest’anno S.E.F.A. Acciai è prossima a tagliare il
traguardo dei quarant’anni di attività nella fornitura e nella lavorazione di
prodotti siderurgici come acciai speciali per stampi e utensili. Lei, però,
svolge quest’attività da cinquant’anni. In che modo il fare ha comportato la
cura nella sua impresa? O ccorre dare tanto per ottenere anche di più,
occorre tanto impegno e non risparmiare i propri talenti perché nasca e cresca
un’impresa.
Quando ho incominciato l’attività nel settore siderurgico, l’Italia
si preparava al cosiddetto miracolo economico con la produzione siderurgica e
automobilistica e anche con il rilancio dell’edilizia e la costruzione di
infrastrutture.
Non avevo tempo per pensare a me e consumavo chilometri di
strada attraversando l’Italia per consigliare e distribuire i migliori acciai,
in Abruzzo, nelle Marche, in Toscana e in parte del Lazio. Mio padre notava che
cambiavo spesso l’automobile e ascoltava che progettavo di aprire un’azienda
per conto mio.
Quando le cose crescono, accade che qualcuno abbia il timore
che non riescano e così mio padre mi diceva preoccupato: “Non farai come Giuffrè?”.
Si riferiva a un celebre caso di truffa che scoppiò nell’Italia del dopoguerra.
Un ex impiegato di una banca di Imola, Giovanni Battista Giuffrè, incominciò a
svolgere l’attività di raccolta del risparmio, promettendo tassi d’interesse
molto elevati. Fu soprannominato dalle cronache dei giornali “il banchiere di
Dio”, quando alla fine degli anni cinquanta fu processato per il mancato rimborso
di ingenti somme di denaro a migliaia di piccoli risparmiatori.
Le dimensioni della truffa divennero tali che nel processo furono
chiamati in causa i ministri delle finanze succedutisi in quegli anni, Luigi
Preti e Giulio Andreotti.
Quando ho avviato l’attività in proprio per la vendita di
acciai per stampi e utensili, eravamo appena in tre. Man mano sono intervenuti nuovi
collaboratori fino al 1992, quando abbiamo trasferito l’azienda nella sede
attuale di Sala Bolognese. Mi sembrava una cattedrale, perché il nuovo
capannone era enorme e non sapevamo come riempirlo. Dopo un anno e mezzo, i metri
quadrati non bastavano più e ne abbiamo acquisiti ulteriori 1500 a cui si è
aggiunto, nel 1997, l’investimento nel magazzino automatico.
Se ci penso adesso, mi chiedo come abbiamo fatto, perché non
avevamo un soldo da parte. Il direttore della banca con cui collaboravamo all’epoca,
al quale avevo accennato il mio progetto, Marco Quadri, fu eccezionale. Non so
che stima avesse di me, ma mi chiese quale fosse il problema, dal momento che
lui si sarebbe attivato con la direzione generale della banca per finanziare il
nostro progetto e in breve tempo ottenemmo un finanziamento di tre miliardi di
lire. Avevo appena quarant’anni e tre figli piccoli.
La cura e l’impegno profusi negli investimenti di quegli
anni hanno dato i loro frutti. Abbiamo attraversato molte difficoltà, però
l’attività della nostra impresa registrava un aumento costante, diventava sempre
più innovativa e si alimentava di uno spirito di emulazione anche fra i
venditori, che mi chiedevano suggerimenti per rendere più efficace la loro
attività. Fino al 1998, quando è nata l’idea di aprire la divisione TIG
(Titanium International Group), che oggi è la prima e unica società italiana
specializzata nello stoccaggio e nella distribuzione di titanio per l’industria
aeronautica ed è stata, per quattordici anni, partner di ThyssenKrupp VDM GmbH,
uno dei più importanti produttori mondiali di titanio al mondo. Attualmente,
TIG è l’unico leader italiano nella fornitura di titanio omologato dal settore
aeronautico ed è considerata un partner di eccellenza per questo settore e altri
come il racing, il medicale e il packaging.
Com’è nata l’idea di aprire la TIG? Sono sempre stato
molto attento a tutto ciò che è in trasformazione, in particolare ho cura di
ascoltare e trasmettere ciò che imparo in ciascun incontro. L’idea è nata
durante un incontro in Tetra Pak, azienda di cui siamo sub-fornitori. Ho
raccolto diverse informazioni sul titanio per servire meglio il mio cliente.
Nel 1998, le nuove produzioni di macchine automatiche molto performanti
necessitavano di materie prime con caratteristiche meccaniche di leggerezza e
asetticità. Ho quindi proposto al loro ufficio acquisti di considerare
l’impiego del nuovo metallo. È nata così l’idea di industrializzare, stoccare e
diffondere questa conoscenza tecnologica in modo da essere utile non solo a migliorare
il servizio offerto a un solo cliente, ma anche al comparto industriale
regionale e nazionale.
