L’ASCOLTO E LA CURA NELL’ANALISI PREDITTIVA IN TEC EUROLAB
Nell’intervista pubblicata sul n. 7 del nostro giornale
(aprile 2003), lei si rammaricava che l’imprenditoria locale spesso si
rivolgeva al vostro laboratorio soltanto nei momenti di emergenza, quando un
pezzo si rompeva in esercizio: “È come andare dal medico solo quando si sta
male, anziché per prevenire eventuali disturbi”, notava. Negli ultimi quindici
anni, l’attività di TEC Eurolab si è spostata nella direzione che lei
auspicava, verso l’analisi predittiva, e siete divenuti partner nelle ricerche condotte
dai grandi gruppi dell’aeronautica, dell’automotive, della meccanica e di altri
settori dell’industria. Si può dire che la vostra oggi sia una vera cura,
anziché un intervento di pronto soccorso? Certo. Nel nostro modo di
proporci al mercato e nel modo con cui i clienti si rivolgono al nostro laboratorio
è intervenuta una trasformazione, frutto di una crescita culturale
significativa, anche sulla spinta delle nuove tecnologie di cui ci siamo dotati
sempre in modo tempestivo. Quindi, se fino a qualche anno fa la maggior parte
degli interventi era di failure analysis, lo sviluppo di nuovi materiali e tecniche
di produzione (come le fibre di carbonio e l’additive manufacturing) e di nuove
tecniche di giunzione permanente come ad esempio gli incollaggi, ha spostato
sempre più l’attenzione delle aziende manifatturiere verso l’analisi
predittiva, anche in ragione del fatto che su tali nuovi materiali e processi
mancano ancora dati certi e consolidati, relativamente ad alcune
caratteristiche che determinano poi il comportamento in esercizio dei
manufatti. La cura nella scelta dei materiali e dei processi è indispensabile,
ma è importante sottolineare l’importanza della collaborazione tra laboratorio e
azienda al fine di porre questa in condizione di attuare le scelte migliori per
evitare che il componente non si comporti in esercizio come occorre. In questo
c’è qualcosa di molto bello e stimolante: quando il cliente ci chiede di
eseguire una failure analysis racconta al nostro tecnico la vita del pezzo da
analizzare e glielo consegna, in attesa del responso; quando invece l’azienda cliente
è volta alla predizione, ad avere certezza della qualità dei propri prodotti,
inizia una vera e propria collaborazione con i nostri tecnici, ai quali vengono
fornite tutte le informazioni utili intorno al progetto. Soltanto dopo
eseguiamo i test e diamo le prime risposte, in base a cui l’azienda, a volte,
effettua modifiche di progetto e ci chiede nuove prove, finché non raggiunge il
miglior risultato possibile, in quel momento, perché poi l’evoluzione continua.
Questo porta a un arricchimento reciproco delle competenze non soltanto
tecniche, ma anche di comunicazione: c’è una bella differenza tra il tecnico
che se ne sta chiuso nel suo laboratorio a risolvere una problematica e quello che
colloquia continuamente con il cliente dei dettagli tecnici, dei processi di
produzione, delle tempistiche e, non ultimo, delle motivazioni per cui sono
richiesti quei test. Dobbiamo conoscere i processi produttivi dell’azienda
cliente perché la collaborazione sia efficace. E questa collaborazione è una
cura del dispositivo con il cliente, che poi è il dispositivo con qualcuno in
particolare, non con l’azienda in generale.
Il nostro lavoro è completamente smaterializzato: ciò che
forniamo, nella migliore delle ipotesi, sono fogli di carta, molto più spesso
dai nostri computer inviamo al cliente soltanto file. Ma quando riusciamo a
instaurare un dispositivo, percepiamo l’importanza della cura del particolare.
Può fare un esempio? Per lavorare in modo proficuo con
una persona, prima di tutto occorre ascoltarla, quindi capire quali sono le sue
problematiche tecniche e professionali. Dietro quella che può sembrare una
banale rottura può esserci un piccolo dramma personale e professionale e, se
non viene colto, la stessa analisi può risentirne.
Per esempio, un’azienda che decide di cambiare un determinato
flusso di processo, sostiene investimenti, magari avvia un nuovo centro di
lavorazione, oppure acquista stampanti per additive manufacturing, e così via.
Ebbene, quando tutto è pronto, avvia la produzione e il prodotto che ne esce
non presenta le caratteristiche previste a progetto.
Da un punto di vista tecnico, il nostro compito rimane lo
stesso ma, da un punto di vista umano, il nostro approccio deve tenere conto della
tensione con cui il responsabile di produzione che ha influenzato la decisione
dell’azienda d’investire in quella direzione si reca al nostro laboratorio per
capire la causa della difettosità e, di conseguenza, per far sì che non avvenga
più. Non possiamo minimizzare, dobbiamo cercare di tranquillizzarlo, dandogli
una prima informazione, se possibile, e fargli capire che lo affiancheremo in
questa ricerca, senza perdere un attimo. Tornando al paragone con la medicina,
dobbiamo pensare che questo cliente è nella stessa situazione di chi attende
gli esiti degli esami perché il medico possa identificare la sua patologia con
la più alta precisione possibile e possa così prescrivere una cura specifica
per il suo caso.
In che modo i collaboratori di TEC Eurolab hanno
acquisito questo approccio, da cui procede la vera cura? Nonostante siano
ingegneri, chimici, fisici, insomma non laureati in discipline umanistiche, i
nostri collaboratori oggi sono in grado d’instaurare dispositivi di parola con
il cliente, dove l’ascolto e la cura sono al primo posto. Questo approccio richiede
lo sviluppo di un capitale intellettuale che non si limita alle competenze
tecniche e che si acquisisce prima di tutto coltivando tanti interessi –
culturali, artistici, sportivi – da cui il lavoro stesso può trarre vantaggio.
Credo che l’azienda debba favorire e incoraggiare il capitale intellettuale dei
collaboratori, perché sono loro a instaurare i dispositivi con il cliente.