Fino ad allora, infatti, bisognava andare in Inghilterra per
reperire il titanio. Oggi abbiamo migliaia di clienti che acquistano grandi e piccole
quantità di questo materiale dalla nostra sede bolognese.
Questo è un esempio di come dare e ricevere comporti non
avere remore e questo è possibile attraverso i dispositivi di parola, non
finalizzati al mero profitto. È una lezione di vita che mi ha consentito di
ricevere in quantità moltiplicate ciò che offrivo. Io mi sono sempre attenuto a
questa regola. Vorrei precisare che questo impegno e la mia dedizione al
progetto imprenditoriale hanno impedito a qualsiasi malattia di prendere il
sopravvento. Anche nei momenti in cui ho dovuto affrontare alcune operazioni
chirurgiche, il giorno dopo ero già al lavoro, perché l’esigenza di proseguire un
cammino e una scommessa con chi collabora al progetto e ti ritiene una guida,
ti stima, emulando il tuo esempio, giova alla salute dell’impresa e non solo.
Quali sono i frutti della vostra cura? La bellezza di
veder nascere e crescere il seme piantato è ineguagliabile.
La stessa cosa avviene nell’impresa. Non basta, infatti, che
sia stata costituita giuridicamente, occorre averne cura. Ho una vigna, che
produce peraltro un ottimo vino – così mi dicono gli amici –, e la cura che ho
avuto per ciascuna piantina di vite è stata la stessa che ho dedicato
all’azienda, in cui però ho la responsabilità di circa settanta famiglie.
Per me la cura è anche ricercare, studiare e offrire la
tecnologia più avanzata per ogni singola specifica esigenza, in modo che il mio
cliente possa avere cura a sua volta della sua piantina, della sua impresa.
Non si tratta, infatti, di offrire la soluzione al problema,
ma di fornire gli strumenti che consentano al cliente di procedere nella
ricerca e nella produzione in modo nuovo.
La cura è quindi anche una questione di ricerca per reperire
l’applicazione specifica per le diverse necessità produttive, è avere l’umiltà
di chiedere a chi è più preparato di te e trasmettere la parola ad altri, in
modo che quell’informazione, quella tecnologia siano fruibili anche dal
cliente. Stiamo trasmettendo ai nostri clienti il messaggio di questa idea di
cura, in modo che, anche quando la malattia sembra indicare che le cose
funzionano in modo diverso da come abbiamo programmato, possano trovare un altro
metodo e altri strumenti per riuscire: i nostri clienti possono fare cose che
non conoscevano prima che noi trasmettessimo loro le nostre informazioni.
Questa cura è in direzione di un’altra salute… La
salute nella vita bisogna ricercarla, lavorando ciascun giorno, non piangendosi
addosso, non credendo di conoscersi: noi non siamo padroni della salute. Ecco
perché è importante trovare interlocutori di qualità nel nostro cammino e non
risparmiarsi, ma avere sempre l’ambizione di costruire e mettere a frutto i
talenti che abbiamo, anziché sotterrarli.
Per la salute dell’impresa, in particolare, ci vuole umiltà.
Occorre essere molto pazienti e razionali, non esasperare le sue risorse,
perché l’impresa è come un bambino che deve crescere, deve formare la sua
muscolatura, deve camminare e deve avere gli uomini migliori nei settori
giusti. E “di cosa nasce cosa”, come diceva Machiavelli: nel nostro caso, dalla
S.E.F.A. è nata la TIG e poi la divisione SEFA Machining Center e quest’anno
avvieremo almeno altri due nuovi progetti.
Accenno soltanto a 3D Metal, per lo sviluppo di nuove
tecnologie di additive manufacturing.
L’impresa è un germoglio che occorre curare e coltivare come
una piantina, innaffiandola ciascun giorno ma non troppo, perché deve mettere
radici e, soprattutto, non può essere sfruttata e esasperata come accade oggi
in alcune aziende, per poi lamentarsi. In questi ultimi anni, le imprese
italiane hanno attraversato condizioni sociali e economiche molto difficili,
prodotte dal sistema politico e finanziario, che hanno portato al trionfo della
burocrazia che impedisce l’impresa libera, costretta a chiedere continue autorizzazioni
per fare ogni singolo passo. Ma l’impresa si alimenta del ritmo del fare, in
cui lo stress non è altro che la “tensione” alla riuscita e chi crede di
potersi fermare un attimo, di rilassarsi o di essere già arrivato al traguardo,
ne coglie invece i contraccolpi.
Faccio questo mestiere con molto entusiasmo e riscontro i
frutti di tanto impegno, umanamente e tecnologicamente eccezionali, e li
trasmetto ai miei interlocutori, e talora anche ai nostri concorrenti, ma non m’interessa
se l’altro mi copia: io sono molto pragmatico e per questo punto al progetto.
Ciascun elemento che è intervenuto nel mio itinerario è stato colto e discusso,
spesso con i venditori, con i figli, con i clienti, è il frutto di una parola
che procede da quasi cinquant’anni.